lunedì 24 dicembre 2012

"Tregua natalizia all’Ilva 2013 sarà anno decisivo" scrive la gazzetta.. ma è una tregua che serve a Padron Riva




TARANTO - Una tregua dopo oltre cinque mesi di bufera. E' un Natale di relativa tranquillità quello che si accingono a vivere gli operai dell'Ilva dove anche stanotte si lavorerà essendo quella siderurgica una fabbrica a ciclo continuo. E' ben lontano il Natale del 1968 quando tra gli altiforni e le acciaierie Papa Paolo VI scelse di celebrare la messa della Natività. Era l'anno delle grandi contestazioni e la Chiesa volle avvicinarsi al mondo del lavoro per provare a dialogare. Il Papa arrivò in una fabbrica che era nata da appena otto anni per volere dello Stato. Quarantaquattro anni dopo il siderurgico è nelle mani di privati, la famiglia Riva, e si accinge ad archiviare un 2012 che giorni fa il presidente Bruno Ferrante ha definito, nel discorso agli operai per la messa di Natale, «veramente difficile, complesso, fatto di ansie e di preoccupazioni».

Ora che una legge ad hoc è stata approvata dal Parlamento, può dirsi scongiurato il rischio che l'Ilva chiuda per l'intervento della Magistratura - che da luglio ha accelerato con l'inchiesta sul reato di disastro ambientale - ma certo non possono dirsi diradate le nubi sulla più grande acciaieria d'Europa. Ci sono ancora tanti problemi da risolvere e tanti interrogativi che attendono risposta. Solo oggi, e con quattro giorni di ritardo sulla scadenza normale, gli oltre 11mila lavoratori del siderurgico potranno materialmente incassare la tredicesima.

Per la prima volta in 17 anni da quando l'Ilva è privata, l'azienda paga in ritardo. L'ha dovuto fare per crisi di liquidità, aggravata anche dal sequestro di prodotti finiti (valore un miliardo di euro) effettuato dalla Magistratura lo scorso 26 novembre insieme ad una serie di arresti che hanno coinvolto anche Fabio Riva, uno dei figli del capostipite Emilio (ai domiciliari da luglio). La tredicesima in ritardo ha ovviamente creato preoccupazioni tra gli operai, i quali si chiedono se questo sia stato solo un fenomeno isolato o se bisogna aspettarsi qualcosa di analogo anche il 12 gennaio, quando dovrà essere erogato lo stipendio di dicembre. E queste incertezze si legano all'andamento del mercato dell'acciaio che vive una fase di crisi.

Per il calo della domanda, dal 19 novembre l'Ilva ha infatti chiesto la cassa integrazione ordinaria per 1400 lavoratori dell'area a freddo, la parte finale del ciclo da dove escono i semilavorati e i prodotti finiti. Allo stato, quindi, diversi impianti dell'area a freddo sono fermi. In parte per la crisi e in parte per le conseguenze del sequestro di fine novembre che impedisce di muovere le merci destinate ai clienti ma anche ad alimentare gli altri siti dell'Ilva in Italia e all'estero. Questi i numeri forniti dai sindacati: sono fuori dalla fabbrica 1400 unità per crisi, 230 per i danni del tornado del 28 novembre scorso e 700 per il blocco giudiziario. La legge approvata in Parlamento (mercoledì c'è stato il sì della Camera e il giorno dopo quello del Senato) consente ora di vendere i beni ai quali sono stati apposti i sigilli, quindi è presumibile che almeno gli impianti fermati dall'azienda dopo il sequestro, ripartiranno nei prossimi giorni, cioè non appena l'Ilva formalizzerà ai magistrati l'istanza di dissequestro. Ma per gli impianti toccati invece dalla crisi, si chiedono i sindacati, che accadrà? La cassa integrazione durerà per tutte le 13 settimane o sono in arrivo commesse che rimettereranno in moto l'attività e il lavoro? Anche questo è uno degli interrogativi che gli operai di Taranto si pongono in questo Natale. Infine, c'è l'aspetto che riguarda il futuro della fabbrica e la realizzazione degli investimenti di risanamento ambientale ordinati dall'Aia, il cui importo complessivo è stimato in 3 miliardi e mezzo di euro. Venerdì scorso, con una nota, la famiglia Riva ha positivamente commentato la legge: il futuro dell'azienda, hanno scritto i Riva, era in pericolo, adesso la legge ci consente di guardare al futuro con più fiducia.

I Riva hanno assicurato che faranno gli investimenti che sono necessari, ma i sindacati attendono di vedere il piano dell'azienda prima di esprimere un giudizio. Piano che l'azienda starebbe approntando e che dovrebbe presentare nei primi giorni del nuovo anno. Per ora l'Autorizzazione integrata ambientale si è avviata solo con i primi lavori: batterie coke 5 e 6 fermate il 6 dicembre e altoforno 1 fermato l'8 dicembre. Tre interventi dal costo di 270 milioni di euro. L'ulteriore avanzamento dei lavori è fissato a gennaio col rifacimento delle batterie coke 3 e 4. Primi segnali, commentano i sindacati, ma il percorso dell'Aia è ancora molto lungo e, soprattutto, richiederà l'esborso di somme ben più rilevanti. L'azienda ce la farà - si chiedono i lavoratori -, riuscirà a trovare i soldi necessari, ha davvero volontà di impegnarsi?

Tutto questo, dunque, porta a dire che la partita Ilva, al di là della tregua di Natale, non è conclusa. E agli scenari della crisi e della continuità o meno dei Riva, se ne aggiunge un terzo: quello della Magistratura. La quale, eccezione di incostituzionalità sulla legge a parte, certo non ha concluso le sue indagini sull'Ilva e sui rapporti che quest'azienda ha avuto negli anni passati con i rappresentanti della politica, delle istituzioni e della pubblica amministrazione al fine di avere provvedimenti che non la penalizzassero

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