mercoledì 17 aprile 2013

dalla stampa - notizie sui giochi in corso - salvare i fondi di padron riva, usare l'aia non per bonificare ma per ristrutturare

Ilva, il nuovo allarme sui fondi
via la cassaforte dei Riva

Il monito del presidente ai dipendenti: bisogna scorporare il siderurgico da Riva Fire, l'azienda deve camminare con le sue gambe. Bondi: senza l'Aia la nostra fabbrica non ha futuro. Ma per il Garante le prescrizioni dell'autorizzazione ambientale sono ancora lontane

di GIULIANO FOSCHINI
TARANTO - "Senza l'Aia l'Ilva non ha futuro", dice Enrico Bondi. Ma il futuro dell'Ilva sarà senza l'Ilva Fire. Parte da questi due assiomi il nuovo corso del siderurgico: ieri il nuovo amministratore delegato dell'azienda è tornato nello stabilimento di Taranto per fare il punto sulla situazione e affrontare l'agenda prossima ventura del più grosso stabilimento d'acciaio d'Europa. I rapporti con la legge, più che con la magistratura, in questo momento sembrano essersi chiariti: la sentenza della Consulta di martedì scorso ha infatti sancito che la legge salva Ilva voluta dal governo Monti e dal ministro dell'Ambiente Corrado Clini, è costituzionale.

Quindi può essere applicata: resta quindi il sequestro della magistratura, ma la fabbrica può produrre acciaio durante la bonifica imposta prima dall'Autorizzazione integrata ambientale e ora dalla legge stessa. "Per questo  -  ha detto Bondi ieri  -  non possiamo che ripartire dall'Aia". Non sarà semplicissimo. A complicare la situazione si è messo infatti il garante voluto dal Governo, il magistrato Vitaliano Esposito, che ha mosso contestazioni formali al cronoprogramma dell'Ilva: i lavori, ha scritto, non seguono quanto promesso. I ritardi riguarderebbero "i nastri trasportatori del materiale entro lo stabilimento, quelli concernenti l'area di carico e scarico dei materiali, i parchi di deposito di materiali nonché taluni edifici asserviti alle aree di produzione".

Stesso discorso vale sui cumuli dei parchi minerali: l'azienda non avrebbe realizzato la "minimizzazione delle emissioni gassose fuggitive" e nemmeno provveduto alla realizzazione di un "sistema di nebulizzazione di acqua per l'abbattimento delle particelle di polveri sospese generate dalle emissioni diffuse". A questo si aggiunge l'ultima relazione dell'Arpa che ha documentato come, da quando sono al lavoro i custodi e quindi il lavoro dell'Ilva è in qualche maniera commissariato, le emissioni sia di diossina sia di benzoapirene (i due inquinanti più pericolosi) sono per la prima volta finiti sotto la norma imposta dalla legge. Come a dire, che una strada per la fabbrica non pulita ma controllata esiste. Bisogna avere soltanto la volontà di percorrerla.

Volontà che, a credere alle parole dell'azienda, il nuovo corso dell'Ilva avrebbe. Esiste però un problema di natura societaria che sta allarmando gli ambientalisti e incuriosendo gli investigatori: senza usare scorciatoie, il presidente Bruno Ferrante ha annunciato che bisogna scorporare l'Ilva dalla Riva Fire, la cassaforte della famiglia Riva. "L'azienda  -  ha detto agli operai  -  deve camminare con le sue gambe". Dopo che per anni gli utili del siderurgico hanno reso importanti i bilanci delle società del gruppo Riva, il timore è che al contrario con l'azienda in difficoltà non arrivino soldi dalla famiglia. Non solo: qualora la magistratura si volesse rivalere in qualche maniera sui soldi dei Riva, con uno scorporo delle aziende non potrebbe. O per lo meno sarebbe molto più complicato.

Al momento l'operazione è nell'agenda di Bondi ma non è ancora partita. Così come l'amministratore delegato non ha ancora incontrato le parti sociali: dai primi di marzo, infatti, l'Ilva di Taranto sta attuando i contratti di solidarietà in tutto lo stabilimento oltre che la fermata degli impianti dovuta ai lavori dell'Aia. Gli esuberi temporanei coinvolti sono 3.749 ma nella ''solidarietà'' stanno ruotando in 11mila. Oggi si attende intanto la decisione della Cassazione che dovrà decidere se riammettere Ferrante tra i custodi dell'azienda. 
(17 aprile 2013)

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