martedì 13 gennaio 2015

COORD. NAZ SLAI COBAS SC - 1° PARTE: INTRODUZIONE E PROCESSO ILVA

INTRODUZIONE
Iniziamo con l’Ilva non perché siamo a Taranto, ma perché l’Ilva è, non per decisione nostra ma del governo, questione saliente nazionale.
Non a caso l'anno si è chiuso con due decreti di Renzi nella sua "guerra" contro i lavoratori e in difesa dei padroni: il Jobs Act e quello sull’Ilva e la città di Taranto.
Quindi è il governo che ci porta ad affrontare insieme la questione lavoro e la questione Ilva-Taranto. Di qui la scelta della sede di questa riunione.

Il JA sancisce il “contratto a tutele crescenti”, che in pratica vuol dire che finchè lavori non avrai mai diritti pieni, mentre ai padroni viene data libertà di licenziare – con la cancellazione dell'art.18 - e possibilità di demansionare i lavoratori, messi alla mercè dei padroni.
Nello stesso tempo Renzi ha preso di punta Taranto per farne un laboratorio di come cambiare e fare leggi a favore della difesa del profitto padronale.
Quindi è il governo che ci porta ad affrontare insieme la questione lavoro e la questione Ilva-Taranto. Politica del governo sul lavoro e decreto Ilva sono due facce della stessa medaglie.
Di qui la scelta della sede di questa riunione.

Ma anche processo Ilva e decreto Ilva sono due facce del modo in cui vogliono risolvere i problemi, sempre a favore del profitto e dei padroni, socializzando i danni e i costi per far
ripartire i profitti.
Il processo contro Riva e complici, è un processo su un immane disastro ambientale e catena di morti per il profitto.
Ci sono stati altri processi del genere in passato, Marghera, Eternit, ecc. ma nessuno di queste dimensioni, questo fa del processo Ilva la madre di tutti i processi di questo genere, e dal cui esito possono dipendere le sorti di tante altre vicende.
Un processo, quindi, esemplare, benchè non singolare, perché sono decine le realtà e fatti che riproducono situazioni di morte simili e devastanti per il popolo.

Nel processo sono imputati, la famiglia Riva, i suoi agenti, tutte le istituzioni, gli organi di controllo, la curia, fino al funzionario digos, che invece che fare il suo dovere, spiava i magistrati e informava l’azienda. Questa la rete che coinvolge questo processo, per un disastro che ha prodotto un numero di morti incredibile, dentro e fuori della fabbrica.
Per questo è necessario che il processo veda partecipi migliaia di parti civili, organizzate in quanto tali, non attraverso le tradizionali associazioni sindacali e istituzionali, che a vario titolo sono già o dovrebbero essere nel processo in qualità di imputati.

Questo processo ha concluso una prima tappa con la sentenza sulle costituzione delle parti civili.

SUL PROCESSO

INTERVENTO DELLA COORDINATRICE SLAI COBAS
Il 16 dicembre abbiamo vinto una battaglia: tutte le parti civili presentate da noi sono state accettate: operai Ilva e appalto, lavoratori del cimitero, abitanti dei tamburi e lo stesso Slai Cobas sc. Abbiamo fatto un primo passo. Questa vittoria non era affatto scontata, per due motivi: primo, perché la stessa presentazione delle parti civili, all’inizio del percorso processuale, non è stato affatto semplice, ma complicata e ostacolata in diversi modi, ricorrendo a tutti i pretesti.
Chi ha seguito il processo e gli antefatti sa benissimo quante e quali eccezioni 
erano state fatte per impedire la presentazione come parti civili dello slai cobas 
per il sindacato di classe e dei lavoratori e cittadini organizzati dallo slai cobas 
sulla linea e prassi proposta dall'Avvocato Bonetto - processo Eternit Torino - e 
degli avvocati tarantini Lamanna presidente camera penale, Silvestre vice 
presidente della camera penale, avvocato Fausto Soggia, che senza alcuno 
onorario prestano la loro opera al servizio dei lavoratori e cittadini danneggiati, 
come battaglia di civiltà in questo maxi-processo. L'avv. Lamanna, in risposta 
agli auguri di buon anno ha detto che lui era felice e orgoglioso di rappresentare 
le nostre parti civili nel processo perchè ne condivide i valori. 
Un lavoro di costituzione fatto di assemblee tra lavoratori e cittadini 
autorganizzati e avvocati, una battaglia anche di crescita e 
partecipazione.
Per questo siamo parte civile, per proseguire questa prima battaglia 
vinta, una guerra che deve essere un processo popolare ai padroni 
assassini e ai loro complici
Siamo stati fermi sul fatto che la questione principale era la presentazione come parti civili di operai, lavoratori, cittadini organizzati allo scopo, non tanto lo slai cobas.
Solo in seguito abbiamo deciso di presentare lo Slai cobas sc, sia per contrastare l’indecente presentazione come parti civili dei sindacati confederali, sia per poter materialmente essere presenti in aula, anche per garantire il coordinamento dei nostri legali - mettere insieme sullo stesso metodo e linea avvocati differenti era necessario e anche su questo abbiamo vinto una prima battaglia.
E la prima cosa che abbiamo messo in chiaro con loro: difendono le nostre parti civili perché aderiscono a una battaglia.
Una battaglia fatta mettendoci la faccia, con nome e cognomi di persone, cosa difficile soprattutto in fabbrica per il clima di paura, ricatti, pressioni che gli operai Ilva e indotto hanno dovuto subire, rischiando discriminazioni per presentarsi come parte civile, senza coperture sindacali di comodo; ma anche per il fatto che altre realtà che potevano farlo – Usb, Liberi e pensanti - non hanno raccolto gli operai ma si sono limitati a presentare solo la loro organizzazione.
Gli operai che si sono costituiti con lo Slai cobas sc sono, quindi, dei coraggiosi. Tanti altri vorrebbero farlo ma la prima cosa che ci chiedono è “che mi può succedere?”.
Nelle prime udienze le difese degli imputati hanno detto e fatto di tutto per impedire le nostre costituzioni, e lo stesso atteggiamento del giudice, che dava agio e tempo alle difese mentre comprimeva l’agibilità degli avvocati delle parti civili, non ci confortava. In questo senso è stata in parte una sorpresa leggere nelle motivazioni della decisione sulle parti civili quello che è la nostra impostazione, vale a dire che si possono costituire anche coloro che non hanno una patologia ma vivono il rischio concreto di contrarle e riconoscendo lo stress psicologico derivante. Questa sentenza ribadisce che Riva ha danneggiato, comunque, tutti gli operai, tutta la città, anche chi attualmente, per fortuna sta bene. Come ha detto l'Avv. Bonetto: per la prima volta in questo grado di giudizio si dice che non solo chi si è ammalato a causa dell'inquinamento o i familiari di operai, cittadini deceduti possono essere parte civile, ma anche chi è attualmente sano ma è sottoposto costantemente, a causa dell'esposizione a più agenti altamente inquinanti, ad uno stress psicologico da "timore di ammalarsi". Si è riconosciuta di fatto la nostra tesi, cioè che anche il "timore di ammalarsi", lo “stress psicologico” è un danno morale riconosciuto dalla giurisprudenza, quale sofferenza soggettiva.
Ora questa prima vittoria deve incoraggiare tutti.
Nell’ordinanza del giudice inoltre si dice che i sindacati possono costituirsi parte civile “indipendentemente dall’iscrizione del lavoratori al sindacato…”; quindi si riconosce che il fatto di avere pochi iscritti, effetto di un'azione di disturbo e discriminazione non può essere motivo per un ulteriore esclusione dalla difesa dei diritti dei lavoratori in sede di processo. Anche questa verità deve uscire e vogliamo portare al processo.
D'altra parte la sentenza di riconoscimento delle parti civili di fatto estende la possibilità di presentazione, anche agli operai che hanno lavorato per pochi anni “sotto Riva”, ai lavoratori operanti vicino all'area Ilva (come quelli della Pasquinelli), come agli abitanti anche di Paolo VI, borgo e Statte. Questo ci conforta e apre la strada alla presentazione nella prima udienza dibattimentale di altri parti civili già organizzate e invitiamo altri operai Ilva e appalto, lavoratori operanti nell'area Ilva e cimitero, abitanti anche di Paolo VI, Statte e borgo, a mettersi in contatto per essere parte civili al processo.

Resta forte il senso di ingiustizia per l’accettazione delle costituzioni di CGIL, CISL, UIL e FIOM, FIM, UILM, dato che questi sono pienamente corresponsabili della situazione di attacco quotidiano alla salute e sicurezza in fabbrica e della criminale azione dell'Ilva di inquinamento; e per il loro ruolo, appunto sindacale, sono dal punto di vista della difesa degli operai ancora più da condannare, perchè hanno ampiamente contribuito, ora col silenzio (anche dei loro RLS in Ilva e nell'appalto), ora con espliciti accordi di svendita di diritti fondamentali dei lavoratori e di cogestione, ora con la condivisione della logica criminale padronale di mettere la produzione e gli interessi aziendali al primo posto, e, in generale, frenando e indebolendo la forza di opposizione dei lavoratori, ad arrivare negli anni alla gravissima situazione di oggi.
Ricordiamo che a seguito di una esplicita denuncia dello slai cobas, RLS dei sindacati confederali sono imputati per la prima volta nel processo per la morte dell'operaio Di Leo. E tante altre denunce sono state fatte che dimostrano esplicitamente questa costante corresponsabilità.
Ora, questi sindacati confederali si trovano come parti civili nel processo Ilva, quando avrebbero dovuto stare dall'altra parte. E dobbiamo sentire l'avvocato della Fiom-Cgil sostenerne la costituzione dicendo nell'udienza del 16 dicembre scorso che il sindacato ha "diritto di intervenire nelle scelte dei sistemi di produzione...". E perchè la Fiom-Cgil, come fim e uilm, non l'ha preteso e fatto a suo tempo? Perchè invece ha assunto una linea di concertazione?
È assurdo che nel processo, fra le varie questioni, da un lato si citino 3 infortuni mortali, compreso quello di Claudio Marsella. morto anche in conseguenza di un accordo firmato dai sindacati confederali, e poi dall'altro vengono accettati come parti civili.
In un incontro che avemmo col Procuratore, dicemmo chiaramente che i sindacati avrebbero dovuto essere imputati, ci rispose: lasciate fare questo processo, poi vedremo.
Nel corso del processo, però avremo possibilità di indicare testi, compresi segretari sindacali, che punteremo a trasformare in imputati. Senza la loro incriminazione, secondo noi questo processo è monco.

Ma per comprendere la portata di questo processo, occorre mettere in luce quello che è avvenuto realmente in questa grande fabbrica. Padron Riva ha preso a prezzo stracciato la fabbrica di Stato che già aveva condotto, nel silenzio-assenso di Istituzioni con la collaborazione del sindacalismo confederale, una produzione per il profitto, con una catena infinita di morti sul lavoro, inquinamento, malati morti per tumore dalla città.
Il passaggio dalla fabbrica di Stato alla fabbrica di Riva ha aggravato e accentuato questa situazione. Da un lato Riva ha innalzato la produzione, ha intensificato lo sfruttamento, ha violato sistematicamente le norme sulla sicurezza, ha avuto campo libero per inquinare la città.

Abbiamo letto e sentito più volte che “neanche gli operai sono innocenti”, specie da parte di certo ambientalismo. Ma noi sappiamo che non è cosi. Ci sono stati negli anni momenti di opposizione collettiva degli operai sulle questioni della sicurezza e condizioni nocive, come pure tante denunce individuali, ricordiamo il blocco del lavoro al convertitore da parte dei due ex delegati Fiom (Battista e Rizzo, attualmente uno a capo dei Liberi e pensanti e l'altro dell'USB), poi licenziati da Riva e rientrati non per merito della Fiom ma per intervento di Vendola, e nessun ambientalista allora li ha difesi, la loro stessa organizzazione sindacale li ha rimossi e messi a tacere. Ma tutto questo è stato ostacolato, frenato, impedito dai sindacati confederali, con accordi e accettazione di organizzazione del lavoro che ha prodotto miliardi di profitti per Riva – i miliardi nascosti poi nei paradisi fiscali li faceva nell'Ilva di Taranto...
Quindi non è vero che gli operai hanno subito passivamente, è vero invece che non hanno mai trovato né nei sindacati confederali e meno che mai nelle forze politiche degenerati e assente la sponda necessaria per fermare la mano del padrone, difendersi. I governi di centrodestra nazionale, Berlusconi e i suoi ministri Fitto e i sindaci Di Bello, prima Cito, la Provincia, sono stati complici permanenti del sistema Riva. Il cambio delle amministrazioni non ha provocato nessun mutamento.

L'inchiesta della Magistratura, assolutamente tardiva rispetto alle denunce che venivano da operai, lavoratori, alcuni settori ambientalisti, è finalmente poi partita e siamo entrati nella fase che ha portato al processo. Qui, da un lato l'inchiesta della magistratura non ha saputo distinguere le responsabilità dei padroni e dei suoi effettivi complici, prima tra tutti i vertici sindacali, dalla difesa degli operai, e ha messo effettivamente la fabbrica di fronte alla prospettiva della chiusura, cosa che non poteva non creare una reazione dei lavoratori che ha rischiato per alcuni mesi di creare una contrapposizione tra operai e cittadini; dall'altro le forze che si sono schierate con la magistratura hanno messo nello stesso sacco operai e azienda, considerando che la fabbrica, e non il sistema capitalista, ha creato questa situazione. Così la stessa ribellione antisindacale dei Liberi e pensanti del 2 agosto 2012 non è riuscita a unire intorno a sé operai e cittadini in una lotta per difendere lavoro e salute.
Occorre scrivere la vera storia dell’Ilva, e noi ci stiamo impegnando anche per questo.
La morale è in quella fabbrica c’è stata una guerra, ma i lavoratori l’hanno persa. Questa è la solo colpa degli operai: non aver trovato la strada per impedire il disastro e le morti. Ma tutti gli altri, che quando gli operai venivano colpiti, o quando lo Slai era criminalizzato ed escluso, voltava la faccia

Lo Slai cobas ha contrastato questa situazione in ogni momento, schierandosi contro tutte queste posizioni e ottenendo come risultato una campagna di isolamento, uno sforzo congiunto di isolarci, impedirci il rafforzamento in fabbrica, negandoci da parte dell'azienda i diritti sindacali e facendo pressione, rispetto ad ogni sforzo che noi facevamo, sui lavoratori per allontanarli dallo Slai cobas.
Ma questa battaglia non è passata. L'azienda ha dovuto riconoscere i diritti sindacali, le forze che ci hanno contrastato sono diventate famose sui giornali ma non hanno portato alcun risultato pratico per i lavoratori e le masse popolari.
Le nostre parole d'ordine “Padroni in galera e operai in fabbrica”, “nocivo è il capitale non la fabbrica” sono ancora e sempre più valide. Nella nostra battaglia i lavoratori sono protagonisti e devono lottare per una fabbrica e una città risanate.
Noi già prima dell'inchiesta avevamo fatto dell'Ilva una questione nazionale con la Rete nazionale per la sicurezza, la formazione dell'Associazione familiari, le vittorie in Tribunale su Palazzina Laf, Nuova Siet, “Riva assassino”, mentre tutti gli altri che sono usciti fuori, ambientalisti, ecc., erano assenti. Abbiamo respinto le querele di Palombella, del segretario della Fiom, mentre quelli che poi hanno fatto i “fenomeni” in fabbrica erano dentro i sindacati confederali, sia pure in posizione critica. Abbiamo organizzato una grande manifestazione nazionale a Taranto nel 2010.

Ora il processo è cominciato. Una battaglia è stata vinta, bisogna vincere la guerra.
Ma questo processo deve ancora vedere la partecipazione e la forza di tutta la città, è sconcertante che a una manifestazione in centro partecipino in 3000 e alle udienze ci siamo solo noi.
Bisogna imporre che questo processo dia risposte non agli avvocati e alla legge ma ai lavoratori in carne e ossa, alle loro famiglie e tutta la città. È una guerra che va combattuta e vinta, se non la si affronta come tale, la perderemo e sicuramente non può che finire come il processo Enternit, o Marlane.
La guerra parte sin dalle prossime settimane dato che le lungaggini processuali, gestite dagli imputati puntano a ritardarne l'effettivo inizio della fase dibattimentale, siamo ancora all'udienza preliminare, dobbiamo batterci perchè l'azione degli imputati venga contrastata e respinta e si possa entro questo semestre cominciare il processo vero.

INTERVENTI

Amedeo Zaccaria - Sono il padre di Francesco Zaccaria. Voglio fare una premessa: non ho avuto modo di conoscere prima Margherita Calderazzi e posso testimoniare che è persona squisita e così credo anche gli altri.
Nonostante abbia perso un figlio, non sono per la chiusura dell’Ilva, la riterrei una sconfitta per i lavoratori.
Quando è successa la morte di mio figlio, nessuno dei sindacati si fatto sentire.
Io salivo e scendevo da una gru quando ancora l’ingegnere responsabile faceva esami all’università, quindi so perfettamente che cosa è successo.
Venti erano le violazione esistenti sulla gru in cui lavorava Francesco: mancava il dispositivo di sicurezza come da progetto e altri punti di violazione delle norme. In occasione dell’ultimo incidente tutti poi infatti mi hanno dato ragione.
Non solo allora i sindacati non si sono fatti sentire ma anche quando è successo l'ultimo incidente, hanno incitato gli operai a salire sulle gru nell'attesa che l'azienda le mettesse in sicurezza, tanto un accordo era stato fatto per la sicurezza.
Io ho sempre detto che non solo queste organizzazioni non si assumono la responsabilità della difesa dei lavoratori ma mandano avanti i lavoratori a rischiare e poi si presentano parti civili. Non è giusto.
Tanti infortuni e incidenti in Ilva sono stati coperti, anche grazie alla complicità dei sindacati. E il peggio è che la magistratura chiama questi omicidi colposi, secondo me sono assassini. La gru dove lavorava Francesco doveva essere fermata mesi prima, secondo rapporto arpa, chi non l’ha fermata è un assassino.
Anche la magistratura è complice, non è vero che la legge è uguale per tutti.
Quanto a chi ci dice “non strumentalizzate”, fate le cose in silenzio, vuole coprire i crimini. Se noi non “strumentalizziamo”, se non alziamo la voce e facciamo sapere tutto a tutti, allora copriamo gli assassini.
Ho trovato tutto giusto e soprattutto tutto vero in quello che è stato detto stamattina.
Io non ho fiducia nella magistratura. Lo stesso fatto che abbiano inserito l’assassinio di Francesco in un processo per disastro ambientale, non mi da fiducia che non vada a finire come l’Eternit…
L’unico modo per impedirlo è restare tutti uniti e partecipare alla battaglia del processo.

Operaio Ilva – Prima lavoravo al 3° sporgente e denunciai la presenza di amianto. L’azienda non la prese bene e mi trasferì in stabilimento al reparto dove più intensa era la nocività nonostante la mia patologia, documentata da tac facciale.
Andavo spesso in infermeria e chiesi di essere spostato, ma l’azienda mi chiese ulteriore documentazione. Feci un’altra perizia e per risposta dopo due mesi mi hanno convocato a Bari, dove mi hanno fatto tutte le analisi tranne quelle specifiche della mia patologia. E infine la conclusione è stata che ero in piena salute. Dunque anche a Bari sono collusi.
Solo consigliavano una nuova tac facciale. L’esito è stato che la situazione era molto peggiore che nel 2010. Occorreva un consulto chirurgico d’urgenza. Qui documentano che l’aggravamento è dovuto dall’esposizione al polverino e si consiglia l’immediato trasferimento al porto, perchè solo lo iodio può farmi respirare, l’alternativa è cortisone a vita.
Sono tornato a parlare con l’azienda con un delegato, questo non ha detto un parola per un’ora, e ancora lavoro allo stesso reparto. Quando l'altro giorno durante la mensa è venuto il delegato io l'ho attaccato davanti a tutti gli operai presenti, che mi hanno applaudito in massa; il delegato dopo mi ha preso da parte e mi ha detto che quelle parole avrei dovute dirgliele al massimo direttamente, altrimenti così io gli facevo perdere gli iscritti.

Altri operai dell'Ilva e dell'appalto sono intervenuti per ricordare fasi, episodi (un operaio ha ricordato anche la Palazzina Laf, la prima terribile collettiva situazione di mobbing) che tutti dimostrano l'azione costante di aperta collaborazione dei sindacati confederali con l'azienda e contro la tutela dei lavoratori.

A questo punto si è passati ad analizzare il decreto Ilva – SEGUIRA' RESOCONTO.

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