giovedì 12 ottobre 2017

GIOVEDI' ROSSI - LENIN: CON LA RIVOLUZIONE D'OTTOBRE E' INIZIATA UNA NUOVA EPOCA NELLA STORIA MONDIALE

Pubblichiamo stralci da uno scritto di Lenin: "Per il quarto anniversario della Rivoluzione d'Ottobre" - scritto il 14 ottobre 1921.
Esso è molto istruttivo, incoraggiante, perchè se da un lato mostra come il potere in mano agli operai e ai contadini in poche settimane spazza via i residui, le "catene" precedenti sia per quanto riguarda le condizioni economiche delle masse, l'eliminazione della proprietà privata, ecc; sia per le sopravvivenze ideologiche, la religione, la condizione delle donne, l'oppressione delle nazioni, ecc.; dall'altro non nasconde le grandi difficoltà a fronte di un'opera/scienza nuova, gli errori commessi e che si possono commettere, perchè l'importante - come dice Lenin - è che "il ghiaccio è rotto, la via è aperta, la strada è segnata..."
Ed è una strada segnata per l'intero movimento proletario e per l'oggi!
Si può cadere e non poter proseguire questa strada per decenni e decenni - come dopo la morte di Stalin è successo in Russia - ma la strada è segnata e come dopo dirà Mao: “Lottare, fallire, lottare ancora, fallire ancora, lottare ancora... fino alla vittoria".
Perchè il sistema della borghesia, capitalista, imperialista è ormai morente, la nuova storia del proletariato e delle masse popolari è il futuro!


"... (il) significato (della Rivoluzione d'Ottobre - ndr) e questa esperienza potrebbero essere tratteggiati nel modo seguente. 
Il compito più diretto e immediato della rivoluzione in Russia era un compito democratico-borghese: eliminare i residui del medioevo, spazzarli via completamente, epurare la Russia da questa barbarie, da questa vergogna, da questo ostacolo grandissimo a ogni cultura e a ogni progresso del paese.
E noi abbiamo il diritto di aver compiuto questa epurazione molto più recisamente, rapidamente, arditamente, vittoriosamente, ampiamente e profondamente dal punto di vista delle ripercussioni sulle masse del popolo, sulle folle, di quanto non avesse fatto la grande rivoluzione francese più di centoventicinque anni fa...
Noi procediamo con piena coscienza, fermezza e inflessibilità verso la rivoluzione socialista, sapendo che essa non è separata da una muraglia cinese dalla rivoluzione democratico-borghese, sapendo che soltanto la lotta deciderà in quale misura riusciremo ad avanzare... Chi vivrà vedrà. Ma noi vediamo fin d'ora che si è fatto un lavoro enorme, gigantesco - in un paese devastato, esaurito, arretrato - per la causa della trasformazione socialista della società...

Quali erano nel 1917, in Russia, le principali manifestazioni, le principali sopravvivenze, i
principali residui della servitù della gleba? La monarchia, la divisione in caste, la proprietà fondiaria, la condizione della donna, la religione, l'oppressione nazionale. Prendete una qualunque di queste «stalle di Augia» — che, tra parentesi, sono state lasciate in condizioni di notevole sporcizia in tutti gli Stati più progrediti dopo il compimento della loro rivoluzione democratica borghese... e vedrete che noi le abbiamo ripulite completamente. In poco più di dieci settimane — dal 25 ottobre 1917, allo scioglimento dell'Assemblea costituente (5 gennaio 1918) — abbiamo fatto in questo campo mille volte più dei democratici e liberali borghesi (cadetti) e dei democratici piccolo-borghesi (menscevichi e socialisti-rivoluzionari) negli otto mesi del loro potere.
Questi vili, questi chiacchieroni, questi Narcisi innamorati di se stessi, queste figure amletiche, minacciavano con spade di cartone e non hanno neppure distrutto la monarchia! Noi abbiamo spazzato via tutto il luridume monarchico come nessun altro aveva mai fatto. Noi non abbiamo lasciato pietra su pietra, mattone su mattone dell'edificio secolare delle caste... «Si può discutere... su che cosa, «in fin dei conti», verrà fuori dalle trasformazioni agrarie della grande rivoluzione d'Ottobre. Per il momento non abbiamo nessun desiderio di sprecare il tempo in queste discussioni, giacché con la lotta, noi decidiamo le controversie e tutte le relative polemiche. Ma non si può contestare il fatto che, per otto mesi, i democratici piccolo-borghesi «si sono conciliati» con i grandi proprietari fondiari, i quali conservavano le tradizioni della servitù della gleba, e che noi, in qualche settimana, abbiamo completamente cancellato dalla faccia della terra russa e questi grandi proprietari fondiari e tutte le loro tradizioni.
Prendete la religione o le condizioni della donna, priva di ogni diritto, oppure l'oppressione e l'ineguaglianza giuridica delle nazioni non russe. Questi sono tutti problemi della rivoluzione democratica borghese. I sapientoni della democrazia piccolo-borghese ne hanno chiacchierato per otto mesi. In neppure uno dei paesi più avanzati del mondo questi problemi sono stati risolti interamente in senso democratico borghese. Da noi sono risolti completamente dalla legislazione della rivoluzione di Ottobre. Noi abbiamo lottato e lottiamo seriamente contro la religione. Noi abbiamo dato a tutte le nazionalità non russe le loro proprie repubbliche o regioni autonome. Da noi, in Russia, non esiste quell'ignominia, quell'obbrobrio, quella viltà che è la negazione totale o parziale dei diritti alle donne, indegna sopravvivenza della servitù della gleba e del medioevo, rinvigorita dalla cupida borghesia e dalla piccola borghesia imbecille e timorosa, in tutti, senza eccezione, i paesi del globo terrestre...
Centocinquanta o duecentocinquant’anni fa, i capi più avanzati di tale rivoluzione... hanno promesso, ma non hanno mantenuto. Non hanno potuto mantenere perché sono stati ostacolati dal «rispetto» per la «sacra proprietà privata». Nella nostra rivoluzione proletaria questo maledetto «rispetto» per questo medioevo tre volte maledetto e per questa «sacra proprietà privata» non c'è stato.
Ma, al fine di consolidare per i popoli della Russia le conquiste della rivoluzione democratica borghese, noi dovevamo spingerci oltre e ci siamo spinti oltre. Abbiamo risolto i problemi della rivoluzione democratica borghese cammin facendo, come un «prodotto accessorio» del nostro lavoro vero ed essenziale, del nostro lavoro proletario-rivoluzionario, socialista. Le riforme — abbiamo sempre detto — sono un prodotto accessorio della lotta rivoluzionaria di classe...
 Il regime sovietico significa massima democrazia per gli operai e i contadini e, al tempo stesso, rottura con la democrazia borghese e comparsa di un nuovo tipo di democrazia di importanza storica mondiale, e precisamente della democrazia proletaria o dittatura del proletariato.
I cani e i porci della borghesia moribonda e della democrazia piccolo-borghese che si trascina al suo seguito, ci coprano pure di un cumulo di maledizioni, di ingiurie, di beffe per i nostri insuccessi ed i nostri errori nell'organizzazione del nostro regime sovietico. Noi non dimentichiamo, neanche per un minuto, che abbiamo effettivamente subito e subiamo molti scacchi, abbiamo commesso e commettiamo tuttora molti errori. Come se si potessero evitare gli scacchi e gli errori in un'epoca nuova, nuova per tutta la storia del mondo, qual è la creazione di un tipo di struttura statale che non ha esempi! Noi lotteremo inflessibilmente per rimediare ai nostri scacchi e ai nostri errori, per migliorare l'applicazione, ancora ben lontana dall'essere perfetta, dei principi sovietici. Ma abbiamo il diritto di esser fieri — e siamo fieri — che ci sia toccata la fortuna di incominciare la costruzione dello Stato sovietico, d'iniziare perciò una nuova epoca della storia mondiale, l'epoca del dominio di una nuova classe, oppressa in tutti i paesi capitalisti e che dappertutto marcia verso una vita nuova, verso la vittoria sulla borghesia, verso la dittatura del proletariato, verso la liberazione dell'umanità dal giogo del capitale, dalle guerre imperialiste.
II problema delle guerre imperialiste, di quella politica internazionale del capitale finanziario che oggi predomina in tutto il mondo, che fa nascere inevitabilmente delle nuove guerre imperialiste e che genera inevitabilmente un rafforzamento inaudito dell'oppressione nazionale, del saccheggio, del brigantaggio, del soffocamento delle piccole nazioni deboli, arretrate per opera di un pugno di potenze «più avanzate», questo problema è stato, fin dal 1914, il problema fondamentale di tutta la politica di tutti i paesi del mondo. È questa una questione di vita o di morte per decine di milioni di uomini... Anche in questa questione, la nostra rivoluzione di Ottobre ha iniziato una nuova epoca nella storia mondiale. I servitori della borghesia e i loro portavoce (i socialisti-rivoluzionari, i menscevichi e tutta la democrazia piccolo-borghese, sedicente «socialista», di tutto il mondo) schernivano la parola d'ordine della «trasformazione della guerra imperialista in guerra civile». Ma questa parola d'ordine è risultata l'unica verità... non ci si può liberare dalla guerra imperialista e dalla pace (e dal mondo) [2] imperialista che inevitabilmente essa genera, non ci si può strappare a quest'inferno se non con la lotta bolscevica e la rivoluzione bolscevica...
per la prima volta dopo centinaia e migliaia di anni, gli schiavi hanno risposto alla guerra tra i padroni di schiavi con l'aperta proclamazione della parola d'ordine: trasformiamo questa guerra tra schiavisti per la ripartizione del loro bottino in una guerra degli schiavi di tutte le nazioni contro gli schiavisti di tutte le nazioni!
Per la prima volta dopo centinaia e migliaia di anni questa parola d'ordine si è trasformata, da confusa e impotente aspettazione, in un programma politico chiaro e preciso, in una lotta attiva di milioni di oppressi sotto la guida del proletariato, in una prima vittoria del proletariato, in una prima vittoria della causa della soppressione delle guerre, in una prima vittoria della causa dell'unione degli operai di tutti i paesi contro l'unione della borghesia delle diverse nazioni, di quella borghesia che fa la guerra e conclude la pace a spese degli schiavi del capitale, a spese degli operai salariati, a spese dei contadini, a spese dei lavoratori.
Questa prima vittoria non è ancora una vittoria definitiva ed è stata ottenuta dalla nostra rivoluzione di Ottobre attraverso ostacoli e difficoltà senza uguali, sofferenze inaudite, attraverso una serie di insuccessi e di errori grandissimi da parte nostra. Come se, da solo, un popolo arretrato avesse potuto vincere senza insuccessi e senza errori le guerre imperialiste dei paesi più potenti e più avanzati del mondo! Noi non abbiamo paura di riconoscere i nostri errori e li esaminiamo spassionatamente per imparare a correggerli. Ma il fatto rimane: per la prima volta, dopo centinaia e migliaia di anni, la promessa di «rispondere» alla guerra tra gli schiavisti con la rivoluzione degli schiavi contro tutti gli schiavisti è stata mantenuta fino in fondo... ed è stata mantenuta malgrado tutte le difficoltà.
Noi abbiamo cominciato quest'opera. Quando, entro che termine precisamente, i proletari la condurranno a termine? Ed a quale nazione apparterranno coloro che la condurranno a termine? Non è questa la questione essenziale. È essenziale il fatto che il ghiaccio è rotto, la via è aperta, la strada è segnata...
Alla guerra imperialista, alla pace imperialista, la prima rivoluzione bolscevica ha strappato i primi cento milioni di uomini. Le rivoluzioni successive strapperanno a simili guerre ed a simili paci l'umanità intera.

E l'ultima nostra opera — la più importante, la più difficile, la più incompiuta — è l'organizzazione economica, la costruzione di una base economica per il nuovo edificio socialista che sostituisce quello vecchio e feudale distrutto, e quello capitalista semidistrutto. In questa opera, che è la più difficile e la più importante, abbiamo, più che in ogni altra, subito insuccessi e commesso errori. Come se si potesse incominciare senza insuccessi e senza errori un'opera simile, nuova al mondo! Ma noi l'abbiamo iniziata. Noi la continuiamo. Noi correggiamo appunto ora, con la nostra «nuova politica economica», tutta una serie di errori da noi commessi, noi impariamo come si deve proseguire nella costruzione dell'edificio socialista, in un paese di piccoli contadini, senza cadere in questi errori.
Le difficoltà sono immense. Noi siamo abituati a lottare contro difficoltà immense. Non per nulla i nostri nemici ci hanno soprannominati uomini «granitici» e rappresentanti di una «politica che spezza le ossa». Ma noi abbiamo imparato anche, per lo meno sino a un certo punto, un'altra arte, necessaria nella rivoluzione, la flessibilità, la capacità di cambiare rapidamente e bruscamente la nostra tattica, di tenere in considerazione i mutamenti delle condizioni obiettive, di scegliere una nuova via verso il nostro scopo se quella di prima si è dimostrata inapplicabile, impossibile per un determinato periodo di tempo.
Trasportati dall'ondata dell'entusiasmo e avendo risvegliato l'entusiasmo popolare — prima genericamente politico e poi militare — noi contavamo di adempiere direttamente sulla base di questo entusiasmo anche i compiti economici non meno grandi di quelli politici e di quelli militari. Noi contavamo — o forse, più esattamente, ci proponevamo, senza aver fatto un calcolo sufficiente — di organizzare, con ordini diretti dello Stato proletario, la produzione statale e la ripartizione statale dei prodotti su base comunista in un paese di piccoli contadini. La vita ci ha rivelato il nostro errore...
E noi, che in tre o quattro anni abbiamo imparato un poco a compiere svolte repentine (quando sono necessarie), abbiamo cominciato, con zelo, con attenzione, con perseveranza (benché non ancora con abbastanza zelo, attenzione, perseveranza) a studiare la nuova svolta della «nuova politica economica». Lo Stato proletario deve diventare un «padrone» cauto, scrupoloso, esperto, un commerciante all'ingrosso puntuale, perché altrimenti non potrà mettere economicamente sulla buona via un paese di piccoli contadini...
Noi siamo già alla fine del corso preparatorio in questo campo della nuova «scienza». Con uno studio tenace e perseverante, verificando praticamente l'esperienza di ogni nostro passo, non temendo di rifare più volte ciò che si è incominciato, correggendo i nostri errori, considerandone attentamente il significato, noi passeremo anche nelle classi successive. Noi seguiremo tutto il «corso», quantunque le circostanze della economia e della politica mondiale lo abbiano reso molto più lungo e difficile di quanto non avremmo voluto. Per quanto siano dure le sofferenze del periodo transitorio, le calamità, la fame, lo sfacelo, noi non ci perderemo d'animo e, ad ogni costo, condurremo la nostra causa a una fine vittoriosa

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