giovedì 23 maggio 2013

un miliardo e duecento milioni presi dalle casse aziendali e messi al riparo - vanno espropriati... ma non sono tutti e non bastano per la messa a norma dell'azienda!

e le bonifiche e i risarcimenti ? su questo non sarà la magistratura
a risolvere ma solo la rivolta operaia e popola che ancora non c'è




TARANTO - Soldi sottratti alle casse dell'Ilva, un miliardo e duecento milioni nascosti in paradisi fiscali e poi rientrati in Italia attraverso lo scudo fiscale, anzichè essere investiti per la bonifica e lo sviluppo del più grande stabilimento siderurgico europeo. Dopo quella di Taranto, anche la procura di Milano indaga sui padroni dell'acciaio, quei Riva che nel 1995 (rpt, 1995) acquistarono dallo Stato l'ex Italsider. Ma stavolta ad esser presa di mira non è l'azienda e i suoi guai ma i "vecchi" della famiglia, Adriano ed Emilio Riva - quest'ultimo agli arresti domiciliari nell'ambito dell'inchiesta tarantina - ai quali viene contestato il reato di truffa ai danni dello Stato e trasferimento fittizio di beni.

La Guardia di Finanza si è presentata questa mattina nelle abitazioni e negli uffici della famiglia, per notificare un provvedimento di sequestro preventivo emesso dal gip del tribunale di Milano: partite dagli accertamenti patrimoniali su Emilio e Fabio Riva, le indagini ipotizzavano che il Trust Orion Ltd - con una consistenza patrimoniale attorno ai 60 milioni - schermasse in realtà appartenenti alla famiglia Riva. I successivi accertamenti hanno consentito però di accertare che in realtà l'ordine di grandezza dei fondi all'estero, che i proprietari dell'Ilva avrebbero sottratto dalle casse dell'azienda, era ben maggiore e ammontava a circa un miliardo e duecento milioni. Soldi e strumenti finanziari che, si legge nel provvedimento di sequestro, sarebbero «provento di appropriazione indebita aggravata e continuata, dichiarazione fraudolenta, false comunicazioni sociali e infedeltà patrimoniale»: in sostanza denaro che sarebbe stato «drenato dalla società Fire Finanziaria (quindi trasformatasi in Riva Acciaio e infine in Riva Fire)» e trasferiti a società di partecipazione estere e società veicolo offshore «a seguito di tre operazioni di cessioni di partecipazioni industriali tutte conseguenti all'acquisizione dell'Iri dell'Ilva».

La prima risalirebbe al 1995,
la seconda nel 1997 e la terza al 2003-2006. Nel decreto viene anche spiegato il meccanismo utilizzato dalla famiglia: «tutte le cessioni si consumavano fra ricorrenti controparti. Da un lato, la holding italiana (prima Fire Finanziaria, poi Riva Acciaio e infine Riva Fire); dall'altro, società di diritto estero dietro le quali si nascondevano sempre i fratelli Riva». Ma non solo: «i prezzi delle cessioni erano artificiosi e funzionali a frodare, spostando liquidità dalla holding alle persone fisiche, dall'Italia all'estero».

Per curare l'intera operazione,
i Riva si sarebbero avvalsi di due commercialisti milanesi, Franco Pozzi e Emilio Ettore Gnech, indagati per riciclaggio: sarebbero loro che avrebbero messo in piedi gli otto trust gestiti da una fiduciaria (la Ubs Trustee) nel paradiso fiscale dell'isola di Jersey in cui è confluito il denaro, dopo esser passato per il Lussemburgo. L'operazione ha anche consentito di nascondere i reali titolari delle disponibilità finanziarie, permettendo ai Riva di far rientrare in Italia il patrimonio attraverso la Ubs Fiduciaria (per i trust Orio, Sirius, Venus e Antares) e Carini Fiduciaria (per gli altri quattro) usufruendo nel 2009 dello scudo fiscale. Operazione che non sarebbe stata possibile in quando il disponente di tutti e otto i trust, benchè «all'origine della formazione dei fondi tramite i reati evidenziati vi fossero disponibilità economiche riconducibili tanto a Emilio quanto ad Adriano Riva», era il solo Adriano, «cittadino canadese residente all'estero che mai avrebbe potuto usufruire dello scudo».

Per risolvere questo problema i Riva,
con l'ausilio dei commercialisti, avrebbero firmato due dichiarazioni congiunte nelle quali si sosteneva che il disponente dei trust era il solo Emilio Riva e così facendo «inducevano in errore l'amministrazione finanziaria sulla ricorrenza dei presupposti per operare il rimpatrio giuridico dei capitali detenuti all'estero». In sostanza, scrive ancora il Gip, gli elementi acquisiti permettono di appurare «l'illecita provenienza delle provviste nonchè l'utilizzo fittizio dei trusts, finalizzato da un lato alla frode fiscale e dall'altro ad agevolare il reimpiego dei capitali».

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