Tra gli operai di Trieste: "I tumori sono amentati del 50%".
Su 2.142 operai che hanno lavorato qui in 20 anni ben 300 hanno avuto la diagnosi di
gravi sindromi polmonari
LUIGI PASTORE, è nato a Barletta, ha 57 anni, è perito agrario, lavora da operaio
alla Ferriera di Trieste da 14 anni, e fino a 4 mesi fa. Perché 4 mesi fa ha scoperto
di avere un linfoma di MalT, e quando lo incontro sta per finire un ciclo di chemio
"pesantissima", poi dovrà ripeterla ogni due mesi. "Ho pensato: viene il cancro
proprio a me, che sono quello che rompe... Poi ho ripensato che attorno a me i miei
amici andavano in pensione e dopo pochi mesi morivano. E guarda che si andava in
pensione giovani, per l'esposizione all'amianto. In questi giorni di festa mi hanno
telefonato due che lavorano con me: uno ha un tumore al cervello, uno allo stomaco".
Sono venuto a Trieste spinto da una serie di motivi. È uscita, commissionata dalla
Procura, una certificazione sulla diffusione dei tumori polmonari negli anni dal 1974
al 1994 fra i lavoratori della Ferriera: superiore del 50 per cento alla media fuori
dalla fabbrica. 300 su 2.142. Una proporzione allarmante. Però è allarmante anche che
dati simili vengano compilati (sui documenti Inail e Inps) oggi, e che si aspetti
l'analisi epidemiologica che arrivi ai nostri giorni. E la Ferriera sta addosso a
Trieste quanto e più dell'Ilva ai Tamburi tarantini.
È difficile capacitarsi di una città piena d'intelligenza e di competenze che abbia
lasciato correre per tanto tempo, quando non abbia screditato chi denunciava. Un
altro motivo mi ha spinto. A Taranto mi ero sentito ripetere tante volte: "Ci
trattano così perché stiamo qui, in fondo all'Italia: nel nord non avrebbe potuto
succedere". Non è vero. Sono equanimi, sfruttatori e inquinatori. Succede a Seveso, a
Mantova, a Brescia, a Casale... Succede a Trieste.
La Ferriera, già Italsider, poi Pittini, poi Lucchini e Rubashov, poi delle banche, è
oggi affidata a un commissario governativo, Piero Nardi. Racconta Pastore: "Ho
lavorato in cokeria, altoforno, qualità, e da ultimo al parco ghisa. Il mio linfoma,
guarda, non fumo da 15 anni, vita regolare, i dottori dicono che non hanno la prova
ma il MalT non è da fumo, io penso alle diossine emesse alla qualità, sotto il camino
5. L'Inail mi ha riconosciuto la malattia professionale, prima la broncopatia, ora il
linfoma. E non è facile, tutti badano all'economia. La loro economia: nessuno che
pensi che la mia chemio costa 13 mila euro. Gli operai sono anche strani, hanno paura
di farsi le visite per non scoprirsi malati. Io appena avuta la mia diagnosi ho fatto
una specie di comunicato".
Ogni posto così ha un matto fissato. Qui si chiama Maurizio Fogar, è l'animatore del
Circolo Miani. È ascoltato dagli uni, inviso agli altri: "Un allarmista", "Con lui
non si può parlare: ripete sempre le stesse cose". È vero, è una Cassandra, ripete da
quindici anni che la Ferriera va chiusa, che sta lì solo per speculare e far
ammalare, sospetta ovunque complicità o omissioni, deride "esperti" che scambiano il
benzene col benzopirene. Solo che, alla luce dei fatti - la Ferriera ridotta da 2
mila a 450 dipendenti, e vicina a spegnersi, senza un serio piano di bonifica e
conversione, la Sertubi fallita, l'allarme sulle malattie, soprattutto infantili -
forse aveva ragione, con la sua fissazione.
A Trieste ha vissuto un medico (e scrittore) illustre e generoso, Renzo Tomatis, che
diresse il Centro tumori di Lione - e vi morì nel 2007. Ricorda fiero Fogar: "Nella
sua ultima uscita, era in pensione, parlò della salute a Trieste al Circolo Gerbec a
Servola: 'Siccome vedo in sala Maurizio Fogar, colgo l'occasione per scusarmi per il
colpevole ed omissivo comportamento dei miei colleghi sul dramma della Ferriera in
tutti questi anni...'".
La differenza fra Taranto e Trieste sta nelle dimensioni: non delle città, che si
somigliano e si assottigliano allo stesso modo precipitoso, ma delle fabbriche.
L'Ilva ha 12 mila dipendenti, e quasi 20 mila con le ditte, la Ferriera 450, e un
migliaio sì e no con le ditte. E poi la magistratura: a Taranto ha preso in mano il
destino cittadino, a Trieste no. Quando le denunce hanno avuto un seguito, il reato
perseguito era l'"imbrattamento", passibile di una contravvenzione, come le scritte
murali di Mario che ama Maria. (Nel 2010 furono bensì arrestati dirigenti della
Ferriera Lucchini, e sequestrata una discarica abusiva di 360 mila tonnellate di
rifiuti speciali e tossici, che interrano un vasto tratto di mare: ma l'iniziativa
veniva dalla Procura di Grosseto).
Li trovo, Fogar e gli altri, davanti a un supermercato a ridosso della Ferriera, con
le scatole da scarpe, chiedono di sottoscrivere un euro. In capo a tre giorni ne
avranno raggranellati 800, buoni per le bollette più incombenti. Sono militanti
inusuali, un medico, un'impiegata comunale, un operaio, un poliziotto, una maestra,
un ufficiale marittimo. E Mario, ex postino, fuoruscito da due tumori, che andò a
Roma a fare le selezioni da Bonolis e cadde alla domanda se Madonna avesse mai
cantato in italiano: voleva dire no, disse sì, e tornò indietro, senza la vincita che
avrebbe devoluto al Circolo.
Il Circolo sta in uno stanzone sul tetto, dal quale si domina - per così dire - la
fabbrica, se ne fronteggiano fumi e vapori colossali, si spazza la polvere nera -
"imbrattamento" - si guardano i bambini dell'asilo nido che giocano nel cortile. Si
vedono anche i camini del cementificio e dell'inceneritore, tutti vicini, e il tratto
di mare nel quale si vorrebbe piazzare un rigassificatore, a completare l'opera - ne
ha scritto per Repubblica Paolo Rumiz. Fa freddo, le discussioni si fanno coi
cappotti indosso, c'è un gran disordine di libri e ritagli, ma anche due piccoli
acquari di pesci benvoluti. Fogar non smette mai di ricordare inesorabilmente date,
episodi, dichiarazioni. La siderurgia è da tempo solo un pretesto, dice: l'acciaieria
trasportata in Russia nel 2004, altoforno e cokeria servono solo a giustificare la
Centrale di cogenerazione che utilizza i gas di risulta e, grazie alle agevolazioni
"ecologiche", vende l'energia elettrica a tre o quattro volte il prezzo ordinario, a
spese del consumatore.
Una siderurgia che si morde la coda: esiste per produrre gas nocivi che siano
impiegati a generare energia da vendere a tariffe maggiorate perché ha impiegato i
gas nocivi. È l'affare che protrae l'esistenza della Ferriera, oltre a un altro
regalo colossale, il privilegio di usare la banchina non solo per il carico e scarico
di minerali, ghisa e coke, ma per terzi: un porto in concorrenza, la più conveniente,
col vero porto, anche lui in piena crisi. Oltre che il serbatoio di voti, sempre più
striminzito, ma ancora capace di far gola in una città in cui il lavoro agonizza.
Ma a questo punto la manovra politica è un esercizio di equilibrismo: promettere la
continuazione della produzione e la sua cessazione, il lavoro e la salute, non
insieme, ma spartiti, il lavoro agli uni e la salute agli altri, e peggio per tutti.
A stare al ministro Clini - il quale ha dato un ultimatum di un mese per mettersi a
norma, e se no dismissione: il mese è già passato - la Ferriera dovrebbe chiudere da
un momento all'altro. (A proposito: Clini si specializzò in medicina del lavoro con
una tesi sulla cokeria triestina).
Pastore: "Credi a me, a norma non c'è nemmeno un bullone. L'Italia ha bisogno di
siderurgia, ma pulita. Questa è finita: e non è che la chiudano le istituzioni, come
avrebbero dovuto, si spegne da sola, per esaurimento, e questa fine mi turba. Hanno
raschiato il fondo del barile, e se ne vanno per non pagare le bonifiche. Non le farà
nessuno. Io sono in malattia, ma sono tuttora Rsu, ho fatto il mio dovere. Ti faccio
un esempio: si portavano le tute a casa, le mogli che le lavavano potevano
ammalarsene. Ho ottenuto il lavaggio alla cokeria, poi agli altri reparti e alle
ditte esterne. Non è vero che gli operai non segnalano le cose che non vanno.
Io non le segnalo a voce, e anche quando fu introdotto un modulo dall'azienda, in
mano all'operaio restava solo uno scontrino, io facevo la copia della denuncia e la
faxavo. Voglio rientrare per controllare che le cose siano a posto: col
commissariamento vanno via le ditte, gli operai dovranno fare anche il loro lavoro,
la fabbrica diventerà più pericolosa. Già, come diciamo noi, mettevano il fil di
ferro, ora taglieranno corto".
ADRIANO SOFRI
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