martedì 26 aprile 2016

Il fascismo a Taranto: l'azione disgregatrice sulle famiglie dei "sovversivi" - Pubblichiamo una seconda parte del libro "Memorie di un contadino di Massafra", gentilmente inviataci da un nipote

Dal libro “Angelo Antonicelli il Sovversivo. Memorie di un contadino di Massafra”. Edizione LiberEtà 2011-passatofuturo.

…Il fascismo tramite la questura e l’arma dei carabinieri doveva continuare la propria azione disgregatrice non solo sui singoli sovversivi ma anche sulle loro famiglie per poi costruire artificiosamente un castello di calunnie onde far sgretolare prima per poi distruggere moralmente una persona o nel caso di accanimento ostile la sua famiglia. Nella questura dell’epoca pullulava la corsa alle benemerenze per gli avanzamenti di grado nelle carriere per meriti a chi riusciva meglio nel ricamare il “rapporto informativo” non curandosi di farli su persone innocenti. Bastava una denuncia verbale di un fascista nei confronti di gente anche solo per lui antipatica, oppure per chi avesse voglia di vendetta accusare semplicemente qualcuno di sovversivismo per trascinarlo in questura o in una stazione di carabinieri. Con questa specie di persone, con i loro continui atti intimidatori, la gente viveva con l’incubo di essere arrestata, percossa a sangue e condannata. Se uno invocava la giustizia o si lasciava

sfuggire qualche parola di troppo, i fascisti cominciavano a costruire, mattone dopo mattone, un castello.
Un trattamento di linciaggio morale fu erogato anche a mia madre che nonostante fosse impegnata nel duro lavoro quotidiano per far fronte alla sopravvivenza della famiglia, la vollero infangare nella calunnia di tradimento coniugale al fine di creare uno stato d’animo nel marito detenuto ed indurlo a ripudiare non solo il coniuge ma l’intera famiglia.
Una sera si presentarono a casa due carabinieri per invitare mia madre in caserma la mattina dopo alle ore otto per “comunicazioni” del maresciallo. La presenza dei carabinieri davanti la porta di casa non era una novità, né una meraviglia per il vicinato ormai da tempo. Mia madre per tutta la notte non ebbe pace temendo ancora una cattiva notizia, il suo pensiero era sempre rivolto a mio padre che nel carcere andava spesso in escandescenze per le provocazioni ed i continui soprusi subiti da tutto il personale, secondini e direttore ed anche i cappellani non erano da meno. Mi fu successivamente riferito da un mio paesano che un ex cappellano del carcere Sant’Antonio di Taranto nella sagrestia della chiesa dove stava istruendo una pratica di matrimonio, parlò di un “capo delinquente comunista” di Massafra che aveva in passato conosciuto.
La mattina successiva, puntualmente, mia madre si presentò in caserma per ascoltare la “comunicazione” del maresciallo. Come al solito la fecero attendere nell’androne dal quale si accedeva agli uffici del piano terra ed agli alloggi del maresciallo e dei carabinieri di servizio, ivi compresa la camera di sicurezza. Dopo circa un’ora mia madre chiese al piantone se poteva lasciare la caserma e correre a casa dai bambini per poi ritornare, le fu detto di no perché il maresciallo si stava liberando da un impegno importante ( si era probabilmente alzato da poco da una notte felice e tranquilla, per lui). Mia madre attese ancora mezzora ancora e, finalmente, entrò il maresciallo vestito impeccabilmente, il brigadiere ed i carabinieri scattarono in piedi, senza degnare lo sguardo né il saluto a mia madre disse: “Voi signora siete la moglie di Angelo Antonicelli, detenuto nelle carceri giudiziarie?”. “Si signor maresciallo.”. Continuò il maresciallo: “Per ordini superiori dobbiamo sottoporla a visita ginecologica da parte di una ostetrica di nostra fiducia”.
Mia madre arrossì con sdegno replicò: “Signor maresciallo non comprendo la richiesta di questa visita ostetrica, mio marito è trattenuto da tempo nel carcere, desidero una spiegazione!”.
“Siamo stati informati che voi avete subito una minaccia di aborto e la legge vuole accertare come stanno effettivamente le cose.” “Io, signor maresciallo, non posso rifiutarmi alla legge ma, almeno, posso avere il diritto di essere assistito dalla mia ostetrica di fiducia?”. “Si signora, questa presenza vi è consentita fino a legge contraria, ci dite chi è questa ostetrica di fiducia che noi la convochiamo subito.”. Dopo poco fu introdotta nell’ufficio al cospetto di mia madre, “donna Tettina”. Così si chiamava l’ostetrica convocata dai carabinieri, ella nel paese non godeva di buona fama professionale e veniva chiamata solo in caso di urgenza o di impossibilità dell’altra ostetrica, “donna Checchina”. Quando la vide mia madre le lanciò uno sguardo sprezzante e fece la richiesta di convocazione dell’altra ostetrica, il maresciallo dette ordine ai carabinieri di cercarla e convocarla in caserma. L’abitazione di donna Checchina non era lontana dalla caserma per cui dopo una ventina di minuti giunse e fu messa al corrente della convocazione. Aggiornata del suo compito si dichiarò disponibile alla visita come professionista nominata da mia madre. Le tre donne furono fatte accomodare nell’infermeria della caserma. Ultimata la visita le tre donne ritornarono nell’ufficio per comunicare le diagnosi. Quella nominata dall’ufficio dette parere favorevole ai sospetti richiesti dalla legge mentre quella di fiducia della mamma disse: “ Le affermazioni della collega non hanno fondamento reale, il fatto per me è inesistente, affermare il contrario significa gettare alle ortiche l’onorabilità e la corretta dignità della mia cliente, all’uopo io chiedo che la signora Antonicelli venga sottoposta a visita specialistica ginecologica perché la diagnosi della mia collega è fondata su supposizioni e non su fatti concreti.”.
Le diverse valutazioni delle ostetriche gettavano comunque dubbi infamanti su mia madre e di fronte a ciò il maresciallo della controversa questione se ne volle disfare. Licenziò le due ostetriche e disse a mia madre che della faccenda voleva interessare la Regia Questura di Taranto, le consentì solo allora di tornare a casa dai suoi bambini e le chiese di tenersi disponibile per un’eventuale comunicazione per una visita presso l’ufficio provinciale. Mia madre tornando a casa, lungo la strada del ritorno pensava alla sua coscienza pulita ma che un’eventuale calunnia o dubbio avrebbe pregiudicato la sua dignità nei confronti del marito, dei figli, dei parenti e dell’intera cittadinanza. Una notizia così infamante si sarebbe presto diffusa per tutti gli abitanti del paese che all’epoca contava circa 11.200 abitanti.
Dell’accaduto informò subito sua madre e sua suocera perché c’era gente pronta a fantasticare su di una povera donna sola con i suoi figli e con un marito in carcere, pur di favorire il partito fascista anche se giunto oramai al potere assoluto. Verso sera la caserma dei carabinieri comunicò a mia madre di recarsi il giorno seguente alla questura di Taranto per la visita specialistica di controllo. Timorosa di poterle capitare anche lì un professionista pronto a diagnosticare il falso per far piacere al regime, la mattina successiva prese il primo treno per Taranto insieme a mia zia Rosina per essere sottoposta alla visita fiscale. Era solo apparentemente tranquilla ma molto determinata a difendersi dalla calunnia sino anche all’arresto per violenza e resistenza a pubblico ufficiale. Fortunatamente lo specialista che la visitò ebbe la coscienza di dire prima verbalmente, poi per iscritto, che non esistevano tracce di “procurato aborto” e che non presentava alcun segno di un rapporto fisico di data recente.
Ultimate le modalità di rito mia madre fu lasciata libera di rientrare a casa. Mia zia e mia madre cercarono di ricordarsi fatti, azioni o persone per individuare chi si era permesso di riferire ai carabinieri l’assurdo sospetto. Furono fatte ipotesi sull’autore della canaglieria che avrebbe consentito ai fascisti di distruggere anche la famiglia dell’odiato sovversivo, non paghi di aver composto dopo il suo arresto una canzoncina di scherno verso il comunista Angelo la Jaddina e che era divenuta famosa nel paese:
“E’ morta la jaddina / faremo i funerali / e sotto scriveremo è morto un gran maiale! / con fascio eja eja ala - là / fascisti e comunisti / giovavano allo scopone / han vinto i fascisti per un asso di bastone…”.
Tornate a Massafra mia madre e mia zia rassicurarono le due famiglie dei nonni che era stata tutta una montatura dei fascisti per screditarli e dare in pasto ad un popolino di ignoranti una notizia da scalpore. Di ciò fu informato mio padre in carcere onde evitare di distruggerlo allorché il regime gli avrebbe fatto arrivare la falsa notizia attraverso suoi canali.

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