domenica 19 luglio 2015

20 luglio al processo Ilva - caserma vigili del fuoco - con le parti civili operai ilva - lavoratori cimiteriali - cittadini di tamburi e paolo v organizzate dallo Slai cobas per il sindacato di classe per rivendicare giustizia e risarcimentii

TARANTO – Più di tre anni di indagini, 13 mesi di udienza preliminare e ora, per il presunto disastro ambientale di Taranto e dintorni che avrebbe provocato lo stabilimento siderurgico Ilva, è arrivato il momento delle decisioni.

Domani, 20 luglio, il gup del Tribunale di Taranto Vilma Gilli farà sapere quanti dei 47 imputati (44 persone fisiche e tre società, ovvero Ilva spa, Riva Fire e Riva Forni Elettrici) che non hanno scelto riti alternativi, saranno rinviati a giudizio e dovranno essere processati, ed emetterà la sentenza per altri cinque imputati che hanno chiesto e ottenuto di essere giudicati con rito abbreviato.

La schiera degli imputati è quanto mai composita: dai vertici della famiglia Riva (non si procederà solo nei confronti dell’ex patron dell’Ilva Emilio Riva, deceduto ad 87 anni il 29 aprile 2014, ma ci sono i figli Fabio, arrestato il 5 giugno scorso dopo due anni e mezzo di 'rifugio doratò a Londra e unico detenuto, e Nicola) ad ex dirigenti dell’azienda, a politici e amministratori (tra gli altri, l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, accusato di concussione aggravata in concorso), funzionari ministeriali e regionali (è sotto accusa l'Autorizzazione integrata ambientale rilasciata all’azienda il 4 agosto 2011), ex consulenti del Tribunale, avvocati (anche un legale Ilva), un poliziotto, un carabiniere e un sacerdote.

Nell’inchiesta ci sono i fascicoli di due incidenti sul lavoro mortali, per i quali il pool della Procura guidato dal procuratore Franco Sebastio (gli altri pm sono l’aggiunto Pietro Argentino e i sostituti Mariano Buccoliero, Giovanna Cannarile, Remo Epifani e Raffaele Graziano) contesta ad un gruppo di dirigenti Ilva i reati di omicidio colposo e di omissione di cautele sui luoghi di lavoro.

Per 11 imputati, tra cui i vertici Riva, c'è l’accusa di associazione per delinquere; in 17 rischiano il processo per disastro doloso oppure per rimozione o omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro. In 15 sono accusati di avvelenamento di acque o sostanze alimentari, con la contaminazione di nove allevamenti ovino-caprini, e l'abbattimento di 2.271 capi di bestiame, e delle acque del primo seno di mar Piccolo, con distruzione delle coltivazioni di mitili.

Oltre a Vendola, tra i politici a rischio processo ci sono un deputato di Sel ed ex assessore regionale, Nicola Fratoianni, un consigliere regionale Pd appena riconfermato, Donato Pentassuglia, accusati di favoreggiamento personale, e poi un sindaco (Ippazio Stefano, di Taranto), al quale si contesta l’abuso d’ufficio, e l’ex presidente della Provincia di Taranto Giovanni Florido, accusato di concussione per induzione. Saranno giudicati dal gup con rito abbreviato l’ex assessore regionale all’Ambiente Lorenzo Nicastro, magistrato in aspettativa (accusato di favoreggiamento personale), il luogotenente dei carabinieri Giovanni Bardaro (rivelazione di segreti d’ufficio), il funzionario dell’Arpa Puglia e già consulente della Procura Roberto Primerano (falso ideologico, concorso in disastro doloso e avvelenamento di acque o sostanze alimentari), l’avv. Donato Perrini (rivelazione di segreti d’ufficio), già legale dell’ex assessore provinciale Michele Conserva (anche lui imputato) e il sacerdote don Marco Gerardo (favoreggiamento personale).

Poco più di 800 le parti civili, tra le quali i ministeri dell’Ambiente e della Salute, ma anche enti locali, sindacati, associazioni ambientaliste, parenti di operai deceduti e centinaia di privati cittadini, soprattutto residenti del quartiere Tamburi, a ridosso dell’Ilva, che quotidianamente hanno respirato sostanze inquinanti. L’Ilva in amministrazione straordinaria aveva presentato istanza di patteggiamento, ma la possibilità per l’azienda di uscire dal processo è saltata per il parere contrario espresso dalla Procura, che non ha ritenuta congrua la pena.

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