domenica 24 maggio 2015

Ilva: "Salviamo il diritto di proprietà" - Ma effettivamente nessuno si può fare illusioni sull'intervento dello Stato.

L'articolo che riproduciamo sotto de Il Sole 24 ore, intitolato "Il nodo della proprietà", intervenendo sul dibattito recente tra padroni e governo sull'Ilva prendendo ad occasione l'assemblea annuale della Federacciaio, conferma che ciò su cui tutti sono concordi è il "nodo della proprietà privata", cioè la difesa del capitale che fa profitti grazie solo al lavoro degli operai e quindi allo sfruttamento degli operai, compreso lo sfruttamento della loro salute e sicurezza.
Certo, nel nome di questo diritto alla proprietà privata, il giornalista evidenzia una contraddizione tra l'intervento dello Stato che avrebbe, secondo lui, già estromesso i Riva e il processo Ilva che ancora non ha emesso condanne verso i Riva, certo padroni, governo, istituzioni statali possono anche entrare momentaneamente in contraddizione; ma ciò che li unisce in questo sistema è che su tutti i diritti, quello assoluto, che non può mai essere messo in discussione è il diritto di proprietà. Invece il diritto alla salute, al lavoro, al salario, fino al diritto alla vita, pur se "garantiti" dalla Costituzione possono essere distrutti all'altare di questa proprietà privata.

Ma l'articolo dice anche altro, che senza volerlo dovrebbe suonare come avviso a tutti coloro, singoli o associazioni, che a Taranto continuano ad illudersi e ad illudere sull'intervento dello Stato nell'Ilva come panacea di tutti i mali.
Lo Stato, lo ripetiamo per l'ennesima volta, ha salvato l'Ilva per altri padroni (e i Riva non sono tutti morti...) e sta mettendo solo le briciole che, comunque, anche per gli interessi dei padroni sono troppo poche; ma non sta salvando assolutamente nè la salute, nè l'ambiente, nè tantomeno i posti di lavoro.
Facciamocene una ragione e agiamo di conseguenza...

Scrive il giornalista de Il Sole 24 ore, Paolo Bricco:
"A Taranto, mentre è in corso un processo per la determinazione delle responsabilità individuali e societarie sull’impatto ambientale dell’Ilva, si respira da alcuni mesi un’aria stranamente contraddittoria: la rabbia, prossima a diventare furia, dei piccoli fornitori fa il paio con una atmosfera artificialmente serena, sintetizzata dal refrain «tanto ormai l’azienda è di nuovo dello Stato».
Due cose non funzionano in questa tranquillità artefatta. La prima è la trasmutazione della natura giuridica dell’Ilva, con gli effetti che la trafila azione giudiziaria-commissariamento-limitazione dei diritti di proprietà-estromissione dei soci privati provoca sull’immagine internazionale. L’altra cosa che non funziona è la convinzione che tutto sia a posto, con lo Stato ormai nel ruolo inedito di prestatore di ultima istanza...
Partiamo dal primo punto. Il meccanismo di costruzione giuridica, che ha portato al controllo pubblico di una impresa privata, è stato concepito e attuato dal potere legislativo mentre il potere giudiziario – impegnato a vagliare tutte le responsabilità della famiglia Riva – non ha ancora completato il suo iter. La scelta del potere politico di estromettere da ogni soluzione i titolari dei diritti di proprietà ha colpito non solo i Riva, ma anche gli Amenduni, azionisti di minoranza peraltro in nessun modo coinvolti nella amministrazione diretta dell’Ilva dal 1995 e mai sfiorati dall’azione giudiziaria. Sarà invece il tempo a decretare la correttezza della convinzione che tutto sia a posto, dato che ormai lo Stato è “proprietario” dell’Ilva. L’ok del Gip di Milano all’utilizzo degli 1,2 miliardi di euro come base per un bond con cui finanziare i lavori di Taranto non comporta alcun automatismo: non tutti i soldi sono di semplice rientro. Quanti soldi servirebbero per ripartire? I concorrenti stranieri da tempo prendono quote di mercato. Va ricostituito il circolante. L’impresa va ripatrimonializzata. Ci sono poi gli investimenti, ambientali e industriali. Va tutto bene a Taranto?".

NO, NON VA AFFATTO BENE!

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