venerdì 14 giugno 2013
alla Natuzzi . annunciati esuberi e chiusure - operai in lotta - ma con questi sindacati confederali finisce come alla miroglio - serve lo slai cobas per il sindacato di classe
Sciopero a oltranza in atto da martedì mattina allo stabilimento di Laterza,
assemblee a catena negli altri opifici della Natuzzi spa.
Da Laterza (mercoledì scorso) a Ginosa (ieri), da La Martella a Santeramo in
Colle (nelle prossime ore): a macchia d'olio la protesta,
A fare da innesco i 1.900 esuberi annunciati dall'azienda santermana nell'ultimo
incontro con le segreterie sindacali alla Confindustria di Bari, presenti
anche le Rsu degli stabilimenti di Ginosa, Laterza, Matera e Santeramo.
Annuncio, perentorio e «prospettico», dai contraccolpi imprevedibili, i cui
effetti hanno già una data in agenda: venerdì 28 giugno, a stabilimenti
fermi, i lavoratori del Gruppo manifesteranno a Bari, davanti agli uffici
regionali e alla Prefettura. Gli esuberi annunciati, in effetti (passati da
1470 a 1900 in vista della cassa integrazione che scade il prossimo 28
ottobre), tolgono aria e respiro in una realtà, sociale e produttiva, già in
pesante difficoltà, sempre più in affanno. Realtà peraltro segnata, a
giudizio dei sindacati e degli stessi lavoratori, dai «silenzi» della
Natuzzi su quel piano industriale che l'azienda avrebbe dovuto presentare ai
sindacati entro giugno e di cui nulla, al momento, è dato sapere.
«Il vero nodo è questo, serve chiarezza e invece riveviamo solo risposte
evasive miste a silenzio» commenta Marco Labalestra, Rsu in «presidio»
davanti allo stabilimento Natuzzi di Laterza, dove lo stato di agitazione è
partito in anticipo, innescato da uno di quegli atti aziendali che Antonio
Stasi, segretario della Fillea Cgil di Taranto, definisce «unilaterali, non
condivisi». Imposti. Come il piano di giornate lavorative consegnato dalla
direzione Natuzzi nei giorni scorsi, che «di fatto riduce del 50% la
presenza in fabbrica dei dipendenti».
In pratica, a Laterza ci sarebbero «lavoratori che continuano ad essere
impegnati a tempo pieno, e altri invece in cassa integrazione, soggetti ad
una rotazione del 25%: come dire che lavorano una settimana su quattro».
Insomma, mancherebbero «giustizia» ed «equità di trattamento » in un momento
in cui «il poco lavoro che c'è va invece garantito a tutti». «Giovani»
dipendenti trentenni che chiedono un pezzo di futuro, e cinquantenni per i
quali il futuro è ora: «Dopo ventisette anni di lavoro, il vuoto» dice
Giuseppe Girardi che ha già venduto la sua automobile «perché una figlia all'università
bisogna mandarla». E Vito Lozitiello, che di anni di lavoro ne ha «soltanto»
venticinque, occhiali scuri sotto il sole a picco di contrada Candelora,
annuisce muovendo la testa. Sullo sfondo l'ipotesi, prospettata da Natuzzi
nello stesso incontro barese, di trasferire all'estero l'intera fase
produttiva. .
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