domenica 9 dicembre 2012

Sulla Gru con gli operai Ilva. “Qui rischiamo di morire anche se non facciamo niente”

Di Adriano Sofri

Parlano gli operai. Che cosa è successo mercoledì scorso agli impianti marittimi dell’Ilva?
Che cosa facevano nelle cabine delle gru i quattro operai durante il tornado? Francesco Zaccaria, 29 anni, morto. Era salito sul DM5, al 4° Sporgente (un molo, in pratica) alle 7 meno dieci. Doveva liberare una benna “affossata”. In realtà non lavorava, per il maltempo. È rimasto senza lavorare fino alle 10,46 a 30 metri da terra. C’era il temporale. Secondo l’Ispra «il livello del mare ha subito una variazione istantanea, aumentando di 30 centimetri tra le 9,45 e le 10,00, al passaggio del tornado». Alle 10.46 è arrivato il tornado, il vento oltre i 200 km, la cabina divelta e scaraventata in mare col corpo. Vincenzo Morrone era sulla cabina del DM6, anche lui fermo al 4° Sporgente. Il tempo era troppo minaccioso ed è uscito dalla cabina. Il vento non gli permetteva di scendere, ha cercato di rientrare. Per sua fortuna non ce l’ha fatta, la cabina gli è volata via sotto i piedi ed è ricaduta sulla coperta della nave. Lui è restato aggrappato all’impalcatura, fino a che l’hanno soccorso. Simone Piergianni era nella cabina del DM8, con Francesco Sasso. Aspettavano che il DM5 liberasse la benna “affossata”. Simone ha una vertebra incrinata, Francesco tre costole fratturate. Al DM8 c’era quel problema della benna affossata nella stiva: il minerale la sommerge e la blocca con il peso. La tromba d’aria sbatteva avanti e indietro la macchina e faceva ballare la nave: la cabina è rimasta incastrata, se no sarebbe finita in mare anche questa.
Ecco che cosa facevano i quattro operai alle 10,46: niente! Stare in quei cubicoli è scomodissimo: perché tenerli dentro anche senza lavorare? All’Ilva era così. Non più ora che tua moglie non ti lascia uscire di casa se non giuri di non salirci più. Perché non sono scesi per proprio conto? «Ti addebitano l’abbandono del posto di lavoro ». L’anemometro è un display nella cabina, quando si supera la forza del vento sei tu che devi resettarlo e da fuori ti incalzano: «Riprova, riprova! ». Quando il vento è forte, non puoi nemmeno affacciarti per pisciare. Il nuovo capoarea almeno usa un altro linguaggio. «Trovate voi un’alternativa, i custodi hanno ridotto al minimo le riserve, abbiamo bisogno di scaricare». Ha ventilato l’impiego del radiocomando, magari al DM6. Col radiocomando il gruista sta sulla mastra della stiva, il bordo. Forse è più pericoloso.
Che cosa non va sulle gru? Quasi tutto. C’è una cosa che va: il gruista. Stai chinato sulle ginocchia, per guardare giù, sottoposto a vibrazioni da martello pneumatico. Respiri la polvere anche con le orecchie. Quando c’è tramontana il fumo delle ciminiere delle navi ti viene proprio in faccia.
Io, lo scrivente, ho registrato le parole tecniche anche dove non capivo. Ma forse avete letto il libro di Primo Levi, “La chiave a stella”, un dialogo fra lui e Libertino Faussone, montatore di gru. Un elogio del lavoro fatto bene, quando si permette al lavoro di essere fatto bene, e di arricchire chi lo fa.
Da La Repubblica del 08/12/2012.

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