lunedì 29 settembre 2014

Porto Taranto, sit in lavoratori Tct: Autorità portuale, TCT, Istituzioni locali, tutti si giustificano e scaricano su altri. Ma in realtà tutti in questi anni se ne sono fregati degli operai, col pieno accordo delle OO.SS che ora fanno i sit-in. Gli operai non devono essere pedine di nessuno!

TARANTO - I lavoratori della Taranto terminal container (Tct), società partecipata da Evergreen ed Hutchinson, che gestisce il molo polisettoriale, hanno organizzato con i sindacati un sit-in permanente sotto la sede dell’Autorità Portuale per protestare contro i ritardi nella infrastrutturazione dello scalo e per manifestare preoccupazione per il loro futuro occupazionale. Ieri l’ultima nave che avrebbe dovuto attraccare a Taranto ha improvvisamente cambiato rotta per raggiungere Trieste. Una volta appresa la notizia, i lavoratori hanno bloccato momentaneamente l’ingresso del terminal e poi si sono riuniti in assemblea programmando le successivi iniziative di mobilitazione.
Gli interventi previsti, a partire dai dragaggi, sono bloccati a causa di contenziosi amministrativi. E i soci di maggioranza Evergreen e Hutchinson hanno deciso di togliere il porto di Taranto da una delle rotte oceaniche della Compagnia. Sindacati e lavoratori chiederanno di incontrare il presidente dell’Authority, Sergio Prete, che riveste anche il ruolo di commissario per i lavori di infrastrutturazione. Sono 530 i lavoratori interessati dalla cassa integrazione a rotazione da oltre due anni.

giovedì 25 settembre 2014

RISPOSTA AD UN COMMENTO DELLA 1° PARTE DI "LAVORO SALARIATO E CAPITALE"

Riportiamo un breve commento arrivato da Palermo in merito alla parte di sintesi dI "Lavoro salariato e capitale" postata giovedì 18 settembre - inizio della formazione operaia on line; insieme alla nostra risposta.

Invitiamo tutti a postare commenti, domande, o propri approfondimenti, precisazioni. Pubblicheremo tutto.

COMMENTO: "Da quello che ho capito, l'operaio produce beni di valore, ma che non gli viene riconosciuta in termini di denaro, il valore di quello che ha prodotto servirà a fare arricchire i padroni.dovrebbe essere valorizzato il lavoro di un operaio e ricompensarlo in misura adeguata al prodotto. invece i padroni sfruttano l'operaio x arricchirsi. spero di essermi espressa bene, caso mai mi chiarirete se non ho capito"
Grazia precaria coop Palermo

RISPOSTA: Si, il capitalista non paga all'operaio il prezzo del suo lavoro o del prodotto del suo lavoro, ma un salario che corrisponde al prezzo della forza-lavoro, determinato, come qualsiasi merce, dai costi della sua produzione, vale a dire dal tempo di produzione di quei beni che all'operaio servono per andare il giorno dopo a lavorare, a rifarsi sfruttare.
L'operaio vendendo al capitalista la sua forza lavoro, questa non è più sua. Il capitalista essendo diventato proprietario per un giorno, una settimana, un mese, di questa merce particolare la mette al lavoro. In questo tempo di lavoro, per es. 8 ore, solo una minima parte del lavoro dell'operaio serve per ricostruire quella forza lavoro, il resto delle ore, poniamo 5, questi fa lavoro gratis per il capitale. Ma il capitalista ha già pagato quella forza lavoro come tutte le altre merci (quindi, nell'esempio, per 3 ore, il tempo della sua produzione). E in questo non è "cattivo o ladro", dal momento che la forza lavoro è una merce come tutte le altre. Io - dice il capitalista - quanto pago un vestito? Il prezzo che corrisponde al tempo di produzione di quel vestito; quindi lo stesso mi comporto con la forza lavoro operaia, pago a te lavoratore il prezzo corrispondente al tempo di produzione di quei beni che ti fanno esistere.
Però, dice il capitalista, io ti ho acquistato per 8 ore e quindi per 8 ore sei mio; pertanto l'operaio, dopo, poniamo, le 3 ore in cui ricostruisce il costo della sua "merce", deve continuare a lavorare fino alle 8 ore.
Quindi non si tratta che il capitalista non dà valore al lavoro dell'operaio e che dovrebbe "ricompensarlo in misura adeguata al prodotto". Il valore del lavoro, il prodotto, per la legge capitalista, non devono interessare all'operaio, più di quanto non interessi ad una macchina di quella fabbrica.
E ancora una volta, questo non avviene per "cattiveria" (altrimenti l'eliminazione del lavoro salariato consisterebbe solo nell'avere capitalista più giusti e che pensino ad arricchirsi un pò meno...); il capitalista si alzerebbe in piedi sorpreso e risentito di questo attacco alla sua "correttezza" e direbbe: "ma io ho pagato giustamente la forza-lavoro dell'operaio, ciò che poi questa merce particolare produce è affare mio e io non devo dare nessuna parte di questo prodotto all'operaio!". E rispetto alla legge del capitale - per cui l'operaio è formalmente "libero", ma appartiene al capitale, come uno schiavo, come una macchina - quel padrone ha ragione...

Quando tu scrivi: "dovrebbe essere valorizzato il lavoro di un operaio e ricompensarlo in misura adeguata al prodotto", questo è possibile solo con il rovesciamento del sistema del capitale e delle sue leggi; con l'abolizione dello sfruttamento, lavoro salariato, con la costruzione di una società socialista in cui non c'è più la stridente contraddizione di oggi, per cui tutta la produzione, la ricchezza è sociale, ma l'appropriazione dei frutti di questa produzione è privata.  

"Giovedì rosso" - FORMAZIONE OPERAIA - 2° PARTE - PIU' SI SVILUPPA LA RICCHEZZA, LA SOCIETA' E PIU' SI IMPOVERISCE L'OPERAIO

Nella 1° parte abbiamo visto che l'operaio non vende al capitale il lavoro, ma la sua forza-lavoro che per il capitalista è al pari di una merce, ma particolare, perchè produce valore, lavoro gratis per il capitale. Il capitalista non paga all'operaio il prezzo del suo lavoro e del prodotto del suo lavoro, ma un salario che corrisponde al prezzo della forza-lavoro, determinato, come qualsiasi merce, dai costi della sua produzione, vale a dire dal tempo di produzione di quei beni che all'operaio servono per andare il giorno dopo a lavorare, a rifarsi sfruttare.  

Da "Lavoro salariato e capitale" di MARX

2° PARTE

"Il capitalista e l'operaio sono legati. “L’operaio va in malora se il capitale non lo occupa. Il capitale va in malora se non sfrutta la forza-lavoro”. “La condizione indispensabile per una situazione sopportabile dell’operaio è dunque l’accrescimento più rapido possibile del capitale produttivo... del potere del lavoro accumulato sul lavoro vivente. Accrescimento del dominio della borghesia sulla classe operaia”.
L’operaio, quindi, “produce la ricchezza estranea che lo domina, il potere che gli è nemico, il capitale... i mezzi di sussistenza rifluiscono nuovamente verso di lui, a condizione che esso si trasformi di nuovo in una parte del capitale...”.
Sino a tanto che l’operaio salariato è operaio salariato, la sua sorte dipende dal capitale. Questa è la tanto rinomata comunità di interessi tra operaio e capitalista.
Se cresce il capitale, cresce la massa del lavoro salariato, cresce il numero dei salariati; in una parola, il dominio del capitale si estende sopra una massa più grande di individui. E supponiamo pure il caso più favorevole: se cresce il capitale produttivo, cresce la domanda di lavoro e sale perciò il prezzo del lavoro, il salario”.
Ma “il rapido aumento del capitale produttivo provoca un aumento ugualmente rapido della ricchezza, del lusso, dei bisogni sociali e dei godimenti sociali. Benchè dunque i godimenti dell’operaio siano aumentati, la soddisfazione sociale che essi procurano è diminuita in confronto con gli accresciuti godimenti del capitalista, che sono inaccessibili all’operaio, in confronto col grado di sviluppo della società in generale”. Quindi più si sviluppa la ricchezza, la società e più, relativamente, si impoverisce la condizione dell’operaio.
Inoltre, il salario non è determinato solo dalla somma di denaro, dalla massa di merci che può acquistare, ma da altri rapporti.
Primo, il salario è determinato in rapporto al valore dei mezzi di sussistenza. Se il prezzo dei mezzi di sussistenza aumenta, gli operai nominalmente possono continuare a ricevere lo stesso salario di prima, ma “per lo stesso denaro essi ricevevano in cambio meno pane, meno carne, ecc. Il loro salario era diminuito non perchè fosse diminuito il valore dell’argento (del denaro), ma perchè era aumentato il valore dei mezzi di sussistenza”. “il prezzo in denaro del lavoro, il salario nominale, non coincide quindi con il salario reale, cioè con la quantità di merci che vengono realmente date in cambio del salario”.
Secondo, il salario è determinato anche dal rapporto col profitto del capitalista. “questo è il salario proporzionale, relativo” che esprime “il prezzo del lavoro immediato, in confronto con quello del lavoro accumulato, del capitale”, “supponiamo, per esempio, che il prezzo di tutti i mezzi di sussistenza sia caduto di due terzi (per es. da 900 a 300 euro), mentre il salario giornaliero è caduto solo di un terzo (per esempio da 900 a 600 euro)”. Quindi, nonostante che il suo salario sia diminuito, l’operaio può comprare più merci di prima. Ma ciononostante, “il suo salario però è diminuito in rapporto al guadagno del capitalista. Il capitalista pagando all’operaio un salario inferiore di un terzo (prima 900 euro, ora 600 euro), aumenta il suo profitto di 300 euro. “Il che vuol dire che per una minore quantità di valore di scambio che egli paga all’operaio, l’operaio deve produrre una quantità di valori di scambio maggiore di prima”. Se prima su 8 ore l’operaio lavorava 4 ore per sè per reintegrare il suo salario, e 4 ore per il capitalista, ora, con la riduzione di un terzo del suo salario, lavora 3 ore per sè e 5 ore per il profitto del capitalista.
La parte del capitale in rapporto alla parte del lavoro è cresciuta. La distribuzione della ricchezza sociale fra capitale e lavoro è diventata ancora più diseguale. Il capitalista, con lo stesso capitale, comanda una maggiore quantità di lavoro. Il potere del capitalista sulla classe operaia è aumentato; la posizione sociale del lavoratore è peggiorata, è stata sospinta un gradino più in basso al di sotto di quella del capitalista”.
Quindi, salario e profitto stanno in rapporto inverso. “Il profitto sale nella misura in cui il salario diminuisce e diminuisce nella misura in cui il salario sale”.
Il salario relativo può diminuire anche se il salario reale sale assieme al salario nominale, al valore monetario del lavoro, a condizione che esso non salga nella stessa proporzione che il profitto. Se, per esempio, in epoche di buoni affari il salario aumenta del 5 per cento mentre il profitto aumenta del 30 per cento, il salario proporzionale, relativo, non è aumentato, ma diminuito”. Quindi, “per quanto il salario possa aumentare, il profitto del capitale aumenta in modo sproporzionatamente più rapido”.
Dire che l’operaio ha interesse al rapido aumento del capitale significa soltanto che quanto più rapidamente l’operaio accresce la ricchezza altrui, tanto più grosse sono le briciole che gli sono riservate”, tanto più la classe operaia forgia “essa stessa le catene dorate con le quali la borghesia la trascina dietro di sè”.
L’accrescimento del capitale è frutto soprattutto dell’aumento della forza produttiva; questa aumenta innanzitutto “con una maggiore divisione del lavoro, con una introduzione generale e un perfezionamento costante del macchinario”. Ma la concorrenza su scala sempre più mondiale dei capitalisti porta a ricominciare sempre questa strada: ancora “maggiore divisione del lavoro, più macchinario, una scala più grande su cui vengono sfruttate la divisione del lavoro e il macchinario”.
La legge non gli concede tregua (al capitalista) e gli mormora senza interruzione:Avanti! Avanti!”.
Ma come agiscono queste circostanze, le quali sono inseparabili dall’aumento del capitale produttivo, sulla determinazione del salario?”.
La più grande divisione del lavoro rende capace un operaio di fare il lavoro di cinque, di dieci, di venti; essa aumenta quindi di cinque, di dieci, di venti volte la concorrenza fra gli operai, sia perchè si vendono più a buon mercato, sia perchè “uno fa il lavoro di cinque, di dieci, di venti...”.
Inoltre nella stessa misura in cui la divisione del lavoro aumenta, il lavoro si semplifica. L’abilità dell’operaio perde il suo valore. Egli viene trasformato in una forza produttiva semplice, monotona, che non deve far più ricorso a nessuno sforzo fisico e mentale. Il suo lavoro diventa lavoro accessibile a tutti”, e “quanto più il lavoro è semplice, quanto più facilmente lo si impara, quanto minori costi di produzione occorrono per rendersene padroni, tanto più in basso cade il salario, perchè come il prezzo di qualsiasi altra merce, esso è determinato dai costi di produzione... l’operaio cerca di conservare la massa del suo salario lavorando di più, sia lavorando più ore (lavoro straordinario), sia producendo di più nella stessa ora”.
L’umanità del capitalista consiste in più lavoro possibile al prezzo più basso... i padroni tentano di ridurre il salario, senza portare nessuna modifica nominale, ma, per esempio, accorciando la pausa per i pasti fanno lavorare un quarto d’ora in più, ecc.” (da Appunti sul salario).
Ma “più egli (l’operaio) lavora, meno salario riceve, e ciò per la semplice ragione che nella stessa misura in cui egli fa concorrenza ai suoi compagni di lavoro, egli si fa di questi compagni di lavoro altrettanti concorrenti, che si offrono alle stesse cattive condizioni alle quali egli si offre, perchè, in ultima analisi, egli fa concorrenza a se stesso, a se stesso in quanto membro della classe operaia”.
La legge generale del mercato fa sì che “non possono esserci due prezzi di mercato e domina sempre quello più basso (a quantità eguale). Supponiamo 1.000 operai di uguale qualifica di cui 50 senza pane; il prezzo non verrà determinato dai 950 che lavorano, bensì dai 50 disoccupati. Ma questa legge del prezzo di mercato grava più pesantemente sulla merce-forza lavoro, che su altre merci, perchè l’operaio non può conservare la propria merce in magazzino, ma deve vendere la sua attività vitale, oppure morire per mancanza di mezzi di sussistenza” (da Appunti sul salario).
Anche l’introduzione di macchine sempre più perfezionate portano agli stessi risultati perchè sostituiscono operai qualificati con operai non qualificati, provocano il licenziamento di gruppi di operai”.
Ma gli economisti ci raccontano che per gli operai licenziati, soprattutto per i giovani operai, “si apriranno nuovi campi di impiego”. “Ciò costituisce evidentemente una grande soddisfazione per gli operai colpiti. Ai signori capitalisti non mancheranno carne e sangue freschi da sfruttare; si lascerà ai morti la cura di sotterrare i loro morti”. Perchè, comunque, loro, i capitalisti, non vorrebbero mai licenziare cacciare via tutti gli operai, perchè ”se tutta la classe dei salariati fosse distrutta dalle macchine, che cosa terribile per il capitale, il quale senza lavoro salariato (la fonte del suo profitto) cessa di essere capitale”.
Ma pur se gli operai licenziati trovano nuova occupazione “credete voi che tale occupazione sarà retribuita come quella che è andata perduta? Ciò sarebbe in contraddizione con tutte le leggi dell’economia”.
...Al posto dell’uomo che la macchina ha eliminato, la fabbrica occupa forse ora tre ragazzi e una donna. Ma il salario dell’uomo non avrebbe dovuto bastare per tre bambini e una donna... per conservare e accrescere la razza? (come dicono gli economisti) - No, questa affermazione ”non prova altro, se non che ora vengono consumate quattro volte più vite operaie di prima, per guadagnare il sostentamento di una sola famiglia operaia”.
Per di più le fila della classe operaia vengono ingrossate anche da settori sociali non proletari che si impoveriscono, da strati più alti della società che vengono buttati sul lastrico dalla concorrenza, che “non hanno nulla di più urgente da fare che di levare le braccia accanto alle braccia degli operai. Così la foresta delle braccia tese in alto e imploranti lavoro si fa sempre più folta, e le braccia stesse si fanno sempre più scarne”.
In ogni crisi, l’operaio è rinchiuso nel seguente circolo vizioso: il datore di lavoro non può impiegare gli operai, perchè non riesce a vendere il suo prodotto. Non può vendere il suo prodotto perchè non trova acquirenti. Non trova acquirenti, perchè gli operai non hanno altro da offrire in cambio che il loro lavoro e proprio per questo non riescono a cambiarlo” (da Appunti sul salario).
Infine, nella misura in cui i capitalisti sono costretti, dal movimento che abbiamo descritto, a sfruttare su una scala più grande i mezzi di produzione giganteschi già esistenti, e a mettere in moto per questo scopo tutte le leve del credito, nella stessa misura aumentano i terremoti industriali... in una parola nella stessa misura aumentano le crisi. Esse diventano più frequenti e più forti per il solo fatto che, e nella misura in cui, la massa della produzione, cioè il bisogno di estesi mercati, diventa più grande, il mercato mondiale sempre più si contrae, i nuovi mercati da sfruttare si fanno sempre più rari, poichè ogni crisi precedente ha già conquistato al commercio mondiale un mercato fino ad allora non conquistato o sfruttato dal commercio soltanto in modo superficiale. Ma il capitale non vive soltanto del lavoro. Signore ad un tempo barbaro e grandioso, egli trascina con sè nell’abisso i cadaveri dei suoi schiavi, intere ecatombe di operai che periscono nelle crisi”.
Di conseguenza “sempre più diminuiscono proporzionalmente i mezzi di occupazione, i mezzi di sussistenza per la classe operaia, e ad onta di ciò il rapido aumento del capitale è la condizione più favorevole per il lavoro salariato”.
La sorte del lavoro salariato è legata al capitale, come la corda sostiene l’impiccato."...

(CONTINUA AL PROSSIMO GIOVEDI' ROSSO)

mercoledì 24 settembre 2014

Non si deve morire per parto a soli 24 anni!

Palma Masella, una ragazza di 24 anni è morta lunedì all’ospedale Santissima Annunziata di Taranto poco dopo aver partorito. 


La donna, alla terza gravidanza, è stata colta da arresto cardiocircolatorio dopo aver dato alla luce una bimba, con parto cesareo. 
Ora il pubblico ministero Maurizio Carbone, ha firmato le comunicazioni giudiziarie per i 6 medici che hanno seguito l’intervento.

Le donne del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario di Taranto, nel comunicare la loro tristezza alla famiglia di Palma, denunciano che, al di là dell'iter giudiziario e delle eventuali responsabilità individuali che saranno accertate, è tutta la sanità che non va ed è a rischio, e purtroppo Taranto in questo è ai primi posti. 



E', quindi, questa situazione che deve cambiare! Perchè è 
inaccettabile che oggi si debba morire anche per un parto. 

I Disoccupati Organizzati, soprattutto le donne, si mobilitano in tanti quartieri

"DISOCCUPATI, UNIAMOCI, RIBELLIAMOCI"

In questi giorni i Disoccupati Organizzati stanno tappezzando i quartieri più disagiati, dai Tamburi a Paolo VI, in cui si unisce una condizione di 'niente lavoro e niente salute', con manifesti, e distribuendo volantini, per chiamare all'unità, organizzazione, alla lotta i disoccupati. 
In particolare ai Tamburi, l'appello viene portato in quelle strade e vicino le scuole che ai primi di novembre dovrebbero essere oggetto dei lavori di bonifica, per dire che in questi lavori devono essere assunti i disoccupati. 
Interventi vengono fatti anche al Collocamento.

In questo, le più attive e combattive sono le donne, spesso sole, con figli piccoli. Alcune cominciano ad organizzarsi, prendono volantini per distribuirli alle altre donne nel loro quartiere, vicino le scuole. 
Il 30 hanno ottenuto un primo incontro con la nuova assessora al lavoro e ai servizi sociali.
MA ORA, DICONO, E' IMPORTANTE ESSERE IN TANTE.
Per questo chiamano le altre donne a partecipare, a venire il martedì presso la sede slai cobas, via Rintone, 22 dalle ore 18 alle 19.

VOGLIONO PREPARARE UNA MANIFESTAZIONE CON LA PRESENZA ANCHE DEI LORO BAMBINI! 

La Commissione Elettorale Rsu della Cementir, in rappresentanza solo di Cgil, Cisl, Uil, viola le regole per non discutere il ricorso dello Slai cobas

Senza neanche convocare, come stabilisce il regolamento, l'intera commissione elettorale, in cui era presente fino alle elezioni Rsu lo slai cobas, il presidente della Commissione "sente" i rappresentanti dei sindacati confederali e ribadisce la scelta (arbitraria) per cui il 3° delegato deve essere quello della cisl. 

La prossima settimana lo slai cobas chiederà la convocazione da parte del Comitato di garanzia-Direzione del Lavoro. 

Si riportano parti del ricorso dello Slai cobas:

"... RICORSO avverso la decisione assunta da 3 componenti della Commissione elettorale (esclusa il membro della CE dello Slai cobas) di attribuire un delegato eletto alla lista Filca Cisl, sulla base di motivazioni non regolamentari.
Si ricorda che sia la lista SLAI COBAS sia la lista FILCA CISL hanno preso esattamente lo stesso numero di voti di lista: 10. Ugualmente, entrambe le liste hanno complessivamente ottenuto lo stesso numero di preferenze: 10.

Per quanto sopra rappresentato, si fa presente che in base al regolamento per le elezioni delle RSU, in caso di parità di voti o parità di resti riportati da liste diverse, i seggi vengono attribuiti alla lista che ha ottenuto complessivamente il maggiore numero di preferenze.
Nel caso in questione risultano sia parità di voti di lista che parità, complessivamente, di preferenze ai candidati. 

Pertanto, la decisione di cui al verbale del 17.9.2014, non ha alcun supporto di legittima motivazione.
Nella nota a verbale, infatti, si fa riferimento all'art.11 “Preferenze” comma 4 pg, 15 e 16 del testo unico del 10.1.2014. Questo articolo e comma parlano di modalità di indicazione delle preferenze di candidati al momento del voto e non di “attribuzione dei seggi” di cui invece parla l'art.18 1° e 2° comma, che così recita: “Nell'ambito delle liste che avranno conseguito un numero di voti sufficienti all'attribuzione dei seggi, i componenti saranno individuati seguendo l'ordine dei voti di preferenza ottenuti dai singoli candidati e, in caso di parità di voti di preferenza, in relazione all'ordine di lista”.
E' palese che quanto sopra riportato si riferisce solo alla “parità di voti di preferenza” in una stessa lista – non certo alla parità di preferenze di candidati tra liste diverse.

Nel caso in questione, ci troviamo pertanto di fronte a due liste, Slai cobas e Filca cisl, che si trovano con parità di voti di lista e parità di voti di preferenza.
A questo punto non si può arbitrariamente attribuire a una delle liste, nel caso concreto alla Filca cisl, l'elezione del candidato.
In questa situazione, in altre realtà i sindacati confederali stessi, nonché l'Aran, a fronte di questo caso scrivono: “Il regolamento elettorale non chiarisce il caso in cui si verifichino contestualmente parità di voti alla lista e parità di preferenze ai candidati”, e demanda alla commissione elettorale di trovare la soluzione più opportuna. 

Quindi andava riconvocata la Commissione Elettorale nella sua interezza. 
Cosa che non è stata fatta. 

E' EVIDENTE CHE I SINDACATI CONFEDERALI STANNO FACENDO DI TUTTO PER NON "AVERE TRA I PIEDI", LO SLAI COBAS CHE SICURAMENTE ROMPEREBBE I FACILI ACCORDI CONTRO I LAVORATORI FATTI DA QUESTI SINDACATI CON LA CEMENTIR.

MA COMUNQUE - COME ABBIAMO DETTO DAL PRIMO MOMENTO DOPO LE VOTAZIONI, O DENTRO O FUORI LE RSU, NE' AZIENDA NE' CGIL, CISL, UIL SI POTRANNO LIBERARE DELLO SLAI COBAS. 

Ilva - l'ambiente va a finire in una "Bad-company" - cioè in malora, insieme ai lavoratori, masse popolari che vogliono giustizia e interventi immediati. Questa prospettiva va contrastata e respinta!

(da Il Quotidiano) - "ArcelorMittal ribadisce l'interesse per Ilva e conferma che sul dossier è al lavoro con il gruppo Marcegaglia... È la strada su cui spinge il Governo, con il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, che ha chiamato intorno ad un tavolo al ministero tutti gli attori della possibile operazione: il responsabile per le operazioni M&A di ArcelorMittal e ceo per l'Europa, Aditya Mittal; Antonio e Emma Marcegaglia, che condividono le deleghe al timone del gruppo di famiglia; il commissario straordinario dell'Ilva, Piero Gnudi, e gli advisor. Il clima è di riservatezza, con il ministero che si limita ad indicare che l'incontro «è stato approfondito e cordiale».
Ma la partita («una operazione molto complessa, una matassa difficile da districare» fanno notare fonti vicine al dossier) è anche e forse soprattutto politica, con il Governo che vede in gioco anche l'impatto su Taranto ed il futuro dell'industria dell'acciaio italiana, e che è chiamato a mettere in campo tutte le condizioni necessarie per rendere l'operazione fattibile agli occhi di investitori privati. Tra le ipotesi, anche quella di creare una newco per lasciare in una bad-company tutti i rischi che potranno derivare dalle gestioni passate, a partire dal contenzioso ambientale, e per mettere quindi al sicuro i futuri nuovi azionisti da ogni incertezza legata alla «vecchia-Ilva».".

Ciò che governo e nuovi padroni si apprestano a fare va respinto immediatamente da parte degli operai e delle masse popolari di Taranto!

Per "mettere al sicuro" i profitti dei nuovi soci, che devono avere un'Ilva sgravata di debiti e di interventi economici per l'inquinamento, puntano a creare due società: una "buona" ripulita da problematiche ambientali, ma sicuramente "ripulita" anche da operai "in esubero"; e una "cattiva" in cui devono essere buttate tutte le questioni che per i nuovi padroni sarebbero solo costi, fastidi e non utili, in primis, quindi, gli interventi di risanamento ambientale, i risarcimenti a lavoratori, cittadini ammalati o morti, e, non ultimo, gli operai diventati "zavorra". 

La logica "mors tua vita mea" del capitale e dei suoi governi scavalca ogni norma sociale, per cui chiunque vada ad acquistare un bene patrimoniale, dovrebbe prenderlo così com'è, con gli aspetti buoni e con gli aspetti da aggiustare; ma questo non vale per i padroni!

Chi si illudeva, compreso parte degli stessi operai Ilva, che liberandoci di Riva tutto si sarebbe sistemato, ora può aprire gli occhi: i padroni, italiani o stranieri/indiani che siano, sono una razza bastarda e tutti i governi, si chiamino Berlusconi o Renzi, sono al loro servizio!

Se passa questa ipotesi, all'Ilva la situazione sarà come e peggio dei tempi di Riva. Da un lato una "Nuova società" ottenuta dagli indiani e da nuovi padroni italiani quasi gratis, e in cui, chiaramente, l'obiettivo è che i soldi da investire debbano servire per la produzione, per battere sul mercato mondiale la concorrenza, non certo per difendere realmente salute e sicurezza; e i diritti degli operai saranno ancora di più carta straccia, anche in termini di difesa del posto di lavoro, del salario, delle condizioni di lavoro: tra un pò, conteremo i morti "indiani"?
Dall'altra vi sarà la "Bad company", una sorta di "buco nero" che proprio perchè pieno di debiti, non farà nulla soprattutto sul fronte del risanamento ambientale. 
NON PERMETTIAMOLO!

martedì 23 settembre 2014

Per l'Ilva arriva a Taranto anche la Jindal - ma le prospettive sono svendita dello stabilimento ai nuovi acquirenti (come si fece a suo tempo con Riva), taglio dei posti di lavoro, nessun serio impegno per l'ambientalizzazione...

(Ansa)
"... Oggi e domani la delegazione di Jindal sarà all'Ilva di Taranto per fare un sopralluogo agli impianti, mentre giovedì e venerdì a Milano, quartier generale della società, dove incontrerà il managing director dell'Ilva... e probabilmente anche il commissario Piero Gnudi...
Jindal è in corsa per la Lucchini di Piombino ma è anche interessato all'Ilva così come ha fatto presente, due settimane fa, al premier Matteo Renzi incontrato in Prefettura a Firenze...
Ora sarebbero almeno quattro i potenziali acquirenti di Ilva: oltre ad Arcelor Mittal e Jindal, c'è anche un gruppo brasiliano e gli arabi di Emirates, ma questi ultimi due non hanno ancora fatto passi formali.
Rispetto a Jindal, Arcelor Mittal appare tuttavia più avanti avendo cominciato prima. E oggi pomeriggio al Mise esponenti del gruppo incontreranno il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, e il commissario Gnudi. Dovrebbe esserci anche il gruppo Marcegaglia in quanto soggetto potenzialmente interessato a far parte della nuova cordata dell'Ilva... Nell'incontro odierno Arcelor Mittal – che a Taranto ha i suoi tecnici già a giugno e per due volte – potrebbe chiedere al Governo garanzie in ordine al percorso per l'acquisizione dell'azienda. In sostanza, il gruppo franco indiano sembrerebbe disposto a farsi carico dei costi industriali e ambientali dell'acquisizione (tra l'altro il Governo ribadisce che la bonifica è una priorità) ma non di quelli derivanti dalla vicenda giudiziaria in corso... (che dovrebbe) invece essere accollata sul patrimonio dei Riva sequestrato dalla Procura di Milano, di cui una parte servirebbe anche ai lavori ambientali dello stabilimento...". 

(da Sole24Ore)

Il modello di riferimento sembra essere per questa acquisizione quello dell'Alitalia. C'è da dire che se tanto mi dà tanto, c'è eccome da preoccuparsi, visti i passaggi successivi che vi sono stati dopo l'operazione Alitalia, con oltre duemila lavoratori fuori.

(da TarantoOggi) - "Secondo indiscrezioni provenienti dal mondo finanziario, i futuri proprietari dell'Ilva rileveranno almeno il 30-40% delle azioni... un altro 10-15% dovrebbe essere rilevato da un gruppo italiano (Marcegaglia e Arvedi insieme o soltanto il gruppo Marcegaglia). Ai Riva, almeno inizialmente, dovrebbe restare non più del 20%, proprio per evitare che facciano ancora la parte del leone..." Si formerebbe una nuova società, "Nuova Ilva Spa". 

Ma - (continua TarantoOggi)"... nella "Nuova Ilva Spa" non ci sarà posto per tutti gli attuali 16,200 dipendenti e per tutti gli stabilimenti in possesso dell'attuale Ilva Spa. Sarà il nuovo acquirente a decidere cosa tenere in vita e cosa no. E di quanto personale avrà bisogno... Stringendo il campo ciò avverrà soprattutto per lo stabilimento di Taranto... Tra l'altro Arcelor Mittal ha già da tempo chiarito che non ha la minima intenzione di accollarsi i lavori previsti dal piano di risanamento ambientale...
...L'Ilva, proprio come avvenne esattamente 20 anni fa con il gruppo Riva, sarà svenduta dal governo italiano..."

Ilva/Mittal - ma che succede nelle fabbriche di Arcelor Mittal in Francia?

Francia, operai occupano la direzione delle fabbriche ArcelorMittal (2012)

Gli operai francesi della ArcelorMittal di Florange hanno occupato la direzione della fabbrica per protestare contro la decisione di prolungare lo stop ai lavori di altri tre mesi, oltre i tre mesi già trascorsi. Gli operai temono una chiusura definitiva degli impianti che significherebbe mandare a casa oltre cinque mila persone.
...gli operai metallurgici di ArcelorMittal stanno occupando gli altiforni. Gli operai oggi dichiarano di avere “due nemici”, l’azienda, insomma i padroni, e il governo socialista “traditore”, chiamando a pronunciarsi direttamente il Presidente Hollande. La situazione già molto tesa, è precipitata quando l’azienda ha annunciato che il piano europeo per la ripresa produttiva, contemplato nel protocollo d’accordo tra Arcelor e governo, era “sospeso”, insomma finito nel cestino.
...Intanto anche le altre fabbriche di Arcelor sono scese in sciopero e a Fos Sur Mer gli operai bloccano i cancelli

La rabbia dei lavoratori belgi di ArcelorMittal degenera in scontri a Namur. La polizia è ricorsa agli idranti quando un gruppo degli oltre 1.000 manifestanti ha tentato di avvicinare il Consiglio Regionale della città, dove era in corso un incontro fra rappresentanti politici e sindacali.
A dar fuoco alle polveri, il recente annuncio del gigante dell’acciaio, di voler chiudere sei linee a freddo dei suoi impianti di Liegi.
Appena a fine novembre, il gigante dell’acciaio aveva manifestato l’intenzione di investire sulle linee a freddo dell’impianto di Liegi, definendole di “importanza strategica”.

Hollande cerca di ‘salvare’ l’Ilva francese. E tra i compratori spuntano anche i Riva

François Hollande sta cercando di salvare la Taranto francese. Con le buone e con le cattive. Ieri sera si è incontrato all’Eliseo con Lakshmi Mittal in persona, il magnate indiano, proprietario del più grosso gruppo siderurgico al mondo (ArcelorMittal),
Nel 2006 Mister Mittal riuscì a prendere il controllo del gruppo franco-lussemburghese Arcelor-Mittal, con l’impegno a investire e valorizzare gli impianti. In realtà così non è stato, anche a causa della crisi economica, in particolare dell’industria dell’auto: nella fornitura di questo comparto ArcelorMittal è leader mondiale assoluto. Già nel marzo del 2009, ancora nella Mosella, nell’Est del Paese, nonostante un braccio di ferro con Nicolas Sarkozy, venne chiuso l’impianto di Gandrange, proprietà di ArcelorMittal. E lo scorso primo ottobre il colosso indiano ha annunciato anche la chiusura definitiva dei due altiforni del polo di Florange (650 addetti). In realtà gli indiani vogliono conservare la parte a freddo del complesso, dove fabbricano i prodotti per l’industria dell’auto,
L’idea di Lakshmi Mittal era semplicemente chiudere i due altiforni e impedire che i concorrenti potessero acquisirli. Da sottolineare: il polo di Florange ancora oggi, considerato nella sua totalità e nonostante la crisi, non è in perdita.
(nel Paese ArcelorMittal controlla in tutto sette altiforni e ha 20mila dipendenti).

Lakshmi Mittal. 62 anni, è il classico miliardario indiano che si è fatto dal nulla (tutto è iniziato da una piccola e antiquata acciaieria del padre). E’ attualmente il ventunesimo uomo più ricco del mondo. Ma ArcelorMittal va male: il gruppo è gravato da un debito di 18 miliardi di euro”. 

lunedì 22 settembre 2014

Chi sono Mittal e Jindal che vogliono comprare l'Ilva?

Quei magnati venuti da Oriente signori di metalli e miniere

SONO SOTTO IL CONTROLLO DI FAMIGLIE RICCHISSIME LE CONGLOMERATE CHE DOMINANO LA SIDERURGIA IN INDIA...


Roma Tre milioni di euro solo per i fiori. Il matrimonio da favola a Savelletri di Fasano (40 chilometri da Brindisi) tra Rohan Meta e Ritika Agarwa, ha fatto atterrare in Puglia uno stuolo di famiglie che messe insieme fanno una buona quota del Pil indiano. Sarà un caso, la siderurgia l’ha fatta da protagonista. Il padre di Rikita è Pramod Agarwal, miliardario indiano del ferro, fondatore e proprietario del colosso Zamin Group. Mentre, tra gli ospiti, spicca la figura di Sajjan Jindal, presidente di Jsw Steel, che ha presentato la proposta di acquisto per le acciaierie Lucchini di Piombino. Si dice che l’idea gli sia saltata in mente mentre era qui per il matrimonio. “Business is business” e gli eventi mondani spesso si prestano a forgiare business, a consolidare legami, ad ampliare il network.... La Jsw Steel è il più grande gruppo indiano privato dell’acciaio, in piena fase di espansione... «A Brindisi, due passi da Taranto, dove c’è la storica Ilva, Sajjan Jindal deve aver fiutato l’aria di dismissioni che tira sull’acciaieria italiana e ha capito che probabilmente è il momento per portare a casa un buon affare»,
Il mercato dell’acciaio è in una fase di transizione. A livello mondiale la domanda è ancora debole, ma l’outlook è positivo, tra il 2016-2018 dovrebbe cessare il ciclo di sovrapproduzione per l’Europa, dove, secondo Carsten Riek, analista di Ubs, le imprese più solide sono tutte in ripresa ed è il momento di comprare azioni.

E la regina dei listini e dei rating è ArcelorMittal, altro colosso del settore di origine indiana che vuole comprare l’Ilva di Taranto. Comprare, investire, costruire: per Ernst & Young sono le tre direttrici per conquistare posizioni... L’acciaio è il barometro dell’economia di un paese. E l’India già oggi al quarto posto nella classifica della produzione mondiale, dovrebbe balzare al secondo, dicono le stime di Ibef, Indian brand equity Fondation, subito dopo la Cina, un gigante in questo ambito.

Una crescita al ritmo del 6,9% l’anno tra il 2008 e il 2012, ultimi dati disponibili. Confermata dalle proiezioni della World Steel Association. Un mercato dove dominano da una parte imprese pubbliche dall’altra imprese private nelle mani di famiglie ricche ma anche potenti politicamente.

Sajjan Jindal ha altri tre fratelli, tutti al timone di comando dei business ereditati dal padre, Om Prakash, imprenditore e parlamentare. Anche uno dei fratelli, Naveen, è parlamentare del partito Indian National Congress. Solo Jsw Steel, nata nel 1982, vale oggi 9 miliardi di dollari americani, ha sei stabilimenti in India ma opera dagli Usa al Sud Africa e sta facendo acquisizioni anche nelle miniere, altro asset importante in India, per garantire materia prima a minor costo...

Il re dell’acciaio è Lakshmi Nivas Mittal, 49mo uomo più potente al mondo nella classifica del magazine Forbes, a capo di Arcelor Mittal,.. E’ nato nel Rajsthan ma vive a Kensington, Londra. E’ uno degli uomini più ricchi del pianeta. Arcelor Mittal fattura 59 miliardi di dollari. E’ quotata a Parigi, Amsterdam, Lussemburgo, New York, Bruxelles e Madrid. Se dovesse, per assurdo, fallire, affonderebbe gli indici di Borsa di tutto il mondo... Ora vorrebbe comprare le acciaierie Ilva di Taranto e quelle di Genova. Due basi chiave per partecipare all’annunciata ripresa dell’acciaieria europea

La ingiustizia per i pescatori indiani assassinati dai marò val bene le relazioni economico-politiche dei governi italiano e indiano

Fa bene Massimiliano Latorre, uno dei due marò ora a Taranto, a ringraziare con la lettera scritta l'altro giorno tutte le Istituzioni, il governo, i ministri Mogherini e Pinotti, perchè la sua venuta in Italia, come in generale viene trattata dal governo e dallo Stato italiano, tutta la vicenda dei marò (primo pensiero nelle dichiarazioni ufficiali dei Ministri, fino anche all'intervento di apertura della Fiera del Levante del Sindaco di Bari), è un chiaro esempio non di giustizia, ma di una grande ingiustizia al servizio degli interessi economico-politici dell'imperialismo italiano e dello Stato indiano.

Da un lato i forti interessi dell'Italia, sia quelli esistenti - vedi Finmeccanica - sia quelli futuri - vedi la possibile acquisizione degli stabilimenti siderurgici Ilva e Piombino da parte dei colossi indiani dell'acciaio, Mittal e Jindal, sia quelli commerciali e diplomatici per la presenza nel mercato mondiale; dall'altro l'interesse del nuovo governo indiano del fascista Modi ad una politica estera più ambiziosa, più vantaggiosa per l'India che porti maggiori business.
Come scriveva giorni fa il Corriere della Sera: "La correlazione fra l'interesse italiano a riportare a casa i marò e quello indiano di evitare inutili intoppi alla scalata verso il Consiglio di sicurezza, potrebbe aprire spazi paralleli per un negoziato serio", benchè - aggiunge - "L'Italia è vista dall'India come un paese simpatico ma non rilevante".

Per questi interessi, i pescatori uccisi e le loro famiglie non avranno giustizia e i due marò assassini forse ce li ritroveremo nelle future elezioni politiche in Italia in qualche lista fascista, e, comunque, nell'essere propaganda vivente dell'azione all'estero da imperialismo straccione dello Stato italiano.

I punti del Jobs Act al servizio dei padroni - dal blog proletari comunisti

PREMESSA
una riforma del lavoro che ha come scopo solo la difesa dei profitti padronali nella crisi, portata avanti con stile moderno fascista

I padroni hanno necessità di “fare cassa” e di avere un mercato della forza-lavoro e del suo uso ultraflessibile per mantenere i profitti, che per buona parte di loro sono continuati nella crisi; sono preoccupati di stare in Europa e nel mondo dove la contesa è forte e, nonostante tutto, una certa ripresa c'è. E, quindi, avere un fronte interno efficiente e “veloce” è importante.
Quindi, sono gli industriali i veri azionisti di maggioranza del governo Renzi, quelli della grande industria ma anche della media e piccola industria, dell'industria privata come dell'industria “pubblica”, dell'industria operante sul mercato mondiale ma anche piccola industria “schiacciata, come dicono loro, da tasse e sindacati”. Renzi, sta lì per fare fatti concreti, immediati, liberandosi in una certa misura da mediazioni parlamentari e da mediazioni sindacali.
Non si possono capire i provvedimenti in corso e l'azione del governo se non si coglie qual'è l'azionista di maggioranza effettivo di questo governo, fuori dai Palazzi della politica e in una certa misura fuori dall'entourage tecnocratico che imbriglia.

Renzi con il jobs act e la cancellazione dlel'art. 18 e di buona parte dello Statuto dei Lavoratori vuole dare un segnale forte al padronato europeo, italiano, concentrando l'attacco sulla classe operaia e sui lavoratori. Lo fa con stile moderno fascista chiamando a raccolta innanzitutto tutta la destra e l'estrema destra attorno a sé, convinto com'è che l'attuale PD, incancrenito e senza alcuna possibilità di cambiamento di campo, non possa impedire tale disegno.
Il riferimento alla Thatcher e al Reaganismo sono corretti sul piano storico, ma è bene restare su quello che noi chiamiamo moderno fascismo, perchè nel nostro paese ogni svolta autoritaria e reazionaria assume questo carattere, come già Berlusconi ci aveva abituati.
In questo quadro l'attacco all'art. 18 è innanzitutto un attacco ideologico e politico, i suoi effetti economici sono relativi (perchè già ampiamente svuotati dalla riforma Fornero e dagli stessi padroni che quando non sono a loro misura se ne fregano delle leggi), e quindi la reazione deve essere anche ideologica e politica da parte della classe operaia e del movimento sociale di lotta.
Ideologico, perchè si vuole affermare il primato assoluto del capitale e la sua dittatura di classe sui posti di lavoro e nella società, facendo leva sulla crisi ideologica del movimento operaio. Politico perchè vuole creare un nuovo stato consolidato alla marcia del governo dei padroni.
La parte più insidiosa però dell'azione del governo, che fa leva sull'utilizzazione spregiudicata dei mass media come e peggio di Berlusconi – ad esempio, anche la 7 è allineata col governo – è quella di cercare di mettere masse contro masse, usando pienamente la demagogia antisindacale, che nella situazione attuale è antioperaia essenzialmente, chiamando a raccolta la gioventù intellettuale disoccupata, il mondo della precarietà, ecc.

Quindi se è giusto essere realisti e pessimisti sull'esito della battaglia concreta e non farsi quindi trascinare nei deliri autoreferenziali della sinistra riformista e della ex sinistra parlamentare, noi dobbiamo pensare alla nostra classe, e all'opportunità che questa battaglia offre per mobilitare, conquistare e far giocare un ruolo d'avanguardia a settori della classe operaia, ai settori proletari assimilabili (cioè quelli organizzati dal sindacalismo di base e di classe).

PUNTI DEL PIANO RENZI

"Tutele crescenti" e sconto per i padroni
Ci sono solo due forme di lavoro: autonomo e dipendente. Quella dipendente, a sua volta, si suddivide in tempo determinato e tempo indeterminato a tutele crescenti. Se l'azienda assume a Tempo indeterminato avrà incentivi, una sorta di sconto, che dovrebbe restituire se il licenziamento avvenisse nei primi tre anni. Le ditte non pagherebbero i contributi nei primi tre anni, e i neoassunti verrebbero esclusi dall'applicazione dell'articolo 18 per cui i padroni in questi tre anni possono tranquillamente e in ogni momento licenziare. La flessibilità "in entrata", come dice Renzi, è in realtà tutta in "uscita";
Essendo i contratti a progetto e le altre forme di precariato cancellate, i lavoratori avrebbero tutti gli stessi diritti (minimi di retribuzione, maternità, ferie, ammortizzatori sociali) secondo il tipo di contratto (a termine o a tutele crescenti). Il nuovo contratto a tutele crescenti si applicherebbe solo alle assunzioni successive all’entrata in vigore della legge.
Ma l'introduzione di un "contratto unico", per - si dice - eliminare i vari contratti attuali, in realtà è l'unificazione al livello più basso (anche a livello di inquadramento contrattuale e quindi retributivo), di tutte le forme di precarietà in una sola, senza più limiti e rischio di vertenze per i padroni.

L’articolo 18
Nel nuovo sistema il diritto al reintegro resterebbe solo sui licenziamenti discriminatori (fede religiosa, politica, appartenenza sindacale, razza, ecc.) mentre in tutti gli altri casi l’azienda potrebbe licenziare liberamente il lavoratore dietro pagamento di un’indennità economica crescente in rapporto agli anni di servizio prestati (le ipotesi variano da uno a tre mesi di stipendio per anno di lavoro).
Nei primi tre anni i padroni possono liberamente licenziare senza neanche dare l'indennizzo. 


I nuovi ammortizzatori 
Una volta licenziato il lavoratore, in aggiunta all’indennizzo dall’azienda, avrebbe l’indennità di disoccupazione dallo Stato. Si tratterebbe in pratica dell’Aspi (assicurazione sociale per l’impiego) già prevista dalla riforma Fornero, ed estesa a tutti i lavoratori dipendenti, compresi quelli a contratti a progetto, collaborazioni varie e altre forme di precariato.
Ma su questa indennità di disoccupazione il governo è ancora alla ricerca di un miliardo e mezzo di euro da mettere nella legge di Stabilità per il 2015. L’indennità avrebbe un tetto (per l’Aspi nel 2014 è di 1.165 euro) e una durata massima (potrebbe essere allungata da 18 a 24 mesi). I disoccupati però devono partecipare a corsi di formazione e accettare proposte di lavoro, altrimenti perderebbero l’assegno; formazione che, come alcune esperienze già mostrano, si tratta solo di ore di tempo sprecate, inutili, senza effettive prospettive di nuovo lavoro, e usate di fatto in forme ricattatorie.
Sparirebbero prima del previsto la cassa integrazione in deroga e l’indennità di mobilità. Via anche la cassa integrazione per chiusura di aziende. Resterebbe solo la cig ordinaria per momentanei cali di produzione e quella straordinaria per ristrutturazioni aziendali, che però potrebbe essere attivata solo dopo aver attuato riduzioni dell’orario.
Gli operai ci perderebbero due volte, per l'entità e la durata del sussidio, ma soprattutto perchè, con l'abolizione della cig per crisi o in deroga, verrebbe immediatamente interrotto ogni rapporto con l'azienda, senza alcuna possibilità, come ora, di rientro.

LE NORME GIA' APPROVATE A MAGGIO

Contratti a termineIl contratto a termine ha una durata complessiva di 36 mesi, senza il requisito della "causalità", per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nell'ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato. Le proroghe possono essere 5 (ma i rinnovi dei contratti possono superare di molto questo limite). Il numero di contratti a tempo determinato non può eccedere il limite del 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato, ma se viene superato è prevista solo una piccola multa!
Apprendistato e Formazione: ancora più vantaggiosi per i padroni. Al lavoratore è riconosciuta una retribuzione che tenga conto delle ore di lavoro effettivamente prestate. Mentre le ore di formazione vengono retribuite al 35%. Gli obblighi formativi sono svuotati e senza una comunicazione dalla Regione, il datore di lavoro non è tenuto ad integrare la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere con quella finalizzata all'acquisizione di competenze di base e trasversali.
Contratti di solidarietà: anche questi ancora più vantaggiosi per i padroni. I datori di lavoro che stipulino il contratto di solidarietà, hanno diritto per un periodo non superiore ai 24 mesi, a una riduzione dell'ammontare della contribuzione previdenziale ed assistenziale per i lavoratori con riduzione dell'orario di lavoro maggiore del 20 per cento. La misura della riduzione è fissata dal decreto emendato al 35%.

domenica 21 settembre 2014

Ai Tamburi partono le bonifiche - ma la società AXA deve assumere i disoccupati dei Tamburi

Nella prima metà di novembre dovrebbero iniziare i primi lavori di bonifica dei terreni ai Tamburi, si tratta delle aree in cui il Comune fece il divieto di far andare o giocare i bambini: in particolare via Deledda, via Archimede, cia Galeso, ma anche via Lisippo, via Troylo, via Macchiavelli.
Alla bonifica sono interessate anche alcune scuole: Vico, Gabelli, Giusti.
Per quanto riguarda la scuola Deledda, qui il contratto è stato già firmato il verbale di consegna delle aree alla ditta.

Il Comune, quindi, tra due settimane dovrebbe firmare con la società vincitrice, la AXO di Lecce, il contratto e i lavori si dice dovrebbero durare almeno 5 mesi.

E' da quest'inverno che in vari incontri, iniziative di lotta i Disoccupati Organizzati Slai cobas chiedono che, per un discorso di giustizia sociale, di parziale risarcimento dei danni subito dagli abitanti dei Tamburi, per unire salute e lavoro (perchè in questi quartieri si muore per inquinamento ma neanche si vive senza lavoro e reddito e proprio in quartieri come ai Tamburi il tasso di disoccupazione è tra i più alti), gli appalti per i lavori di bonifica contemplino una clausola sociale che vincoli la ditta appaltatrice ad assumere almeno una percentuale dei disoccupati dei quartieri da bonificare.
Finora il Sindaco e assessori vari hanno fatto su questo "orecchi da mercante" - hanno risposto con la repressione e gli insulti ai Disoccupati Organizzati alle loro proposte costruttive - o si sono trincerati dietro la legge - quando altri comuni, vedi Torino, è da tempo che inseriscono in alcuni appalti questo tipo di clausola sociale.
I DISOCCUPATI ORGANIZZATI SLAI COBAS, QUINDI, TORNANO A CHIEDERE QUESTO DIRITTO: LA SOCIETA' AXO DEVE ASSUMERE UNA PERCENTUALE TRA I DISOCCUPATI DEI TAMBURI.
IL COMUNE LO PUO' E LO DEVE FARE.

NELLO STESSO TEMPO TORNIAMO A CHIEDERE CORSI DI FORMAZIONE LEGATI ALLE BONIFICHE, DA FARE URGENTEMENTE.

Disoccupati Organizzati Slai cobas

I Disoccupati danno appuntamento in sede via Rintone, 22 per MARTEDI' 23 SETT. ore 18/19.

Cementir in forte crescita, operai in forte decrescita - Ma Cgil-Cisl-Uil firmano ad occhi chiusi...

Riportiamo i dati ufficiali, usciti quest'estate sulla situazione alla Cementir. 
Questi dati dimostrano che il gruppo Caltagirone ha ridimensionato lo stabilimento di Taranto e forze ora lo vuole proprio smantellare non certo per crisi, ma unicamente, come altri capitalisti, per tagliare dove il costo del lavoro è più alto ed aprire e aumentare la produzione dove può tagliare salari e diritti dei lavoratori. 
Una situazione in cui, se ci fosse un Ministero del Lavoro minimamente osservante almeno delle sue stesse leggi, non si dovrebbe autorizzare alla Cementir la cassintegrazione - che per legge o è per crisi o per ristrutturazione, e non per far risparmiare soldi e far aumentare il profitto al capitale. 
Ma, chiaramente, le direzioni di Cgil, Cisl, Uil, fanno le tre scinmmiette: non sento, non vedo, non parlo... MA FIRMO.

Cementir semestre in forte crescita - operai invece in forte decrescita. Risultati oltre le attese, obiettivi anno confermati

(ANSA) - ROMA, 29 LUG - Cementir Holding, gruppo Caltagirone, chiude i conti del primo semestre 2014 con "risultati superiori alle aspettative del management": l'utile netto di gruppo sale a 20,5 milioni, +177,2%. Ricavi in linea, +0,1% a 472,8 milioni, per "il buon andamento delle attività nelle diverse attività geografiche ad eccezione dell'Italia" che "è stato neutralizzato da un effetto cambio negativo": a cambi costanti i ricavi sarebbero saliti del 9,4%. Confermati i target economici e finanziari per il 2014.
Un utile quasi triplicato rispetto ai 7,4 milioni dello stesso periodo dell'anno scorso. 
Per quanto riguarda le previsioni, nella seconda parte dell'anno Cementir,si attende una la prosecuzione del positivo andamento delle attività nei Paesi Scandinavi, in Turchia e in Estremo 
Oriente. In Egitto, invece, è difficile prevedere l'evoluzione del mercato, data l'instabilità politica e sociale che interessa il Paese da più di due anni, ma si attende un contributo positivo pur se inferiore all'esercizio precedente. In Italia, infine, nel secondo semestre del 2014 non sono attesi segnali di ripresa. 
Vengono confermati gli obiettivi economici e finanziari per l'anno 2014 che prevedono il raggiungimento di un margine operativo lordo superiore a 180 milioni di euro e un indebitamento finanziario netto di circa 280 milioni di euro".  

sabato 20 settembre 2014

"Tra crolli e degrado così muore città vecchia" - ma non tutto crolla...

Ma c'è da dire che non tutto crolla a Taranto Vecchia, perchè vi sono gli stabili che si lasciano crollare, e che non vengono mai ristrutturati dal Comune e invece i Palazzi che non solo non crollano ma vengono ristrutturati, riportati alla loro valenza antica anche artistica... solo che questi vengono utilizzati per aprire un hotel a costi proibitivi, un ristorante di lusso, un pub chic, un bar per chi vuole andare ogni tanto a sentire l'humus della Taranto vecchia... 
C'è da sospettare che volutamente le case vengano lasciate crollare, così via via gli abitanti della Città vecchia sono cacciati e lasciano finalmente tutto il posto agli imprenditori privati.
Imprenditori privati che non solo si prendono i palazzi più belli, ma si appropriano anche di ipogei, di terrazze con una visione panoramica bellissima, cioè di beni pubblici che dovrebbero essere sempre aperti - curati dal Comune - e sempre visitabili; a differenza di ora che - a parte, bontà loro! una volta all'anno in occasione dell'"isola che vogliamo" - per vedere un ipogeo devi pernottare in quel Hotel o sorseggiare un costoso aperitivo nella sua terrazza - vedi Hotel Akropolis e altri...


"In via Duomo l’ennesimo cedimento. Risanamento: servono soldi e idee

Via Duomo, nei pressi di un noto hotel. Un altro crollo, segnalato da un nostro lettore. Lì vicino, ci dice, anche “un solaio che può cadere da un momento all’altro, e non si è ancora visto nessuno per 
intervenire”. Solo poche ore prima, la caduta di una soletta di un balcone e, in precedenza, di alcuni 
calcinacci.
Quindi, le dichiarazioni di inagibilità, gli sgomberi.


Ecco come muore quello che potrebbe essere uno dei centri storici più belli del Mezzogiorno. Morte 
annunciata, in realtà. Perchè tutti sanno che la città vecchia di Taranto sta letteralmente cadendo a 
pezzi, un po’ alla volta. C’è “l’attività di monitoraggio per catalogare gli immobili a rischio crollo”, certo, ma la vera difficoltà è trovare un edificio che sia sano.
Restano i sigilli disposti dalla magistratura, nell’ambito dell’inchiesta su quei lavori-fantasma che 
dovevano tutelare i residenti e ridare decoro al borgo antico e che invece, secondo la Procura, 
sarebbero serviti solo a gonfiare qualche portafogli. Un bluff, l’ennesimo, in una città - al di là e al di qua del ponte girevole - piena di sfregi, edifici che se non sono fatiscenti sono rimasti in costruzione, 
perchè bloccati dalle inchieste o magari solo così, perchè sono finiti i soldi. Quelli che ci vorrebbero 
per ‘risanare’ (parolina magica che a Taranto va bene per qualsiasi cosa) l’Isola, senza limitarsi a 
mettere transenne su transenne.
Oltre ai soldi, però, ci vogliono idee. Una visione di futuro, per quello che è il passato di Taranto. Ci sono imprenditori privati che ci stanno mettendo gli uni e le altre, aprendo locali, bed & breakfast, negozi.
E’ la parte pubblica quella che manca, che non rispetta il ‘contratto sociale’. Si era addirittura paventata a possibilità di portar via dai vicoli quella gemma che è l’istituto musicale Paisiello, una delle poche glorie di una città abituata a nascondere, se non a distruggere, le proprie bellezze.
Quegli studenti, insieme ai ragazzi dell’Università (solo succursale di quella di Bari, non dimentichiamolo) sono l’unica, vera, grande speranza per Taranto vecchia"

Il Jobs Act di Renzi: frasi ampollose per la misera difesa dei padroni - dal blog "proletari comunisti"

Il significato del jobs act, con al centro la cancellazione dello Statuto dei lavoratori e dell'art. 18, è voluto dai commis del capitale per una ragione prettamente di salvaguardia del profitto padronale: tagliare il costo del lavoro per i padroni, dare a loro, dando una nuova e pesante stangata ai diritti dei lavoratori, ancor più il potere di utilizzo selvaggio della forza lavoro - quando e dove serve - in entrata e soprattutto in uscita e chiaramente durante il rapporto di lavoro.
Chiamano - e se non fosse tragico sarebbe da ridere - questa riforma del rapporto di lavoro "a tutele crescenti", lì dove una volta arrivati (ammesso che si arrivi...) alla soglia in cui dovrebbero "crescere" queste tutele, l'azienda si libera di quel lavoratore senza problemi e ricomincia con le "tutele inesistenti".
Se il Ddl passa il capitalista farà legalmente quello che in buona parte già fa (con qualche fastidio a volte di controlli, vertenze, sentenze della magistratura); quindi il governo Renzi (la cui famiglia di "truffe" è ben esperta - lasciatecelo dire...) non sta facendo altro che innalzare a "dignità di legge" il basso banditismo, l'andazzo truffaldino dei padroni grandi o piccoli.  

Ma tutto questo Renzi e la sua corte lo sta facendo vestendolo di roboanti frasi ideologiche, dell' "alto significato sociale" che avrebbe il jobs act...; portando avanti un finto "scontro ideologico" che cerca di coprire solo e soltanto questo basso (ma per loro "alto") interesse del capitale e dell'Italia capitalista che sgomita con molta difficoltà nella concorrenza sul mercato mondiale.

Detto questo, l'operazione politico-ideologica, però, non va sottovalutata.
E in questo, l'attacco allo Statuto dei lavoratori, e all'art. 18, sia pur ormai ampiamente svuotato, mostra, più di altri punti della controriforma, come la questione al centro sia la rideterminazione del rapporto capitale/lavoro salariato.

Questa "riforma" trasuda tutto il disprezzo delle condizioni dei lavoratori, come dei giovani (mai così nominati impropriamente) come persone, della loro fatica, delle loro disperazioni, delle loro angosce, delle loro vite, ma viene portata avanti con un'operazione verso l'opinione pubblica, e gli stessi lavoratori e i giovani, di inganno, che rovescia le questioni, che vuole far passare il "male" per "bene" e il "bene" per "male".
La salvaguardia di residui diritti, che non sono mai per sè ma per l'intera classe dei lavoratori attuali e futuri - basti vedere le lotte degli anni '70 che hanno strappato diritti di cui per almeno un paio di decenni hanno usufruito le nuove generazioni, viene chiamata "egoismo", "ideologismo"; di contro, la riduzione del salario e delle condizioni di lavoro al livello più basso possibile per tutti, viene innalzata a "uguaglianza tra vecchi e nuovi lavoratori"; la condizione ultraprecaria dei giovani - che dalla Legge 30 in poi, da Biagi a Treu, ecc., i vari governi (siano stati di centrosinistra o di centrodestra) hanno voluto e creato, viene addebitata ad una sorta di corporativismo ideologico dei lavoratori; e via di questo passo.
Dentro il mondo del lavoro sta avvenendo quello che Marx descriveva, l'uso dei disoccupati per ricattare gli operai, per togliere loro diritti, per dequalificarli, per abbassare il salario di tutti, per poter liberamente licenziare questa forza lavoro e sostituirla con quelli che bussano alle porte delle aziende.
Addirittura vogliono coprire l'attacco a diritti intoccabili - come le ferie, per cui uno dovrebbe rinunciare alle sue ferie per aumentare quelle del suo compagno di lavoro - strumentalizzando vigliaccamente il normale senso di unità tra i lavoratori,

Ma dietro queste false parole, appare senza orpelli la realtà nuda e cruda, ineliminabile, dell'antagonismo di classe, da un lato la classe dei padroni, con i loro governi, le loro leggi che per la difesa di un pugno di persone sta portando ad un moderno schiavismo gli operai, i lavoratori, e ha reso il lavoro un "privilegio" e il futuro dei giovani un buco nero; dall'altra la classe dei proletari (lavoratori, licenziati, disoccupati, giovani, donne) che per difendere o avere un lavoro e un salario minimamente decente, per avere una vita dignitosa per sè e per le generazioni future non ha altra strada che liberarsi delle catene dei padroni e del loro sistema.

Cementir: OO.SS. dopo le grida un misero accordo che perpetua l'agonia degli operai - mentre sull'inquinamento, silenzio

Dopo le grida, le fibrillazioni dei giorni scorsi da parte dei sindacati confederali sul futuro della Cementir e sul rischio di perdita di posti di lavoro, il 19 settembre hanno fatto un misero nuovo accordo di cassintegrazione ordinaria, massimo per un altro anno, per proseguire l'agonia dei lavoratori. Confermandoci nel sospetto che tutto quell'agitarsi in coincidenza delle elezioni Rsu era per paura e cercare di contrastare l'elezione dei delegati dello Slai cobas per il sindacato di classe e stringere gli operai attorno a loro, usando il timore del futuro e dicendo anche "stronzate" della serie, che se vince lo Slai cobas, questi "farebbero chiudere la Cementir".

(da TarantoOggi) -  “Abbiamo aperto con l’azienda una fase di discussione”. Questo quanto affermato dal segretario generale della Fillea Cgil di Taranto Antonio Stasi, in merito a quanto avvenuto ieri nella sede di Confindustria Taranto, nell’incontro tra la Cementir e le organizzazioni sindacali Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil.
Quest’oggi (ieri) infatti, scadono i 12 mesi di cassa integrazione straordinaria per “crisi aziendale” a turno, per dodici mesi, per i 98 lavoratori del sito tarantino come stabilito dall’accordo romano siglato un anno fa. Dal 1 gennaio scorso infatti, la Cementir di Taranto si è trasformata in un centro di macinazione, con la chiusura dell’area a caldo e quindi la cessazione dell’attività produttiva. Cosa che ha comportato il passaggio dalle 98 alle 42 unità presenti in azienda giornalmente, con una riduzione della forza lavoro di ben 56 dipendenti, con la collocazione in cassa integrazione straordinaria di circa il 50% della forza lavoro.
Da ieri invece, si è iniziato a discutere con l’azienda per avviare le pratiche per ottenere la cassa integrazione guadagni ordinaria per i prossimi 12 mesi. 
Ma come abbiamo riportato in questi giorni, riepilogando tutta la storia della Cementir, appare quanto meno strano che un’azienda non voglia licenziare nessuno, dopo aver candidamente dichiarato di non avere alcuna intenzione di investire per l’ammodernamento degli impianti. E dopo aver deciso la cessazione dell’attività produttiva di un sito come quello di Taranto che produceva 1,3 milioni di tonnellate annue di cemento.
Intanto, proprio in questi giorni si sono state le elezioni per il rinnovo delle RSU. La Fillea Cgil ha conquistato 2 rappresentanti su 3... La sorpresa delle elezioni RSU, riguarda sicuramente lo Slai Cobas, giunto secondo al pari della Cisl. “L’unica vera novità - affermano dal sindacato di classe - è che lo Slai Cobas è di fatto il secondo sindacato effettivo”. Slai Cobas che ha già prodotto un ricorso affinché il terzo delegato vada a questa lista e non alla Cisl”. Tra l’altro, lo Slai Cobas ricorda come ultimamente l’azienda ha ripreso il discorso “di voler andarsene da Taranto, con i sindacati confederali che ora fanno qualche strillo mentre hanno firmato ben due verbali di accordo sul 60% di esuberi. Il futuro, dunque, è tutt’altro che roseo...". .

Ma passiamo ad un'altra importante questione, ben presente nella piattaforma della lista Slai cobas, e su cui comunque i rappresentanti slai cobas, o dentro o fuori le Rsu, daranno battaglia:

(sempre da TarantoOggi) - "...Intanto però, è importante anche e soprattutto sapere qual è la situazione ambientale all’interno ed all’esterno dello stabilimento della Cementir. Durante la conferenza dei servizi dello scorso 17 luglio presso il ministero dell’Ambiente... si è anche discusso dei “Risultati del piano di caratterizzazione e analisi di rischio relativi alla banchina in concessione Cementir – Porto mercantile di Taranto”...
Il documento contiene l’analisi di rischio sito-specifica per la banchina del porto di Taranto in concessione alla Cementir Italia S.r.l.... Nel verbale della Conferenza dei Servizi, si legge testualmente: “La sorgente di potenziale contaminazione individuata è rappresentata dall’intera area. I recettori sono i lavoratori on sile e la risorsa idrica sotterranea. I risultati dell’Analisi di Rischi hanno inoltre evidenziato che non vi è rischio sanitario cancerogeno (R) e tossico (H) individuale e cumulativo per tutti i contaminanti indice; ma, e questo è un dato di importanza rilevante (sul quale abbiamo a lungo documentato in questi anni), “vi è rischio per la falda per i seguenti contaminanti: Ferro, Manganese, Boro, Solfati, Benzo(a)pirene, Benzo(k)fiuorantene, Benzo(a)antracene. 
La Cementir nel documento dichiara che in merito alla contaminazione riscontrata nelle acque di falda, l’intervento di messa in sicurezza/bonifica della stessa sarà oggetto di apposita attività... (con) la ‘Progettazione preliminare dell’intervento di messa in sicurezza e bonifica della falda acquifera e dei suoli demaniali nell’intero SIN"... Un protocollo d’intesa, si badi bene, del 2009....
....E’ alquanto difficile oggi, ipotizzare un futuro intervento della Cementir, visto che l’azienda sta da tempo piantando baracca e burattini. A Bagnoli, ancora oggi, attendono la bonifica del territorio inquinato dalla Cementir (e dalla Fintecna)..."