mercoledì 14 ottobre 2015

"In tutto il gruppo e quindi anche a Cormigliano a rischio produzione, occupazione e stipendi" - Assemblea generale subito all'Ilva - presidi indetti dallo slai cobas per il sindacato di classe 19 ottobre prefettura - 20 ottobre Tribunale in occasione del processo Ilva

Ilva, torna la paura: stipendi  a rischio da novembre
La nuova crisi di Taranto mette a repentaglio il futuro dell'Ilva e, automaticamente, trascina con sé il destino di Cornigliano. Rispetto a tutti gli altri allarmi passati, però, questa volta l'impressione che si stia giocando la partita decisiva è quanto mai concreta. E dall'esito della stessa può dipendere la continuità aziendale o l'irreversibile crisi. Leggere però la situazione di Cornigliano soltanto in forma indiretta, cioè esclusivamente connessa alla ripresa o alla caduta di Taranto, sarebbe improprio. Perché a questo lo stabilimento del ponente genovese aggiunge problemi peculiari, come una banda stagnata appena ripartita e già in affanno (con il rischio di perdere una ricca commessa spagnola) e una linea di zincatura nuovissima, frutto dell'accordo di programma, ma ferma da due anni. Per questo, una crisi di liquidità potrebbe anche mettere a rischio il pagamento degli stipendi di novembre.

La “newco”, la nuova società pronta a partire “pulita”, confidava (e ancora confida) di mettersi in movimento con una dotazione di 1,2 miliardi, frutto del sequestro dei beni alla famiglia Riva deciso dalla Procura di Milano. Il fatto è che i Riva hanno presentato ricorso contro questa decisione e quel punto la banca che avrebbe dovuto mettere a disposizione la liquidità si è fermata in attesa che il tribunale svizzero si pronunci sulla legittimità del sequestro. Potrebbe essere questione di un mese, ma il tribunale potrebbe anche prendersi qualche mese in più. A questo punto, la newco non parte e si ferma anche la bonifica di Taranto, che attingeva ai soli liquidati. L’Ilva, nel frattempo, continua a perdere dal punto di vista contabile e vede assottigliarsi il numero dei suoi clienti. Anche il gasdotto Tap (Transadriatico, dalla Turchia all’Italia, con arrivo vicino a Taranto) che avrebbe dovuto garantire lavoro all’Ilva pare abbia fatto scelte diverse, escludendo il gruppo siderurgico. Come se non bastasse, anche nel settore auto si sono perse commesse importanti con il risultato che l’altoforno 1 di Taranto, che era stato riavviato, lavora oggi al di sotto del 50%. Non è finita, perché si è pure fermato il tubificio, la produzione più ricca. Tutta questa sequenza negativa impatta automaticamente, con altrettanta durezza, su Cornigliano, che non produce più acciaio (l’altoforno è stato chiuso da tempo, l’ipotesi di costruire un forno elettrico era stata alla fine bocciata), ma si concentra sulle lavorazioni a freddo, cioè sulla laminazione dei coils che arrivano appunto da Taranto. Non è un caso che nei giorni scorsi l’azienda abbia chiamato i delegati informandoli del rischio di perdere un’importante commessa spagnola nella banda stagnata, che era ripartita, complice l’invio ritardato dei coils per altro (parrebbe) non di qualità eccelsa. In uno scenario di questo tipo, con la linea di zincatura sempre al palo, il rischio di veder peggiorare rapidamente la situazione è quanto mai concreto.

Nessun commento:

Posta un commento