sabato 28 giugno 2014

Dopo la UBS un altro economista ex banchiere dice: "l'Ilva può chiudere" e i costi sociali non sono un nostro problema...li risolva la politica...

Non sembra affatto casuale. Dopo le affermazioni della superbanca UBS, oggi in un intervista su Corriere del Mezzogiorno parla sulla stessa lunghezza d'onda Bini Smaghi (dirigente della Banca d'Italia, della BCE, consigliere di Morgan Stanley International e della Societè Generale, presidente della Snam).

Viene spontanea una nostra domanda: 
Fa parte della fronda dei padroni europei dell'acciaio antiIlva, che vogliono liberarsi di un grande e scomodo concorrente per avere più possibilità di reggere il mercato?
Fa considerazioni di "dati di fatto", "oggettive" (dove, chiaramente, si tratta sempre dell'"oggettività" dei capitalisti, per cui chiudere o no una fabbrica è solo dal punto di vista se è profittevole per i loro utili o no)?
Fa i suoi di interessi proponendo in alternativa all'Ilva che la Puglia diventi crocevia dell'arrivo e smistamento del gas?
Siamo portati a dire, in questo caso: "la terza che hai detto..."! 
Visto che questo signore è attualmente presidente della Snam, la società leader nel trasporto del gas e della progettazione, realizzazione e gestione della rete di metanodotti. 
E se, come ricorda l'intervistatore, anche questa attività produttiva è fonte di opposizione popolare perchè di grande inquinamento, in questo sistema capitalista che subordina la salute e l'ambiente al profitto e al taglio dei costi "superflui", Bini Smaghi risponde che si tratta di "pregiudizi"...

E gli operai? Ieri da parte della UBS al massimo ricevevano un "mi dispiace - certo per voi va malissimo, ma per noi va benissimo..."; oggi, per questo servitore del capitale, sono un "costo sociale" , che non possono essere un problema per i "tecnici" (cioè per i padroni) ma sono responsabilità della politica... 
AH... ALLORA, POSSONO STARE PROPRIO TRANQUILLI GLI OPERAI...! 

DALL'INTERVISTA:

  "... in Puglia, con la vicenda Ilva, ci si sta rendendo sempre più conto di quanto ormai anche le vicende locali o nazionali debbano essere inquadrate in contesti internazionali. Uno studio di Ubs dice che la eventuale chiusura dell’Ilva farebbe superare il problema della sovracapacità produttiva della siderurgia europea. Come lo si spiega agli operai di Taranto?
«Il problema dell’Ilva va risolto creando nuova occupazione, attirando altri investimenti, non tenendo in piedi settori che non sono piu profittevoli. La siderurgia è un settore molto dipendente dal costo dell’energia e del lavoro, e l’Italia da questo punto di vista è poco competitiva ».
Vuol dire che l’Italia deve rinunciare alla siderurgia, ancor prima che Taranto all’Ilva? «Se l’Italia non vuole rinunciare alla siderurgia, deve creare le condizioni per renderla competitiva».
Allargando il discorso, dall’alto della sua esperienza non solo nella Banca d’Italia e nella Bce ma anche nelle banche d’affari, da Morgan Stanley International a Société Générale, ci spiega fino a che punto può arrivare il cinismo degli analisti? È vero che hanno a che fare con i numeri, ma leggere che «chiudere l’Ilva potrebbe essere un problema per gli 11 mila dipendenti di Taranto ma se ne avvantaggerebbero i concorrenti» lascia di stucco la gente di strada.
«Questi rapporti sono tecnici e non prendono in conto considerazioni sociali, che invece sono responsabilità della politica. La politica deve partire dai dati di fatto, dare una prospettiva di sviluppo più ampia, che tenga conto anche dell’inclusione sociale. La responsabilità della politica è di creare le condizioni affinché nuove imprese vengano a insediarsi nel Mezzogiorno e creino occupazione. In altre parti d’Europa ci sono riusciti».
Oggi lei è presidente di Snam. La Puglia è spesso indicata come crocevia per l’arrivo e lo smistamento di gas da una parte dell’Europa o del Mediterraneo, all’altra. Spesso le popolazioni locali del più piccolo paese si oppongono. Come si conciliano gli interessi nazionali e internazionali con quelli locali?
«Ci sono molti pregiudizi, purtroppo, sulle infrastrutture. Alla fine ne paghiamo le conseguenze tutti, in prezzi di energia più elevati degli altri, e dunque in minore potere d’acquisto dei cittadini e meno occupazione. Siamo tutti più poveri, per scelte locali basate su pregiudizi. Non credo che l’Italia se lo può permettere ».

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