sabato 12 ottobre 2013

Differenziata: tra topi, carcasse e siringhe di A.Pignatelli

Quello che segue è la descrizione fatta dal giornalista del Quotidiano di come i lavoratori della Pasquinelli sono costretti a lavorare. Il 10 ottobre, infatti, consiglieri comunali e giornalisti sono stati invitati dallo Slai cobas per il sindacato di classe e dai lavoratori della Pasquinelli addetti alla differenziata, a venire a vedere con i loro occhi la situazione.
Dei Consiglieri comunali è venuto solo Dante Capriuolo. L'assenza degli altri consiglieri è un chiaro attestato di come l'amministrazione comunale se ne freghi altamente dei problemi della differenziata, del ciclo rifiuti, e quindi dell'ambiente, e di conseguenza delle condizioni di lavoro, di incrementare i posti di lavoro per un'attività assolutamente necessaria.
Ancora una volta si dimostra che la stragrande maggioranza dei consiglieri sta lì per scaldare le sedie.
Ma ancora una volta si dimostra che Sindaco e l'intera amministrazione è il cancro politico di questa città e se ne devono andare!!

IL RESOCONTO DEL GIORNALISTA:

"Quando devono mettere mani in quei sacchetti di spazzatura sudano freddo. Perché non è difficile imbattersi con topi, resti di animali morti, escrementi, siringhe usate. Non è una scena di un film splatter bensì vita reale e quotidiana dei lavoratori de “L’Ancora”.  Ebbene, alla Pasquinelli si lavora così. L’impianto è situato nella zona industriale, a due passi dal camino E312 dell’Ilva. Non esattamente in un ambiente salubre. Ma, paradossalmente, è il minimo problema.  La situazione di carico di lavoro, mancanza di personale sufficiente, rischio salute e modalità lavorative che vedono i dipendenti non impegnati a selezionare una "raccolta già differenziata" ma una raccolta multimateriale, necessitano di immediati interventi.  Il problema è proprio questo. Una differenziata ai minimi termini. Ossia, solo Lama e San Vito hanno iniziato, da qualche mese e a singhiozzo, il conferimento dei rifiuti differenziati. L’impianto Pasquinelli è – o meglio, sarebbe – un centro di selezione materiale ma purtroppo la situazione è deprimente.  I lavoratori sono costretti a inalare odori nauseabondi e non di rado trovano sorprese disgustose in quei sacchetti. Colpa, naturalmente, di un senso civico pari allo zero di una cittadinanza che poi sa lamentarsi dei pochi servizi.  «Attualmente siamo in diciotto –raccontano i lavoratori – compresi due lavoratori assunti con la borsa lavoro della Provincia con contratto in scadenza a novembre. Ciò che arriva qui non è differenziato, come specificato dal capitolato d’appalto. Troviamo di tutto, pezzi di animali, siringhe, pannolini sporchi, materiale inquinato. Rischiamo malattie e non abbiamo nemmeno il premio di produzione».  Sì perché questi operai producono spazzatura imballata ma nella sostanza non hanno diritto nemmeno alla quattordicesima. E le ore di lavoro sono tra immondizia e puzza.  “E oggi va anche bene” azzardano. “Per adesso sono arrivati solo i camion da San Vito e Lama”. Nemmeno il tempo di dirlo, però, che si affaccia un mezzo proveniente da Taranto. Scarica di tutto e l’aria è infestata.  «Queste sono le condizioni – lamenta Margherita Calderazzi, rappresentante Slai Cobas – sono come i lavoratori cimiteriali a causa della vicinanza alla zona industriale ma in più trattano anche materiale pericoloso. Chiediamo un terzo turno di lavoro che consenta ritmi meno stressanti. Vogliamo, soprattutto, che vengano riconosciuti i loro diritti».  Il contratto della cooperativa non ha, infatti, gli stessi requisiti di quello dell’Amiu. I disagi, invece, sono identici. È uno dei bachi di un sistema che fa acqua da tutte le parti. La città è sporca come non mai e in diversi angoli e quartieri. Occorre una maggiore responsabilità del cittadino, del negoziante, dell’amministratore.  «Abbiamo bisogno di altri dipendenti – concludono gli operai – un altro turno potrebbe essere coperto da otto o nove assunzioni. Questo ci consentirebbe di lavorare h24 e avere turni meno massacranti. Ci consentirebbe, in sostanza, di lavorare umanamente».nza, di lavorare umanamente».
Quando devono mettere mani in quei sacchetti di spazzatura sudano freddo. Perché non è difficile imbattersi con topi, resti di animali morti, escrementi, siringhe usate. Non è una scena di un film splatter bensì vita reale e quotidiana dei lavoratori de “L’Ancora”.
Ebbene, alla Pasquinelli si lavora così. L’impianto è situato nella zona industriale, a due passi dal camino E312 dell’Ilva. Non esattamente in un ambiente salubre. Ma, paradossalmente, è il minimo problema.
La situazione di carico di lavoro, mancanza di personale sufficiente, rischio salute e modalità lavorative che vedono i dipendenti non impegnati a selezionare una "raccolta già differenziata" ma una raccolta multimateriale, necessitano di immediati interventi.
Il problema è proprio questo. Una differenziata ai minimi termini. Ossia, solo Lama e San Vito hanno iniziato, da qualche mese e a singhiozzo, il conferimento dei rifiuti differenziati. L’impianto Pasquinelli è – o meglio, sarebbe – un centro di selezione materiale ma purtroppo la situazione è deprimente.
I lavoratori sono costretti a inalare odori nauseabondi e non di rado trovano sorprese disgustose in quei sacchetti. Colpa, naturalmente, di un senso civico pari allo zero di una cittadinanza che poi sa lamentarsi dei pochi servizi.
«Attualmente siamo in diciotto –raccontano i lavoratori – compresi due lavoratori assunti con la borsa lavoro della Provincia con contratto in scadenza a novembre. Ciò che arriva qui non è differenziato, come specificato dal capitolato d’appalto. Troviamo di tutto, pezzi di animali, siringhe, pannolini sporchi, materiale inquinato. Rischiamo malattie e non abbiamo nemmeno il premio di produzione».
Sì perché questi operai producono spazzatura imballata ma nella sostanza non hanno diritto nemmeno alla quattordicesima. E le ore di lavoro sono tra immondizia e puzza.
“E oggi va anche bene” azzardano. “Per adesso sono arrivati solo i camion da San Vito e Lama”. Nemmeno il tempo di dirlo, però, che si affaccia un mezzo proveniente da Taranto. Scarica di tutto e l’aria è infestata.
«Queste sono le condizioni – lamenta Margherita Calderazzi, rappresentante Slai Cobas – sono come i lavoratori cimiteriali a causa della vicinanza alla zona industriale ma in più trattano anche materiale pericoloso. Chiediamo un terzo turno di lavoro che consenta ritmi meno stressanti. Vogliamo, soprattutto, che vengano riconosciuti i loro diritti».
Il contratto della cooperativa non ha, infatti, gli stessi requisiti di quello dell’Amiu. I disagi, invece, sono identici. È uno dei bachi di un sistema che fa acqua da tutte le parti. La città è sporca come non mai e in diversi angoli e quartieri. Occorre una maggiore responsabilità del cittadino, del negoziante, dell’amministratore.
«Abbiamo bisogno di altri dipendenti – concludono gli operai – un altro turno potrebbe essere coperto da otto o nove assunzioni. Questo ci consentirebbe di lavorare h24 e avere turni meno massacranti. Ci consentirebbe, in sostanza, di lavorare umanamente». 
- See more at: http://www.segnourbano.it/wrong.html#sthash.XdxFxHJg.dpuf
Quando devono mettere mani in quei sacchetti di spazzatura sudano freddo. Perché non è difficile imbattersi con topi, resti di animali morti, escrementi, siringhe usate. Non è una scena di un film splatter bensì vita reale e quotidiana dei lavoratori de “L’Ancora”.
Ebbene, alla Pasquinelli si lavora così. L’impianto è situato nella zona industriale, a due passi dal camino E312 dell’Ilva. Non esattamente in un ambiente salubre. Ma, paradossalmente, è il minimo problema.
La situazione di carico di lavoro, mancanza di personale sufficiente, rischio salute e modalità lavorative che vedono i dipendenti non impegnati a selezionare una "raccolta già differenziata" ma una raccolta multimateriale, necessitano di immediati interventi.
Il problema è proprio questo. Una differenziata ai minimi termini. Ossia, solo Lama e San Vito hanno iniziato, da qualche mese e a singhiozzo, il conferimento dei rifiuti differenziati. L’impianto Pasquinelli è – o meglio, sarebbe – un centro di selezione materiale ma purtroppo la situazione è deprimente.
I lavoratori sono costretti a inalare odori nauseabondi e non di rado trovano sorprese disgustose in quei sacchetti. Colpa, naturalmente, di un senso civico pari allo zero di una cittadinanza che poi sa lamentarsi dei pochi servizi.
«Attualmente siamo in diciotto –raccontano i lavoratori – compresi due lavoratori assunti con la borsa lavoro della Provincia con contratto in scadenza a novembre. Ciò che arriva qui non è differenziato, come specificato dal capitolato d’appalto. Troviamo di tutto, pezzi di animali, siringhe, pannolini sporchi, materiale inquinato. Rischiamo malattie e non abbiamo nemmeno il premio di produzione».
Sì perché questi operai producono spazzatura imballata ma nella sostanza non hanno diritto nemmeno alla quattordicesima. E le ore di lavoro sono tra immondizia e puzza.
“E oggi va anche bene” azzardano. “Per adesso sono arrivati solo i camion da San Vito e Lama”. Nemmeno il tempo di dirlo, però, che si affaccia un mezzo proveniente da Taranto. Scarica di tutto e l’aria è infestata.
«Queste sono le condizioni – lamenta Margherita Calderazzi, rappresentante Slai Cobas – sono come i lavoratori cimiteriali a causa della vicinanza alla zona industriale ma in più trattano anche materiale pericoloso. Chiediamo un terzo turno di lavoro che consenta ritmi meno stressanti. Vogliamo, soprattutto, che vengano riconosciuti i loro diritti».
Il contratto della cooperativa non ha, infatti, gli stessi requisiti di quello dell’Amiu. I disagi, invece, sono identici. È uno dei bachi di un sistema che fa acqua da tutte le parti. La città è sporca come non mai e in diversi angoli e quartieri. Occorre una maggiore responsabilità del cittadino, del negoziante, dell’amministratore.
«Abbiamo bisogno di altri dipendenti – concludono gli operai – un altro turno potrebbe essere coperto da otto o nove assunzioni. Questo ci consentirebbe di lavorare h24 e avere turni meno massacranti. Ci consentirebbe, in sostanza, di lavorare umanamente». 
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Quando devono mettere mani in quei sacchetti di spazzatura sudano freddo. Perché non è difficile imbattersi con topi, resti di animali morti, escrementi, siringhe usate. Non è una scena di un film splatter bensì vita reale e quotidiana dei lavoratori de “L’Ancora”.
Ebbene, alla Pasquinelli si lavora così. L’impianto è situato nella zona industriale, a due passi dal camino E312 dell’Ilva. Non esattamente in un ambiente salubre. Ma, paradossalmente, è il minimo problema.
La situazione di carico di lavoro, mancanza di personale sufficiente, rischio salute e modalità lavorative che vedono i dipendenti non impegnati a selezionare una "raccolta già differenziata" ma una raccolta multimateriale, necessitano di immediati interventi.
Il problema è proprio questo. Una differenziata ai minimi termini. Ossia, solo Lama e San Vito hanno iniziato, da qualche mese e a singhiozzo, il conferimento dei rifiuti differenziati. L’impianto Pasquinelli è – o meglio, sarebbe – un centro di selezione materiale ma purtroppo la situazione è deprimente.
I lavoratori sono costretti a inalare odori nauseabondi e non di rado trovano sorprese disgustose in quei sacchetti. Colpa, naturalmente, di un senso civico pari allo zero di una cittadinanza che poi sa lamentarsi dei pochi servizi.
«Attualmente siamo in diciotto –raccontano i lavoratori – compresi due lavoratori assunti con la borsa lavoro della Provincia con contratto in scadenza a novembre. Ciò che arriva qui non è differenziato, come specificato dal capitolato d’appalto. Troviamo di tutto, pezzi di animali, siringhe, pannolini sporchi, materiale inquinato. Rischiamo malattie e non abbiamo nemmeno il premio di produzione».
Sì perché questi operai producono spazzatura imballata ma nella sostanza non hanno diritto nemmeno alla quattordicesima. E le ore di lavoro sono tra immondizia e puzza.
“E oggi va anche bene” azzardano. “Per adesso sono arrivati solo i camion da San Vito e Lama”. Nemmeno il tempo di dirlo, però, che si affaccia un mezzo proveniente da Taranto. Scarica di tutto e l’aria è infestata.
«Queste sono le condizioni – lamenta Margherita Calderazzi, rappresentante Slai Cobas – sono come i lavoratori cimiteriali a causa della vicinanza alla zona industriale ma in più trattano anche materiale pericoloso. Chiediamo un terzo turno di lavoro che consenta ritmi meno stressanti. Vogliamo, soprattutto, che vengano riconosciuti i loro diritti».
Il contratto della cooperativa non ha, infatti, gli stessi requisiti di quello dell’Amiu. I disagi, invece, sono identici. È uno dei bachi di un sistema che fa acqua da tutte le parti. La città è sporca come non mai e in diversi angoli e quartieri. Occorre una maggiore responsabilità del cittadino, del negoziante, dell’amministratore.
«Abbiamo bisogno di altri dipendenti – concludono gli operai – un altro turno potrebbe essere coperto da otto o nove assunzioni. Questo ci consentirebbe di lavorare h24 e avere turni meno massacranti. Ci consentirebbe, in sostanza, di lavorare umanamente». 
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