lunedì 2 gennaio 2017

"La crisi mondiale della siderurgia" - Importante studio/analisi del "gruppo di lavoro 21 febbraio 1848"

Iniziamo da oggi a pubblicare stralci di un importante lavoro fatto da compagni lavoratori del 'Gruppo di lavoro 21 febbraio 1848'. 
E' per noi utile, tenuto conto anche che il problema della crisi della siderurgia, della riduzione delle fette di mercato dell'acciaio a livello mondiale, viene usato da padroni, governo, sindacati confederali per giustificare misure di taglio dei posti di lavoro, ristrutturazioni che attaccano le condizioni di lavoro degli operai e per scaricare le colpe su altri, in primis ora la Cina, spingendo gli operai italiani a fare corpo unico con i padroni italiani contro padroni e lavoratori cinesi.
Questi discorsi sono, non a caso, all'OdG per quanto riguarda l'Ilva di Taranto e il suo futuro.
Su tutto questo, gli operai devono avere una loro autonoma lettura, una visione di classe, assolutamente necessaria per avere una chiara rotta della strada di lotta da percorrere.

Ringraziamo i compagni lavoratori del "gruppo di lavoro 21 febbraio 1848", per averci consentito di pubblicare parti del loro ampio dossier.
Chi volesse approfondire e leggere integralmente questo lavoro, si metta in contatto con noi, scrivendo a pcro.red@gmail.com - tel. 3475301704

La crisi mondiale della siderurgia
Gruppo di lavoro 21 febbraio 1848                                                                                  Giugno 2016

Negli ultimi dieci anni il consumo mondiale di acciaio è cresciuto da 1.046 a oltre 1.600 milioni di tonnellate all’anno; nello stesso arco di tempo la capacità produttiva globale è aumentata da 1.300 a poco meno di 2.300 milioni di tonnellate l’anno. Se tutti gli impianti che sono attualmente in corso di costruzione nel mondo dovessero entrare in funzione, nel 2017 la capacità produttiva globale balzerebbe a oltre 2.400 milioni di tonnellate, per il 72% prodotte nelle nazioni periferiche. Il grafico che segue mostra chiaramente lo scarto crescente che si è andato man mano accumulando tra capacità produttiva (linea blu) e domanda (linea rossa) a partire dai primi anni Duemila...




Per effetto dell’eccesso di offerta, da un anno a questa parte il mercato ha iniziato ad essere sommerso da una valanga di acciaio a prezzi sempre più bassi, svelando lo stato di enorme sovrapproduzione in cui versa il comparto siderurgico su scala mondiale. A vendere sottocosto i prodotti della propria industria siderurgica sono naturalmente le nazioni che si ritrovano oggi con il maggior eccesso di capacità produttiva, Cina in testa e infatti il paese asiatico viene additato come il principale responsabile della crisi mondiale del comparto della siderurgia ed è diventato il primo bersaglio da colpire nella guerra commerciale che si è scatenata negli ultimi mesi intorno all’acciaio e che sta assumendo aspetti sempre più drammatici... 

Leggiamo cosa scrive in proposito Eurofer, l’associazione degli industriali europei, nel suo ultimo comunicato sullo stato della siderurgia nel Vecchio Continente: “...Dalla crisi finanziaria sono stati persi 85.000 posti di lavoro nell’industria europea dell’acciaio. Se non si utilizzeranno in tempo i TDI (Trade Defence Instrumenst, strumenti di difesa del commercio) disponibili vi è il rischio concreto di vedere la chiusura di altri impianti e la perdita di altri posti di lavoro”... "...E’ chiaro che la Cina è la prima responsabile del problema. Ribadiamo che alla Cina non può e non deve essere concesso lo status di Economia di Mercato. Se la sovraccapacità globale generata dalle operazioni di industrie non economiche sostenute dallo Stato continua, essa minaccerà la sopravvivenza delle imprese che operano in ambienti con minimi o nulli sostegni governativi”. Vedremo più avanti quanto le compagnie siderurgiche europee siano ben lontane dall’operare prive di sostegni governativi e comunitari e come, al contrario, attingano abbondantemente alle casse dei propri singoli Stati e a quelle comunitarie. Quanto alle lacrime di coccodrillo degli industriali in merito ai posti di lavoro che si vanno perdendo, ci si domanda quanto devono aver pianto allora negli ultimi vent’anni, visto l’andamento dell’occupazione nel comparto dell’acciaio. Guardiamo, ad esempio, l’industria siderurgica tedesca, la più avanzata e la più grande d’Europa, e mettiamo a confronto la situazione che presentava nel 1980 con quella odierna. Nel 1980 le acciaierie della Germania producevano 43,8 milioni di tonnellate di acciaio grezzo con 288.000 addetti; lo scorso anno, la produzione è stata di 42,7 milioni di tonnellate con 88.000 addetti. Ossia, 25 anni fa nelle acciaierie tedesche venivano prodotte 152 tonnellate di crude steel per addetto mentre oggi se ne producono ben 495 per addetto e in questo arco di tempo, il numero degli occupati del comparto si è ridotto a meno di un terzo.


E questo è quanto è accaduto in tutte le nazioni di antica industrializzazione. Nell’EU 28 la produzione di acciaio negli ultimi cinque anni è scesa del 7% mentre contemporaneamente l’occupazione è diminuita di quasi il doppio, con situazioni estreme come quella della Gran Bretagna dove gli operai direttamente occupati nel comparto dell’acciaio si sono ridotti a 13.000. Il fatto è che i capitalisti piangono sulla sorte dei propri operai solamente quando è il cattivo andamento dei propri affari che li costringe a licenziarli mentre invece, non appena trovano il modo di produrre di più con meno operai, non si stracciano di certo le vesti per il destino di coloro che fino al giorno prima non hanno cessato di sfruttare.
Quando i capitalisti licenziano gli operai per sostituirli con macchine, aumentando così la
produttività, cioè il grado di sfruttamento di quei lavoratori che restano in produzione, essi obbediscono a una precisa legge del modo di produzione capitalistico; una legge a cui non gli è dato sottrarsi. La maggior parte delle innovazioni ha infatti innanzitutto lo scopo di accorciare il tempo che deve essere impiegato per fabbricare una data quantità di prodotto. Per fare solo alcuni esempi, sistemi come quelli per la carica continua dei rottami nei forni ad arco elettrico in sostituzione della carica in ceste, la colata continua, le tecnologie che realizzano la continuità tra colata e laminazione di bramme in sottile (processi Inline Strip Production e Endless Strip Production)... Nelle acciaierie che adottano simili tecnologie, il tempo che occorrerà impiegare per la fabbricazione di questi prodotti è inferiore al tempo che viene impiegato nella generalità degli impianti siderurgici. Ovvero, è inferiore al tempo sociale medio richiesto in quel momento per la loro produzione. In pratica, attraverso l’innovazione, in quella acciaieria si raggiunge il risultato di ripartire il medesimo lavoro o perfino una quota minore di lavoro su una maggiore quantità di prodotti, ciascuno dei quali conterrà dunque una minore quantità di lavoro. Di conseguenza, il valore di ciascun singolo manufatto fabbricato con il macchinario più avanzato sarà minore di quello dei manufatti fabbricati negli altri impianti dello stesso ramo produttivo che non impiegano le nuove tecnologie.
L’impresa che ha innovato potrà allora offrire sul mercato il proprio singolo prodotto a un prezzo inferiore a quello dei suoi concorrenti, anche solamente a un prezzo di poco minore, ma comunque sempre superiore a quanto veramente vale (cioè al suo prezzo di costo). E naturalmente, fintanto che dura il vantaggio di cui gode, non si limiterà di certo a fabbricare la stessa quantità di prodotti che ha fabbricato fino ad allora; al contrario, pensando di conquistare quote maggiori del mercato (come in effetti avviene grazie al prezzo inferiore a cui vende), farà in modo di fabbricare più prodotti possibile. Solo quando il nuovo metodo di lavoro si generalizzerà, verrà cioè adottato dalla maggior parte delle industrie di quello stesso ramo (che nel frattempo avevano dovuto offrire al mercato i propri prodotti a un prezzo che stava al di sotto del loro prezzo di produzione), allora il valore sociale medio dei beni prodotti in quel ramo d’industria diverrà quello dei manufatti fabbricati con i mezzi di lavoro più efficienti...
Questo spiega perché il valore delle merci prodotte capitalisticamente diminuisca in misura direttamente proporzionale allo sviluppo delle forze produttive. “Ecco risolto l’enigma del perché il capitalista, il quale si preoccupa solo della produzione di valori di scambio, cerchi costantemente di far calare il valore di scambio delle merci”. (Marx Il Capitale L I cap 10). E quando i nuovi metodi produttivi si saranno generalizzati, aumenterà ancora di più la massa dei prodotti e si imporrà dunque per l’insieme dei capitali di quel ramo d’industria, la necessità di incontrare un mercato più vasto. Questo spiega la condizione di sovrapproduzione, perlomeno relativa, strisciante, in cui versa perennemente la produzione su basi capitalistiche...
La stessa sinfonia suonata dai padroni della siderurgia europei si ode sull’altra sponda dell’Atlantico... Segue un elenco di prodotti che si chiede di sottoporre a barriere tariffarie e che comprende non solo quelli provenienti dalla Cina ma anche quelli importati da molte altre nazioni, non escluse quelle europee (all’inizio del 2016, ai coils rivestiti di Mercegaglia ed Arvedi sono stati imposti dazi rispettivamente del 92% e del 12%)...
...il repubblicano Trump ha dichiarato che se verrà eletto presidente innalzerà nuove e pesantissime barriere tariffarie alle importazioni cinesi...
Più importante ancora, per gli industriali USA, così come per quelli europei, poter additare ai propri operai un nemico esterno, responsabile della chiusura degli impianti e dei licenziamenti. Per questo disegno possono contare sui burocrati del UWS, United Steel Workers, il sindacato degli operai della siderurgia che mentre sottoscrivono accordi con ilpadronato che comportano tagli ai benefit su pensioni e assistenza sanitaria dei lavoratori e accompagnano migliaia di operai del comparto verso sospensioni dal lavoro e licenziamenti (12.000 posti di lavoro persi nel 2015), firmano insieme alle compagnie petizioni al Congresso contro le importazioni di acciaio cinesi e diffondono tra gli operai il peggior sciovinismo e il rancore contro gli operai cinesi...
Esattamente come argomentano i sindacati europei. Il 15 febbraio di quest’anno i capitalisti dell’acciaio europei hanno organizzato una manifestazione a Bruxelles sotto gli slogan: “Sì ai posti di lavoro e al libero commercio. No al riconoscimento della Cina come nazione a economia di mercato”. Alla marcia hanno partecipato 5000 lavoratori provenienti da 18 nazioni dell’Unione Europea (in realtà quasi tutti quadri e sindacalisti) e anche 15 “top industry leaders” (quelli italiani tutti insieme con un volo charter), tutti con filiali in Cina (e che importano in Europa semilavorati dalla Cina come nel caso dell’Arcelor Mittal) e i sindacati hanno preparato la “marcia” con comunicati come quello che segue, della CGIL: “Da tempo il settore dell’acciaio sta soffrendo a livello europeo a causa di una sovraccapacità produttiva a livello globale che spinge i prezzi al ribasso e incoraggia comportamenti commerciali sleali da parte di Paesi concorrenti, dalla Cina a Russia e Bielorussia, dalla Turchia all’India….. questi paesi godono, molto spesso, di vantaggi competitivi naturali (basso costo delle materie prime e dell’energia, basso costo del lavoro, modesti o nulli vincoli ambientali, ecc.) vantaggi che le siderurgie dei paesi sviluppati non hanno più o non hanno mai avuto..."
Ma il continuo calo del numero degli occupati nel comparto dell’acciaio è una tendenza di lunga durata, fisiologica nel corso dello sviluppo dell’industria capitalistica e dovuta innanzitutto alla ricerca costante dell'aumento della produttività, che non può che avvenire attraverso l’aumento della composizione materiale del capitale impiegato nella produzione...

Mentre i produttori europei di acciaio rivolgono istanze ed appelli alle proprie istituzioni nazionali e comunitarie e reclamano il non riconoscimento alla Cina dello stato di economia di mercato lamentando i sussidi che Pechino dispensa ai loro concorrenti cinesi, l’Unione Europea elargisce da anni ingenti sussidi, in molteplici forme, alla siderurgia del Vecchio Continente... Lo scorso febbraio la Commissione Europea ha stabilito che gli eventuali nuovi dazi protezionistici possano essere retroattivi, ossia applicabili anche su prodotti già da tempo (tre mesi) importati. La stessa Commissione sarà autorizzata ad adottare le misure protettive senza dover prima consultare tutti i paesi membri. Quanto agli “aiuti di Stato”, esiste tutta una serie di stanziamenti della CE riservati esclusivamente al comparto siderurgico... che riversano miliardi di euro dei contribuenti europei nelle tasche degli industriali dell’acciaio. Senza contare progetti che vedono la compartecipazione di stanziamenti pubblici e privati come lo SPIRE (Sustainable Process Industry trough Resource and Energy efficiency). La Commissione Europea ha inoltre allo studio una revisione del sistema di scambio delle quote di emissione che alleggerisca i costi sostenuti dal comparto della siderurgia... Non sono naturalmente solo i produttori di acciaio cinesi a vendere sotto costo: il margine di dumping medio sui piani laminati a freddo russi, ad esempio, si aggira intorno al 20%... Nell’insieme, il comparto siderurgico della Russia ha aumentato dell’8% le proprie esportazioni di semilavorati mentre il consumo interno di acciaio è caduto dell’11%... La sovrapproduzione mondiale di acciaio, con il conseguente spettacolare aumento delle esportazioni e il collasso dei prezzi (in media del 42% per i prodotti piani e 33% lunghi), sta destabilizzando i mercati spingendo uno dopo l’altro tutti i paesi ad adottare misure protezionistiche. Quello dell’acciaio è solo il primo comparto, in ordine di tempo, dell’economia mondiale capitalistica a dissipare i fumi della propaganda borghese sulla eternità dell’era che si apriva all’inizio del nuovo millennio, a rivelare l’inconsistenza e l’illusorietà del mito della globalizzazione, del sogno di un capitalismo avviatosul cammino di un continuo armonico sviluppo. cammino di un continuo armonico sviluppo. cammino di un continuo armonico sviluppo. cammino di un continuo armonico sviluppo.

Per comprendere quali siano le cause profonde della crisi della siderurgia mondiale, cominciamo con l’esaminare cosa è successo nell’industria dell’acciaio
con il dispiegarsi del ciclo espansivo di inizio secolo che ha preso l’avvio con il totale assorbimento della Cina nel mercato capitalistico. Ossia da quando la classe dominante cinese ha messo a disposizione del capitale internazionale le risorse del proprio paese, a cominciare dal proletariato. Ogni volta che si presentano le circostanze favorevoli a una nuova fase di accumulazione, avviene che si moltiplicano gli impianti produttivi, che si aprono nuove fabbriche e che si mettono al lavoro masse più grandi di operai. In un primo momento questo avviene sulla base del grado di sviluppo e dunque della composizione tecnica raggiunti fino a quel momento nei
processi lavorativi. Si ha dunque, per usare le parole di Marx, “l’espansione puramente quantitativa su base tecnica data”. Ma ben presto accade che sulla spinta delle condizioni favorevoli all’accumulazione, si introducono nei processi lavorativi nuovi metodi e nuove tecniche...
Le imprese che sono storicamente le più progredite, che possiedono la tecnologia più sviluppata, che sono dotate di maggiori risorse per la ricerca, accorrono nei paesi dove si aprono le nuove opportunità e si affrettano a proporre i propri macchinari e le proprie attrezzature più sofisticati alle industrie già esistenti e alle nuove che man mano vi vengono costruite. E la congiuntura favorevole spinge a sviluppare ancora nuovi macchinari e nuovi sistemi sempre più produttivi e a trovare il modo di venderli sempre e comunque, anche quando appare evidente che il ciclo si sta già esaurendo, che l’offerta sta ormai superando di gran lunga la domanda realmente esistente, che la capacità produttiva installata non corrisponde affatto alla reale richiesta per quel dato genere di bene. Così avviene, ad esempio, che pur in una fase di enorme sovrapproduzione di acciaio e di crollo dei prezzi dei prodotti siderurgici, le imprese occidentali di engeenering della siderurgia, le plant constructor, ora che sono state abrogate le sanzioni contro l’Iran, accorrono a Teheran a offrire le proprie tecnologie più moderne per costruire nuove acciaierie o per ammodernare quelle già esistenti... Le imprese occidentali che detengono il monopolio della tecnologia per fabbricare l’acciaio intenderebbero insomma replicare in Iran, naturalmente su scala assai minore, quanto hanno fatto in Cina, in India, in Brasile e negli altri paesi coinvolti nell’ultimo ciclo espansivo del capitalismo; senza tenere in alcun conto la sovrapproduzione mondiale, la crescente sottoutilizzazione degli impianti i continui annunci di chiusura di acciaierie in tutto il mondo. Ma non possono fare altrimenti: il capitalismo non conosce rapporto con la domanda, ciascun singolo capitalista non tiene affatto in conto né il mercato né il consumo; il capitalismo è “autentica produzione per la produzione”, spinta continua all’ampliamento della produzione indipendentemente dalla capacità di consumo, e ciò ancor più per quanto attiene ai mezzi di produzione cioè al capitale costante. Con buona pace dei “cavalieri del sano e semplice buon senso” che invocano e predicano un capitalismo ordinato e capace di autoregolarsi... (CONTINUA),

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