di FULVIO COLUCCI TARANTO - I dirigenti tecnici dell’Ilva li chiamano «colpi di coda», ma in realtà il blitz di ieri dei custodi giudiziari dentro lo stabilimento siderurgico testimonia quanto sia viva, vivissima, da parte della magistratura l’attenzione sulla marcia degli impianti dell’area a caldo, posti sotto sequestro per disastro ambientale il 26 luglio del 2012. In mattinata, i tre custodi: Barbara Valenzano, Claudio Lofrumento ed Emanuela Laterza, accompagnati dai carabinieri del Nucleo operativo ecologico (Noe) guidati dal maggiore Nicola Candido, hanno fatto il loro ingresso negli uffici della direzione Ilva effettuando un’ispezione durata poco più di tre ore. I custodi hanno visionato una serie di documenti lasciando poi lo stabilimento. Nulla trapela né sulla sortita in fabbrica dei tre né sulla documentazione finita sotto la lente d’ingrandimento di Valenzano, Lofrumento e Laterza. Questa è solo la prima «visita» agli impianti sequestrati da parte dei custodi nominati dal giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco. Il magistrato ha disposto, infatti, relazioni settimanali affidate a custodi e carabinieri sullo stato degli impianti. Al massimo riserbo che circonda la giornata di ieri fanno da contraltare le parole che, nei giorni scorsi, proprio il gip Todisco pronunciò quando la magistratura tarantina decise di concedere all’Ilva la facoltà d’uso degli impianti. Il magistrato ammonì l’azienda: la facoltà d’uso sarebbe stata revocata nel caso di mancato rispetto dei lavori (e della tempistica) previsti dall’Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale, con il ripetersi di violazioni alle prescrizioni; le violazioni che hanno determinato il commissariamento dello stabilimento siderurgico e la nomina di Enrico Bondi. A proposito di «colpi di coda» e di «capi», per unire i due estremi: s’ingarbuglia la vicenda dei dirigenti tecnici che hanno manifestato in una lettera, nei giorni scorsi, la propria volontà di dimettersi. Il confronto con il direttore dello stabilimento, Antonio Lupoli, sembrerebbe essersi inasprito dopo una serie di incontri tumultuosi nei quali almeno metà degli ex fedelissimi di Riva avrebbe espresso la volontà di non recedere dalla propria intenzione. Alla fine si sarebbe raggiunto un accordo temporaneo: per 15 giorni i «capi» ribelli continueranno ad esercitare le proprie funzioni, assumersi le proprie responsabilità, firmare, per esempio, documenti come “l’accesso impianti”, indispensabile al fine di consentire alle ditte specializzate l’ingresso nei reparti interessati dai lavori Aia. Trascorse le due settimane sarà fatta una verifica sulla realizzazione di quelle garanzie chieste al direttore Lupoli sull’Aia e su un ritorno alla normalità che eviti, appunto, i «colpi di coda» della magistratura temuti dalla dirigenza tecnica. La situazione resta, quindi, molto delicata e incerta. |
Nessun commento:
Posta un commento