giovedì 5 ottobre 2017

La Cementir avvia la procedura di licenziamento collettivo dopo il sequestro del sito - 11 ottobre sciopero e manifestazione alla Prefettura

Ai sensi e per gli effetti della Legge n. 223 dei 23 luglio 1991 (e s.m.i.), con la presente Vi comunichiamo che in scrivente società Cementir Italia S.p.A. con sede legale in Roma al Corso di Francia 200 deve procedere al licenziamento collettivo di complessivi n. 72 (settantadue) dipendenti, compreso il personale addetto al locale ufficio vendite, (di cui n. 12 impiegati e n. 60 fra intermedi ed  operai) tutti in organico allo stabilimento di Taranto e ritenuti strutturalmente eccedenti rispetto alle esigenze aziendali“. Arriva così, attraverso una raccomandata a mani, inviata ai sindacati di categoria, alla Regione Puglia, alla Provincia, all’Ispettorato del Lavoro e a Confindustria Taranto, l’annuncio della società Cementir Italia spa del gruppo Caltagirone: pochi giorni dopo la chiusura delle indagini da parte della Procura di Lecce che ha sequestrato il sito del gruppo di Taranto (oltre che il parco loppa dell’Ilva e la centrale Enel di Cerano), all’interno di un’inchiesta per utilizzo di ceneri e loppa d’altoforno non a norma, e prima ancora che scada l’anno di cassa integrazione a zero ore il prossimo 22 gennaio, l’azienda decide di procedere direttamente al licenziamento collettivo dei 72 lavoratori di  Taranto.

I dati negativi della crisi del settore del cemento in Italia 
Cementir Italia S.p.A., all’interno della raccomandata, ricorda di essere “una società attiva nel settore della produzione e vendita di cementi ed attualmente occupa complessivamente n. 321 (trecentoventuno) dipendenti (di cui n.1l dirigenti, n.l9 quadri, 74 impiegati e 217 fra intermedi ed operai)“. Ripetendo ancora una volta il mantra di sempre: ovvero che i motivi
della crisi del gruppo vanno ricercati a causa “della grave e stabilizzata recessione che in Italia si è rivelata particolarmente negativa nel settore dell’edilizia che ha registrato, negli ultimi anni una significativa contrazione della domanda di materiali da costruzione e quindi anche della domanda di cementi“.
A conferma della tesi sopra esposta, Cementir sciorina anche altri dati: “Lo scorso mese di febbraio l’associazione confindustriale di categoria AITEC ha prospettato alla Commissione Lavori Pubblici del Senato una situazione complessiva del settore della produzione di cementi per la quale la crisi iniziata nell’ormai lontano 2008 non è ancora terminata. Rispetto ai valori registrati nove anni fa nel 2017 è prevista una diminuzione di oltre ii 60% in termini di volumi di produzione, di mercato e di valore aggiunto. Questo drastico ridimensionamento ha sinora determinato la chiusura sul territorio nazionale di ben 25 stabilimenti“.
Alla luce di questa gravissima situazione di crisi settoriale di mercato, Cementir poi ricorda che lo scorso maggio è stato creato un tavolo intermininisteriale (Ministero del Lavoro, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell’Ambiente) per affrontare la crisi dei settore cemento “il quale evidenzia purtroppo ancora una capacità produttiva di gran lunga superiore alla richiesta del mercato con gli stabilimenti che marciano in media al 60% delle loro potenzialità produttive. In definitiva, in base alle dinamiche registrate dal mercato è possibile ad oggi prevedere, quale scenario più probabile, una sostanziale stagnazione nel breve-medio periodo“.
Il lungo ridimensionamento del sito di Taranto sino alla chiusura del forno
Per quanto riguarda l’intera Cementir Italia. S.p.A. “solo negli ultimi esercizi (2011-2016) i volumi di vendita sul mercato domestico si sono ridotti di circa il 43 percento. A conferma di quanto rilevato in  ordine alla mancanza di segnali di miglioramento dello scenario di mercato che facciano intravedere una possibile inversione di tendenza, le consegne di cementi dallo stabilimento di Taranto alla data del 30 giugno 2017 registrano un decremento del 18 per cento rispetto a quanto consegnato sul mercato nel primo semestre del 2016 – si legge nella nota aziendale -. Al pari di tutte le altre aziende del settore la società ha dovuto adeguare l’offerta alla domanda, programmando una riduzione delle produzioni ed attuando una pluralità di azioni mirate al contenimento dei costi ed ai recuperi di efficienza, adeguando e razionalizzando progressivamente l’apparato organizzativo, amministrativo ed industriale ai mutati volumi di produzione e vendita“.
Nello specifico, presso lo stabilimento di Taranto tale situazione ha già da tempo costretto la società ad un significativo ridimensionamento delle attività, con chiusura nel dicembre del 2013 dell’area di produzione “a caldo” e con la conseguente ridefinizione degli organici necessari alla conduzione del ciclo industriale ridotto (c.d. centro di macinazione); in tal modo, limitando l’attività alla sola macinazione del semilavorato denominato clinker acquisito da produttori terzi, unitamente alla loppa di altoforno fornita a mezzo nastro trasportatore dal limitrofo stabilimento dell’Ilva, si consente la realizzazione a costi sostenibili di prodotti specializzati ed altamente tecnici – si legge ancora -. Infatti, come è noto, la trasformazione delle materie prime nel semilavorato clinker avviene nel corso del processo produttivo “a caldo” all’interno di complessi ed articolati impianti industriali di grandi dimensioni ,la cui conduzione, controllo e manutenzione richiede l’impiego di un numero ben più elevato di maestranze rispetto alla sola macinazione del clinker. Presso lo stabilimento stesso sono stati quindi adottati tutti i meccanismi di gestione transitoria e non traumatica della crisi tant’è che sino al 21 dicembre 2017 il personale fruirà del trattamento straordinario di integrazione salariale concesso alle imprese operanti in un’area di crisi industriale complessa“.
Le intenzioni future e gli interventi “esterni”
La verità, come sempre, sta nel mezzo. Nel senso che la Cementir, nel proseguo della nota, chiarisce senza nemmeno indugiare poi tanto, sul fatto che gli ultimi eventi che hanno riguardato il sito di Taranto, hanno ‘costretto’ la società a stravolgere il piano studiato da tempo. Ovvero un progressivo ridimensionamento del piano occupazionale, in funzione della trasformazione del sito. “La società era pervenuta alla determinazione di procedere, al termine del periodo di CIGS, ad una definitiva riduzione degli organici di Taranto, strutturalmente esuberanti rispetto alle concrete necessità lavorative in considerazione della complessiva ed oramai stabilizzata riduzione di tutte le attività dello stabilimento stesso, sia dirette sia indirette alla produzione. L’intenzione iniziale della società, da tempo resa nota, era quella infatti di allineare definitivamente gli organici alla struttura industriale configurata solo come centro di macinazione, come da organizzazione produttiva già da anni concretamente operativa a Taranto, nonostante le difficoltà proprie di tale tipologia di impianto connesse ai più alti costi di gestione e di approvvigionamento del semilavorato. Tale atteso programma di significativo seppur parziale ridimensionamento degli organici dedicati, in funzione del quale erano stati previsti n.47 (quarantasette) esuberi di cui n. 4 impiegati e 11.43 fra “intermedi ed operai, è stato tuttavia stravolto dei recenti avvenimenti di seguito descritti, seppur ampiamente noti in quanto oggetto di vasta attenzione anche mediatica” si legge nella nota.
Poi però l’intervento della magistratura la scorsa settimana, ha cambiato gli scenari. “Il 28 settembre la Guardia di Finanza, su richiesta della Procura della Repubblica di Lecce, ha sequestrato in via preventiva la loppa ricevuta dall‘ILVA nonché i parchi di stoccaggio e gli impianti dedicati, sull’assunto che tale sottoprodotto del processo di fusione della ghisa non sarebbe asseritamente conforme agli standard richiesti dalle attuali normative. Fermo restando che la scrivente società confida di dimostrare nel corso delle indagini la correttezza dei propri processi produttivi nonché la propria estraneità ad ogni comportamento astrattamente perseguibile penalmente, è noto che l’utilizzo della loppa d’altoforno nella produzione del cemento e comunque ammesso e disciplinato da una Autorizzazione Integrata Ambientale“.
(leggi l’articolo sull’inchiesta sul traffico illecito di rifiuti http://www.corriereditaranto.it/2017/09/28/47352/)
Ma come abbiamo scritto per anni (anche se solo adesso qualcuno se ne accorge soltando adesso, come sempre del resto, dopo l’intervento della magistratura e le carte da cui ‘apprendere’ una realtà che invece dovrebbe conoscere alla perfezione) il legame tra la Cementir e l’Ilva, in termine di materie prime e produzione è indissolubile. Come ha gioco facile ad affermare anche la stessa società del gruppo Caltagirone. “Il sequestro ha comunque determinato, per causa di forza maggiore, la sospensione a tempo indeterminato di tutte le attività dl produzione e commercializzazione sviluppate presso lo stabilimento di Taranto. Di conseguenza la scrivente società ha condotto un‘approfondita analisi della situazione determinatasi, all’esito della quale ha dovuto prendere atto che lo stabilimento di Taranto, privo della fornitura di loppa da parte del limitrofo stabilimento dell’ILVA, non può ulteriormente agire sul mercato a costi competitivi. Peraltro si evidenzia che lo stabilimento stesso è certificato solo per la produzione e commercializzazione dei cementi d’altoforno, cioè quei cementi prodotti con un elevato utilizzo della loppa. Essendo quindi emersa l’impossibilità di effettuare interventi tecnico-produttivi e commerciali atti ad operare utilmente in un mercato altamente concorrenziale la scrivente si vede costretta a sospendere sine die l’attività anche solo come centro di macinazione“.
E così, cogliendo la palla al balzo, con il sito sotto sequestro è ‘impossibile’, per la società, portare avanti qualsivoglia attività: e quindi a pagare, come sempre, è l’ultimo anello della catena, i lavoratori, che in realtà restano ancora oggi l’essenza vera sulla quale ogni azienda si poggia. “Si precisa che la società non è in grado di adottare ulteriori misure per evitare, anche solo in parte, l’attuazione del presente programma di licenziamento collettivo previsto dall’art.4 della Legge n.223/91, essendo i licenziamenti susseguenti alla sospensione sine die delle attività residue in corso presso lo stabilimento di Taranto. I licenziamenti avverranno nel rispetto dei termini della presente procedura e non sono prevedibili attribuzioni patrimoniali aggiuntive rispetto a quelle proprie della risoluzione dei rapporti sul piano individuale e previdenziale“.
Le verità nascoste….
Ora. La scelta della Cementir Italia, è inutile nasconderlo, è un colpo basso inferto ai lavoratori ed al territorio. Per di più, sembra un voler accelerare quel processo di lento abbandono che l’azienda ha intrapreso nel corso degli ultimi anni, almeno dal 2013, quando decise, dopo gli eventi che colpirono l’Ilva, di deporre nel cassetto il progetto di 150 milioni di euro per il revaimping dell’intero sito di Taranto. Seguì lo spegnimento del forno il 1 gennaio 2014, con la sola attività di macinazione. La cassa integrazione a rotazione, i tavoli con i sindacati, la Regione e il ministero dello Sviluppo economico, gli strani tentativi di ottenere dall’Autorità Portuale di Taranto un rinnovo di 20 anni della concessione di utilizzo della calata IV del porto di Taranto, che invece non fu concessa rendendo la banchina in questione ‘pubblica’. Sino ad arrivare all’accordo del dicembre del 2016 per la cassa integrazione di un anno, che terminerà il prossimo 22 gennaio, con all’interno un percorso di formazione per i lavoratori, insieme alla Regione Puglia, per ricollocare gli stessi in altri settori e altre aziende del territorio, e la cessione di tutti i siti presenti in Italia al gruppo tedesco Italcementi avvenuto lo scorso 19 settembre.
Un lento, inesorabile declino, che è arrivato al classico punto di non ritorno che prevedemmo già diversi anni fa. Restando però nell’ambito dei lavoratori, è chiaro che la decisione dell’azienda cozza con quanto previsto dal decreto legge sul Mezzogiorno. La Legge 3 agosto 2017, n. 123, di conversione, con modificazioni, del Decreto legge 20 giugno 2017, n. 91 – pubblicata in Gazzeta Ufficiale n. 188 del 12 agosto 2017, ha introdotto, al Capo I, l’articolo 3-ter che prevede la concessione, per le imprese operanti in un area di crisi industriale complessa, di un ulteriore trattamento di integrazione salariale straordinaria sino al limite massimo di 12 mesi “per ciascun anno di riferimento”. Alla luce di questo intervento normativo – si legge sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – le imprese che nel 2016 abbiano beneficiato del trattamento di integrazione salariale straordinaria ai sensi dell’articolo 44 comma 11-bis del D.lgs. n. 148/15, possono richiedere, anche per il 2017, la concessione del medesimo trattamento, sino a un massimo di 12 mesi, a valere sulle risorse assegnate per questa annualità. Dunque, anche per la Cementir Italia di Taranto la copertura per un ulteriore anno di cig è prevista per legge. E non si capisce perchè la Cementir preferisca non usufruirne, avviando la procedura di licenziamento per tutti i lavoratori.
Inoltre, pur essendo vero che l’azienda ha sempre dichiarato nei vari incontri con istituzioni e sindacati che i 72 lavoratori non potevano essere ricollocati all’interno del sito di Taranto, è altrettanto vero che è appena partito il percorso di formazione redatto proprio dalla stessa Cementir, ed approvato dai sindacati di categoria: dunque, perché abbandonare al proprio destino 72 lavoratori che hanno da poco intrapreso un percorso di formazione che al momento non da alcuna garanzia su un futuro occupazionale in altre aziende del territorio? Perché abbandonarli al proprio destino, subito dopo aver concluso un’operazione di vendita che ha fruttato alla società del gruppo Caltagirone oltre 300 milioni di euro (anche se l’intera operazione è condizionata all’autorizzazione da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato prevista per l’inizio del prossimo anno)?
Infine, ma non certamente per ultimo, il tema ambientale: che ne sarà del progetto TAF afferente la falda (attraverso un piano di trattamento delle acque), per il quale la società presentò un progetto attraverso un lavoro di concertazione con ARPA Puglia, di cui però non sappiamo se la fase sperimentale sia finita o meno? Allo stesso tempo, è bene sempre ricordarlo, ci chiediamo: la calata IV del porto di Taranto, per anni in concessione alla Cementir, attende ancora i lavori di bonifica e ristrutturazione che l’azienda, come denunciato anche tempo addietro dalla stessa Autorità Portuale di Taranto, non ha mai realizzato: chi li realizzerà adesso? Siamo proprio sicuri che la Italcementi si vorrà accollare tutto questo? Il dubbio è senz’altro legittimo.
L’11 ottobre l’incontro tra sindacati e Italcementi
Alla notizia dell’avvio della procedura di mobilità, il livello della tensione è subito tornato ad alzarsi tra lavoratori e sindacati. La Fillea Cgil, tramite il segretario generale Francesco Bardinella, esprime tutto il suo disappunto e la sua preoccupazione per quanto sta avvenendo in queste ore: “Abbiamo subito inoltrato una richiesta di incontro urgente alla società Cementir, in quanto ci sono tutte le carte in regola per ottenere una proroga delal cig per un anno, come previsto anche dal Dl Mezzogiorno, evitando quindi i licenziamenti. Su questo le istituzioni locali, ed in primis la Regione Puglia, devono garantirci il loro sostegno e il loro impegno. Inoltre, questa decisione improvvisa, altera di fatto le prime interlocuzioni che avevamo avviato con i nuovi proprietari del sito di Taranto, i tedeschi della Italcementi“. Con i quali, come comunica lo stesso Bardinella, ci sarà un incontro a breve: “Ci vedremo con i rappresentanti della nuova azienda e il governo il prossimo 11 ottobre al ministero dello Sviluppo economico a Roma per conoscere i loro piani sul sito di Taranto“. Un confronto non solo sul piano occupazionale e il processo produttivo, ma anche su quello ambientale: “Tenteremo anche di capire cosa vorrà fare Italcementi in merito alla bonifica della falda e ai lavori in banchina della calata IV: al momento la situazione è molto critica“.

Preoccupazioni, queste ultime, che non sembrano toccare il gruppo Caltagirone, che conclude la nota con cui avvisa dell’avvio della procedura di licenziamento, con un quanto mai laconico “Vogliate gradire i nostri migliori saluti“….
(leggi qui tutte le notizie sulla Cementir http://www.corriereditaranto.it/?s=cementir)

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