martedì 28 luglio 2015

PROCESSO-SENTENZA ILVA - 3° PARTE: GOVERNO, GIORNALISTI, GIURISTI TUTTI AL SERVIZIO DEI PADRONI

3 PARTE

IL GOVERNO AL SERVIZIO SEMPRE E COMUNQUE DEL CAPITALE
Renzi proseguendo l'opera dei governi precedenti si è schierato apertamente al servizio dei padroni assassini, con una serie di decreti tutti sotto il segno di contrastare e vanificare l'inchiesta della magistratura e il processo, usando la gravità della situazione e le preoccupazioni esistenti nella fila operaie per il lavoro, ma rispondendo in realtà solo ai diktat dei padroni dell'acciaio e della Confindustria.
I decreti annunciavano provvedimenti per ambientalizzare la fabbrica ma contengono tutti all'interno la scappatoia per evitarli. Questo ha portato al fatto che finora si è fatto poco o niente mentre la situazione in fabbrica e città è obiettivamente peggiorata. 
Su questo esiste un'ampia denuncia articolata dei decreti a cui rimandiamo.
Ma è sugli ultimi due decreti che va posta l'attenzione principale; dal punto di vista del contrasto al processo nel 7° decreto si esenta di fatto i commissari di Renzi da responsabilità penali relative a quello che può succedere in materia di sicurezza e salute – un decreto subito messo alla prova dei fatti con nuovi morti in fabbrica e nuovi gravi incidenti.
L'ultimo decreto invece è quasi un decreto dello scontro corpo a corpo che apparentemente è nei confronti dell'azione della magistratura ma che in realtà vuole mettere a tacere qualsiasi voce critica in fabbrica e in città che voglia dire: ora basta! E pone in termini seri, e non demagogici da titoli sui giornali, il problema che questa fabbrica, questi impianti, questa organizzazione del lavoro, questo sistema di comando non può avere libero corso e licenzia di uccidere. Non tanto perchè la fabbrica uccide ma perchè il capitale uccide e la condizione attuale della fabbrica è espressione di questa logica, a dimostrazione che l'industria può essere nelle mani dello Stato (perchè così è attualmente per l'Ilva) e fare le stesse cose, se non peggio, dei padroni assassini.
Può essere gestita da commissari di Stato e di governo e rispondere agli esclusivi interessi di Confindustria e dei padroni dell'acciaio.
Può essere una fabbrica sostanzialmente nazionalizzata e condotta e gestita in funzione di svenderla ai padroni indiani, che altrimenti non se la prenderebbero - con buona pace della nazionalizzazione richiesta da Usb e troskisti. Nazionalizzazione senza dittatura del proletariato è fabbrica del capitale gestita dai funzionari dello Stato borghese.

Tornando a noi. Il caso ha voluto (per modo di dire) che la conclusione dell'udienza preliminare sia coincisa con lo scontro sulla continuità produttiva dell'Afo2 stabilita dall'8° decreto Renzi.
Ciò ha permesso a tutti di 'parlare a suocera perchè nuora intenda'. Così sono entrati in campo padroni, l'intero schieramento dei padroni e ancor più giuristi, politici, economisti, ecc. che hanno sciorinato tutto l'ampio campionario del perchè non si può fermare una fabbrica pena la rovina della società e chi si azzarda viola i 'sacri principi' dell'ordine capitalista.

I GIORNALISTI AL SERVIZIO E MEGAFONO DELLA CONFINDUSTRIA
Il Corriere della Sera con Dario De Vico ha subito gridato ad un conflitto che è durato troppo e che deve finire. Deve finire naturalmente nel senso che devono finire i processi e la messa sotto accusa. Perchè questo? Perchè gli industriali “nel riposizionamento qualitativo post crisi dell'impresa hanno ora intrinsicamente una maggiore attenzione all'ambiente e al capitale umano”. Insomma a prescindere. 
Quali dato De Vico, che pure dovrebbe essere persona che di dati vive, apporta a conferma di questa affermazione? Quale fabbrica grande, media o piccola, nel nostro paese attualmente è espressione di una maggior attenzione all'ambiente e al capitale umano? Quando nelle fabbriche grandi, medie, piccole, non solo siderurgiche, avviene esattamente il contrario.
In realtà De Vico fa da megafono al ben più consistente comunicato della Confindustria che sostanzialmente dice “basta” e mette in campo per così dire tutta la forza dei padroni, annunciando con aria di sfida a settembre terranno il Consiglio generale della Confindustria a Taranto.

Il giornalista Paolo Bricco su 'Sole 24 Ore' è più cauto e chiede che si separi la vicenda processuale dalla questione della fabbrica in queste ore e che chi ha sbagliato paghi, scaricando di fatto la famiglia Riva; e che invece ci si concentri sulla vicenda industriale che rischia di far collassare l'Ilva.
Ma che vuol dire questo? Che i colpevoli del processo possono essere condannati e la continuità delle morti operaie e da inquinamento in corso deve andare avanti? Nonostante si tratti obiettivamente degli stessi reati.
Ma Bricco, esorcizzato il passato, ripropone gli stessi argomenti usati quando il processo è partito: “E' in pericolo il destino industriale e del paese”. Ed è più preciso, cosa naturale dato che si parla del giornale della Confindustria, sulla linea e gli obiettivi di quest'ultima rilanciando il grande appuntamento di settembre, presentato così:
“Una scelta coerente con la preoccupazione che ogni segmento avveduto e non ideologico della classe dirigente italiana – dal sindacato al ceto politico nazionale fino ad una parte della stessa magistratura – sta sviluppando sempre di più, di fronte alla prospettiva del disastro economico e sociale successivo alla chiusura dell'impianto, un disastro per Taranto... un disastro per il paese che perderebbe uno degli architravi del suo sistema industriale”.

Quindi è una chiamata alle armi quella della Confindustria. Si vuole fare del 24 settembre una sorta di 'Stati generali', in cui intorno alla Confindustria si raccolgano i sindacati, il ceto politico borghese nazionale e, importante, una parte della stessa Magistratura. Un “Comitato di salute pubblica” a meno di un mese dall'inizio del nuovo processo.
Come dire, i padroni la guerra la fanno e si preparano a farla sempre di più.

Il giornalista Federico Pirro, da sempre vicino all'impresa, e l'avvocato dell'impresa Pellegrino sono particolarmente indignati per il ricorso alla Corte Costituzionale operato dalla Procura e usano lo stesso argomento: “il decreto è stato firmato dal presidente Mattarella”. E Pirro aggiunge: “il decreto legge, come prevede la nostra Costituzione è stato firmato dal capo dello Stato dopo che i competenti uffici del quirinale ne hanno verificato la rispondenza ai requisiti di costituzionalità. Inoltre è facilmente ipotizzabile che Mattarella, già docente di diritto costituzionale presso l'Università di Palermo e componente della stessa Corte Costituzionale fino al giorno della sue elezione a capo dello Stato, abbia letto con particolare attenzione e competenza personale il testo. Un ultimo ricordo. Sergio Mattarella era già giudice della Corte Costituzionale che riaffermò la piena costituzionalità della legge 231, la prima approvata dal parlamento dopo il sequestro senza facoltà d'uso dell'area a caldo dell'Ilva sulla quale la Procura tarantina aveva sollevato dubbi di costituzionalità”.

Con il discorso di Pirro, la Corte costituzionale può andare benissimo in soffitta. Perchè un decreto, una legge se firmata dal presidente della Repubblica sarebbe già di per sé al riparo da dubbi di costituzionalità. Per di più ora, essendoci Mattarella, il discorso sarebbe chiuso.
Quello che diciamo noi è che purtroppo essendoci Mattarella temiamo davvero che il discorso sia chiuso. 

GIURISTI AL SERVIZIO DEI PADRONI
Gli interlocutori della Confindustria, giuristi, sono però già scesi in campo schierandosi in maniera quasi volgare.
Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, come si direbbe “uscendo dal riserbo”, scende apertamente in campo dalle pagine de Il Messaggero, con uno stile ipocrita. L'obiettivo è apertamente i Magistrati di Taranto.
Fingendo di volere equilibrio in uno scontro di potere tra governo e magistrati che “non fa bene a nessuno”, parte diretto con consigli, “l'attività di un magistrato ha bisogno di equilibrio quando il suo lavoro ha un impatto molto forte sull'opinione pubblica”.
Tutto il tono dell'intervista dimostra che quella che lui chiama “opinione pubblica” è poi l'opinione dei padroni, governo e di tutto il sistema di consenso ad essi.
Alla domanda se il futuro dell'Ilva è sempre più nelle mani della magistratura, Mirabelli risponde: “La decisione del rinvio a giudizio mi sembra inevitabile rispetto a 'vecchi episodi' e responsabilità che sono state individuate... Il punto è come assicurare la continuità della produzione di un'industria essenziale per il paese, nel rispetto della tutela primaria...”.
E' esattamente la tesi della Confindustria. Va bene perseguire reati vecchi ma ora la priorità della magistratura dovrebbe essere l'altra cosa.

Mirabelli esprime anche il suo fastidio perchè l'ultimo decreto sia finito davanti alla Corte costituzionale impugnato dalla Procura di Taranto “uno scontro di potere che non fa bene a nessuno”. Ma Mirabelli, tu sei 'presidente emerito' della Corte Costituzionale... Hai già quindi emesso la sentenza della Corte Costituzionale? Altrochè. Infatti alla domanda se “i sequestri degli impianti che mettono a rischio migliaia di posti di lavoro sono indispensabili”, Mirabelli risponde che la Corte Costituzionale ha già risposto “Ci vuole un ragionevole bilanciamento degli interessi tra diritto alla salute e quello al lavoro... Ciò significa non eccedere nell'uso dello strumento del sequestro preventivo degli impianti”. Alla faccia del bilanciamento!
Mirabelli, ma di quale “sequestro preventivo” parli? Il sequestro è successivo alla morte di un operaio per carenze riconosciute dell'impianto e chiaramente pericolose per tutti finchè non vengono eliminate.
E che non ci siano equivoci, il giornalista dice - dando ragione a Mirabelli - “il contrario di quello che stiamo vedendo a Taranto”.

Ma Mirabelli non si ferma qui e fa l'esempio della custodia cautelare di cui bisogna fare un uso sobrio. Siamo d'accordo sulla custodia cautelare ma l'altoforno non è una persona, o è in condizione di lavorare senza rischio vita degli operai o va fermato.

L'intervista prosegue – e appare sempre più come un'intervista richiesta più che un'intervista concessa – per diventare minaccia ai magistrati di Taranto. Infatti il giornalista incalza in una domanda obiettivamente pilotata, quasi simile ad un'autointervista: “Per lei il Csm condivide questa impostazione, visto che non interviene quasi mai nei confronti di magistrati che eccedono?” - una domanda che è un attacco ai magistrati di Taranto e anche al Csm che non interviene contro di loro.
Mirabelli prima risponde con una frase di rito e poi scarica la bordata “(il Csm) però può valutare la professionalità” - con un'allusione esplicita ai magistrati di Taranto - “a partire dall'equilibrio e in base a questo fare le necessarie verifiche e decidere avanzamenti di carriera”. Il messaggio è chiaro e pesante.  

Ma ormai l'autostrada è aperta. Continua Mirabelli “la professionalità delle toghe è messa a rischio dall'attrazione delle sirene della notorietà”. Il giornalista incalza: “in Puglia stiamo vedendo una cosa del genere?”. Mirabelli: “Non posso dirlo con certezza. Però purtroppo una certa pressione dell'opinione pubblica anche attraverso gli organi di informazione e una certa politica che ha arruolato con disinvoltura titolari di inchieste poi finite nel nulla inducono alcuni magistrati a prendere posizioni eclatanti, a sentirsi campioni di un caso giudiziario”. Siamo ai limiti della diffamazione, se riferita all'inchiesta del processo di Taranto.
Ma Mirabelli evidentemente ha obiettivi anche più alti. E l'intervista prosegue:
“tornando a Taranto – dice il giornalista – intanto ci sono tre commissari che la bonifica la stanno facendo”. “Già è vero – risponde pronto Mirabelli – un motivo in più perchè la Magistratura agisca con il necessario equilibrio. Lo dico con una battuta: i magistrati non devono mai chiudere gli occhi ma neanche guardare sempre i fatti col microscopio”. Questa è una aperta e volgare interferenza!

Il pezzo più grosso messo in campo dal fronte Stato-padroni nella contesa con la Procura di Taranto è Sabino Cassese, candidato presidente della Repubblica e considerato “oracolo istituzionale” per eccellenza. E dall'alto di questo pulpito, rappresentato in questo caso dalle colonne de Il Messaggero tuona sicuro e determinato: “I giudici rispettino il decreto sull'Ilva... Spetta al Parlamento e non ai magistrati decidere qual'è il giusto equilibrio tra i diversi diritti costituzionali”.
Dire che spetta al parlamento significa dire che spetta al governo, e quanto questo sia coerente con la divisione dei poteri Cassese non lo spiega. Il decreto che per altro come legge deve essere confermato, è stato impugnato presso la Corte Costituzionale perchè “viola l'art. 2 della Costituzione”. “L'esercizio dell'attività di impresa – scrive la Procura di Taranto – non può essere garantito pur in presenza di impianti pericolosi per la vita o l'incolumità umana senza pretendere dall'azienda l'adeguamento degli stessi alle più avanzate tecnologie di sicurezza. Dato che – ricorda la Procura – la Costituzione tutela sì il diritto al lavoro, ma impone quale presupposto essenziale e inderogabile che il lavoratore operi in condizione di massima sicurezza”.
Ma per Cassese tutto questo non è Costituzione: “non ci si può svegliare la mattina e inventarci il diritto che ci piace” puntualizza infastidito. E per Cassese il governo con il decreto ha sospeso l'esecuzione del sequestro. “I giudici sono sottoposti alla legge e questo atto è legge e devono rispettarlo”.

L'intervistatore pure ha dei dubbi: “Il principio vale anche per i decreti legge prima della loro conversione definitiva?”. Cassese aggira la domanda: “I decreti legge vengono adoperati in casi straordinari, di necessità, urgenza. In questo caso evidentemente il governo ritiene che la necessità e urgenza ci siano, altrimenti sarebbe stato inutile vararlo”.
Che risposta è? Il governo avrebbe ragione a prescindere. Ma Cassese evidentemente interpreta così la Costituzione.
Poi anche lui fa il “difensore degli operai”, senza accertare minimamente se il fatto realmente esiste se la prende direttamente con i Magistrati per la presunta incriminazione dei 19 operai dell'Altoforno: “Non è bello prendersela con i più deboli”. E' bello evidentemente per Cassese che i più deboli muoiano in fabbrica e continuino a lavorare a rischio.

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