giovedì 25 maggio 2017

GIOVEDI' ROSSI - GRAMSCI E LE LEZIONI SUL SINDACATO DI CLASSE - 1° parte

Alcuni elementi teorici di base per la comprensione del sindacato di classe e dei compiti dei comunisti nel movimento sindacale.
Le lezioni teoriche, pratiche, l'esperienza viva nelle grandi fabbriche, in particolare nelle fabbriche Fiat di Torino diretta personalmente da Gramsci - una esperienza nuova per il movimento operaio italiano, e non solo - sono valide ieri come oggi. 
Il consiglio operaio della Fiat nel 1921

1) Caratteri oggettivi del sindacato
Il sindacato è la forma che la merce-lavoro assume e sola può assumere in regime capitalista quando si organizza per dominare il mercato... concentrare e di guida le forze operaie in modo da stabilire con la potenza del capitale un equilibrio vantaggioso alla classe operaia...
Il sindacato diventa capace a contrarre patti, ad assumersi impegni: così esso costringe l'imprenditore ad accettare una legalità nei suoi rapporti con l'operaio...”

Gramsci continua: “Il sindacato non è questa o quella definizione del sindacato, il sindacato assume una determinata figura storica in quanto la forza e la volontà operaia che lo costituiscono, gli imprimono quell'indirizzo e pongono alla sua azione quel fine che è affermato nella definizione...”.
Gramsci quindi spiega anche come, dal genere di partecipazione più o meno cosciente dei lavoratori, dipende l'indirizzo che il sindacato tende ad assumere.
Il sindacato può avere un diverso orientamento in diversi momenti storici, ma quello che non può fare è mutare la base sociale che lo sostiene, perchè se il sindacato non è sostenuto dai lavoratori non ha neanche più ragione dì essere come sindacato.
Ciò significa che l'orientamento del sindacato non puo essere determinato dalla volontà di un gruppo dirigente, bensì è prima di tutto determinato dal grado di partecipazione cosciente espresso
dai lavoratori.
Un sindacato, in cui esiste un particolare servilismo del gruppo dirigente verso la borghesia, tenderà a
perdere l'appoggio dei lavoratori e con ciò stesso diventerà inutile per la stessa borghesia.

In determinati momenti storici, un particolare sviluppo della repressione reazionaria, o una particolare affermazione della ingannatrice politica riformista, possono accentuare la debolezza
della ribellione operaia agli orientamenti borghesi della dirigenza sindacale, ma sempre ciò che prevarrà alla fin fine è la realtà della contraddizione tra lavoro salariato e capitale, e quindi la spinta
operaia verso Ía rigenerazione del sindacato per vendere a prezzi più vantaggiosi la propria forza lavoro.
Il sindacato è sorto per la vendita a condizioni vantaggiose della forza lavoro. I-lavoratori hanno imposto alla borghesia l'accettazione del sindacato e del diritto di sciopero, spezzando la repressione reazionaria e rifiutando di lavorare alle condizioni di totale schiavitù.
La borghesia ha accettato il sindacato e il diritto di sciopero quando ha compreso che non bastavano i fucili e la polizia per costringere gli operai al lavoro. Ha fatto cioè i conti con la volontà dei lavoratori ed è dovuto entrare in mediazione con essi per poter perpetuare il suo sfruttamento.
Da quando il sindacato è stato ufficializzato, in esso si muovono da sempre due tendenze: 1) la tendenza di classe sostenuta dai lavoratori, che cerca sempre maggiore coerenza nella lotta contro gli imprenditori e tutti coloro che li rappresentano; 2) la tendenza interclassista sostenuta dalla borghesia, che cerca di limitare la lotta della forza-lavoro entro i limiti di concessioni salariali ritenuti accettabili dai capitalisti, senza che si danneggi il loro continuo aumento dei profitti.

2) La disciplina e la lotta tra le due linee nel sindacato.
Le due tendenze sopracitate si esprimono sempre alla luce della condizione materiale dei salariati e alla luce della loro coscienza. Quando la tendenza interclassista diventa influente ciò è dovuto ad una particolare confusione politica fra i lavoratori e ad una particolare disponibilità degli imprenditori di creare privilegi fra strati minoritari di lavoratori ed usarli come veicolo per diffondere fra le larghe masse la falsa idea che gli interessi dei lavoratori coincidono con il buon andamento degli affari dei capitalisti.
Ma questi sono sempre interventi di superficie, che non modificano l'aspetto materiale della condizione dei salariati, e da cui essi quindi ricavano continuamente la coscienza dell'inconciliabilità di classe fra lavoratori e capitalisti.
Per questo la tendenza di classe può indebolirsi in certi momenti, ma, osservandone l'andamento sul medio e lungo periodo, non scompare mai e tende sempre a determinare il suo predominio nell'orientamento del sindacato di massa.

Condizioni favorevoli per un intervento conciliatorio della borghesia sul piano economico e politico, si sono manifestate in due periodi storici: 1) nel periodo dello sviluppo industriale, in cui il formarsi di gigantesche forze produttive creava enormi profitti per i capitalisti e particolari privilegi per ristretti strati di lavoratori; 2) nel periodo dell'affermazione dell'imperialismo, in cui la rapina operata ai danni della maggioranza dei popoli permetteva enormi profitti per gli imperialisti e particolari privilegi per ristretti strati di lavoratori nei paesi imperialisti.
Ma questo non significa affatto che quando i profitti dei capitalisti sono elevati, ci guadagnano anche i lavoratori. Una siffatta idea è completamente falsa. Se i capitalisti realizzano alti profitti,
ciò non può essere che a scapito delle masse dei produttori (gli operai): i creatori del valore.
Nei due periodi prima detti, lo sviluppo delle forze produttive entrava in antagonismo con l'appropriazione privata del prodotto; nel senso che le nuove possibilità produttive creavano nuovi bisogni delle masse lavoratrici, e questi nuovi bisogni portavano ad una riduzione del valore del salario e quindi al riproporsi della lotta salariale per impedire il processo di impoverimento relativo. Quando poi, come è inevitabile, la sete di profitto capitalista provoca il freno dello sviluppo e la crisi del sistema stesso di sfruttamento, ecco che si ripropone sempre la sola via in ultima analisi
praticabile dai capitalisti per salvare i loro profitti: la via della riduzione dei salari e dell'impoverimento dei lavoratori. Questo comporta una intensificazione della lotta salariale dei lavoratori per la difesa dei loro diritti contro la logica stessa del sistema sociale dei capitalisti.
Nel primo caso, la borghesia interviene nel sindacato per incentivare l'illusione interclassista e per far credere che con la mediazione sindacale, si possono migliorare le condizioni di vita dei lavoratori.
Nel secondo caso, la borghesia interviene per spaccare il movimento sindacale e per reprimere le lotte dei lavoratori. Nella coscienza dei lavoratori, sia nel primo che nel secondo caso, deve essere evidente che la lotta sindacale è necessaria per difendere il salario dal permanente attacco portato ad esso dai capitalisti.
Nel primo caso, i lavoratori si ribellano all'idea che la rivendicazione salariale deve rimanere nei limiti previsti dal piano capitalista, proprio perchè tale rivendicazione si basa sulle nuove esigenze insorte nel livello di vita dei lavoratori.
Nel secondo caso, i lavoratori si ribellano all'idea che devono rendersi partecipi delle difficoltà dei capitalisti e si rifiutano di pagare con la riduzione del proprio salario l'esigenza di aumento dei profitti da parte dei capitalisti.

Considerando come fatto permanente la lotta fra lavoratori salariati e capitalisti, si comprende che il sindacato è la forma necessaria della lotta dei lavoratori e l'interlocutore che i capitalisti devono legalizzare, sia che nel sindacato sia influente la tendenza del sindacalismo di classe più coerentemente anticapitalistico, sia che sia influente la tendenza interclassista.

La disciplina sindacale è necessaria ai lavoratori, ed essi la rafforzano quando essa tende a far pesare tutta la forza dei lavoratori per difendere i loro diritti. La disciplina sindacale è necessaria ai capitalisti ed essi la legalizzano quando hanno bisogno di contrarre accordi con i lavoratori per ottenere che ritornino a produrre stabilmente.
I lavoratori si ribellano alla disciplina sindacale quando essa non fa pesare tutta la forza dei lavoratori e quindi non crea condizioni vantaggiose nella vendita della forza-lavoro.

I capitalisti cercano di spaccare la disciplina sindacale quando ritengono più conveniente la repressione violenta delle lotte. Ma con la repressione politicizzano le masse lavoratrici, creano nuovi fermenti rivoluzionari
Nel complesso di questo riproporsi ciclico delle diverse caratteristiche dello scontro sindacale fra lavoratori e imprenditori, la tendenza di fondo ineliminabile è che i Iavoratori uniti, organizzati, disciplinati nella lotta sindacale, si addestrano, elevano la loro coscienza di classe e si preparano alla lotta decisiva, politica e rivoluzionaria, per sconfiggere definitivamente il capitalismo, instaurando il nuovo ordine sociale della dittatura del proletariato.

3) Lotta sindacale, ribellione spontanea e prospettiva rivoluzionaria
Dice Gramsci: “Se i funzionari dell'organizzazione sindacale considerano la legalità industriale come un compromesso necessario ma non perpetuamente, se essi rivolgono tutti i mezzi di cui il sindacato può disporre per migliorare i rapporti di forza in senso favorevole alla classe operaia,
se essi svolgono tutto il lavoro di preparazione spirituale e materiale necessario perchè la classe operaia possa in un momento determinato iniziare un'offensiva vittoriosa contro il capitale e sottometterlo alla sua legge, allora ìl sindacato è uno strumento rivoluzionario...”
MA «Nella realtà italiana il funzionario sindacale concepisce la legalità industriale come una perpetuità. Egli troppo spesso la difende da un punto dì vista che è lo stesso punto di vista del proprietario. Egli vede solo caos e arbitrio in tutto quanto succede fra la classe operaia; egli non universalizza l'atto di ribellione dell'operaio alla disciplina capitalistica come ribellione... In queste
condizioni, la disciplina sindacale non può che essere un servizio reso al capitale”.

Ora, si tratta però di comprendere il valore e il limite della spontaneità e della ribellione operaia, perchè occorre spezzare una disciplina che serve il capitale, ma nel contempo ricomporre la disciplina che necessita alla lotta operaia per muovere tutte le sue energie.

Quando gli interessi sindacali degli operai non sono rappresentati con coerenza dalla direzione sindacale, si genera la rottura della disciplina sindacale.
Gli operai organizzano scioperi spontanei, il fronte di lotta, tenuto fermo dalle scelte opportunistiche della direzione sindaca1e, si rimette in moto con forme diversificate ed articolate, con incisività locale ma senza un piano centrale complessivo. In questo caso la spontaneità è positiva, essa rompe la situazione di stasi, ed è positiva anche se in alcuni punti si esprime in ribellione che rifiuta la mediazione sindacale e che non ha più fiducia nel valore unitario del movimento sindacale.

Ma quando questa rottura e ribellione spontanea diventa metodo fisso di concepire la lotta, quando cioè si esaltano la libertà di azione per singoli gruppi, la spinta spontanea dal basso come la sola legge del movimento, la democrazia di base come la sola forma di organizzazione, ecco allora che cominciano a formarsi gli aspetti neativi della spontaneità. La lotta mancante di organizzazione centralizzata, di quadri dirigenti, di unità d'azione di tutto il movimento è una lotta che non può realizzare la difesa dei diritti dei lavoratori, ed è una lotta che non prepara le condizioni necessarie alla prospettiva rivoluzionaria. E in pratica questa disgregazione del movimento indebolisce la tendenza di classe nel sindacato e lascia campo libero allo strapotere della tendenza interclassista e borghese. 

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