mercoledì 29 luglio 2015

PROCESSO-SENTENZA ILVA - 4° PARTE: PARLANO GLI UOMINI DEI PADRONI: DAL PD A FORZA ITALIA - E... BISOGNA ESSERE EX MINISTRO PER DIRE COSE SENSATE

4 PARTE

MUCCHETTI: UOMO DEGLI INDUSTRIALI - PARLAMENTARE DEL PD
Non poteva mancare la voce "ultra autorevole" di Massimo Mucchetti, da sempre uomo degli industriali, con qualche problema con la Fiat di Marchionne, per anni editorialista di punta del Corriere della Sera e oggi parlamentare PD, presidente della Commissione industria del Senato.
Mucchetti è pienamente schierato perchè l'Ilva non si tocchi e utilizza ora anche i rinvii a giudizio per tornare sulla sua tesi: “Premessa la piena fiducia nel collegio giudicante, mi chiedo come sia possibile che la qualità dell'aria di Taranto sia migliorata così poco con l'acciaieria a scartamento ridotto. Ci sono altre fonti cospicue di inquinamento atmosferico?”.
Poi si dilunga sulle cifre necessarie e disponibili, sui risanamenti, mancati investimenti che hanno tutte lo scopo per dire che l'azione dei giudici è “piena di errori materiali sul piano contabile”.
Si occupa quindi dei parchi minerali, anche qui per mettere in dubbio i costi indicati dall'inchiesta giuridica. Scende in campo sulla tesi del Prof. Mapelli, perito dell'Ilva sulla questione del sequestro per avvalorare la tesi che esso porterebbe al fermo dell'intero sdtabilimento e al disastro dell'impresa, sostenendo che il governo a questo pone rimedio con il suo decreto. Ma la magistratura non ci sta.
E qui Muchetti pone la sua soluzione, una sorta di 'soluzione a monte', diciamo delle vere e proprie modifiche legislative: primo, che non si possono fare questi sequestri senza il giudizio preliminare della Cassazione e della Corte Costituzionale. Anzi pretende che questa strada sia a favore dei magistrati, “altrimenti si rischia di finire come in Francia”, dove la Procura risponde al governo – e quindi un caso come quello di Taranto sarebbe altamente improbabile.
Infine, alla domanda dell'intervistatore: “Il processo di Taranto si riferisce all'Ilva quando era gestita dai Riva, ma non sembra che con la gestione commissariale del governo si verifichino meno incidenti e ci sia più sicurezza”. E qui Muchetti rivolta la frittata: “Gli incidenti sul lavoro sono una tragedia vera... Oggi l'Ilva non ha padroni”. Come dire: non si può fare niente. 

GIOVANNI MARIA FLICK - DA QUANDO NON E' PIU' MINISTRO - COMINCIA A RAGIONARE
Hanno cercato di arruolare in questa contesa, il Corriere della Sera in particolare, l'ex Ministro della Giustizia, Giovanni Maria Flick, anche lui presidente emerito della Corte Costituzionale.
Flick anche lui all'inizio si pone dei dubbi sul sequestro degli impianti, ma, pressato, risponde un po' diversamente da come l'intervistatrice pretende.
Quello che posso dire è che a Taranto si è arrivati troppo in là. E' evidente. Siamo ormai al corto circuito e lo dimostra il fatto che 8 decreti siano intervenuti sull'azienda. Non vorrei che si ingenerasse la prassi che certe imprese siano troppo grandi per rispettare la legge, e nemmeno si può pensare che ad ogni decisione scomoda del giudice si possa ricorrere ad un decreto legge”.
Giusto professore, ma si renda conto che questa prassi è esattamente quella che il governo sta praticando.
L'intervistatrice incalza però nel cercare di schierare il professore: “Anche lei crede come il presidente della Confindustria, Squinzi, che il diritto non possa essere uno ostacolo all'impresa?”.
Io credo – risponde Flick - che non si possa chiedere al magistrato provvedimenti che tengono conto dell'accettabilità sociale o della sostenibilità economica. Non è il suo mestiere. Lui deve rispondere alla legge, non ai requisiti socioeconomici...”.
E qui, purtroppo per l'intervistatrice, Flick mette un altro carico da 90: “Io mi preoccupo quando vedo certe cose. Mi riferisco al fatto che mi sembra preoccupante e mi lascia perplesso l'alleanza innaturale che si è formata tra politica, sindacato e impresa sull'acciaieria di Taranto. Ciascuno persegue fini diversi, ma tutti insieme invocano proprio quei concetti che dicevamo di “accettabilità sociale” o “compatibilità economica nelle decisioni del giudice”. E insiste: “Non seguirei fino in fondo il discorso di Squinzi che scorda una cosa fondamentale... dimentica completamente l'art. 41 della Costituzione: l'iniziativa economica non può svolgersi se reca danni a libertà, sicurezza e dignità umana. Squinzi non può denunciare la 'manina' e i pregiudizi del giudice nei confronti dell'impresa come ha fatto per Ilva e Fincantieri e non riconoscere contemporaneamente il braccino dell'impresa nella corruzione o il tentativo dell'impresa di sottrarsi alle regole e di vederle in una prospettiva solo formale e cosmetica”.

Ben detto, professore. Evidentemente non essere più ministro e presidente emerito aiuta nella libertà di pensiero.

SACCONI, UOMO PER ECCELLENZA DEI PADRONI
Non ci stupiamo affatto che a chiudere ulteriormente il discorso sia poi intervenuto un uomo per eccellenza dei padroni, l'ex Ministro Sacconi che è tuttora presidente della Commissione lavoro al Senato nonostante, o potremmo dire grazie, il parlamento renziano, grillino e quindi non certo targhettato Forza Italia.
Sacconi senza citare espressamente il caso in oggetto la butta sul generale e vede la vicenda frutto della ostilità nei confronti dell'impresa diffusa nel nostro paese in conseguenza del forte radicamento che, qui più che altrove, hanno avuto le posizioni ideologiche anticapitalistiche del '900. “Di conseguenza, risultano incomprensibili tutti quei provvedimenti cautelari (vedi sequestro Altoforno Ilva, non citato – ndr) che producono danni certi e immediati ai terzi incolpevoli come lavoratori, fornitori, clienti, azionisti; o determini il crollo di un marchio con effetti irreversibili”.
Poi prosegue: non si può accettare che si penalizzi sempre e soltanto l'impresa, né che l'informazione e la semplificazione dei social funzionino da incitamento alla giustizia sommaria...
Insomma, per Sacconi l'azione dei giudici né ispirata da un'ideologia anticapitalista novecentesca e tradotta in una giustizia sommaria da “dittatura del proletariato”. 

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