- Risarcimento danni chiesto dal Comune all’Ilva (si parte da
700 milioni di euro), respinta la richiesta di «accertamento tecnico
preventivo». Il tribunale di Taranto, giudice Antonio Pensato, ha dato
ragione ai legali dell’azienda siderurgica respingendo (in gergo, si
parla di ordinanza di rigetto) il ricorso del Comune di Taranto che
aveva chiesto ai magistrati di disporre, con urgenza, l'accertamento
tecnico preventivo. Era questa una tappa importante e preliminare,
verrebbe da dire preparatoria, all'azione risarcitoria richiesta al
Gruppo Riva per danno ambientale. In buona sostanza, l’Amministrazione comunale di Taranto assistita legalmente dagli avvocati «esterni» Massimo Moretti e Giuseppe Dimito chiedeva l'accertamento immediato dei danni provocati dalle emissioni nocive. La strategia legale del Comune di Taranto è apparsa sin dall’inizio chiara. Ovvero, scattare una sorta di fotografia ai fatti, fermare i luoghi e gli elementi che si considerano essere stati contaminati dall’Ilva prima che altri avvenimenti possano modificare lo stato delle cose col passare dei mesi. Facendo un esempio, ragionando per assurdo, se l’Ilva chiudesse tra un anno senza questa «fotografia preventiva» la richiesta risarcitoria del Comune potrebbe essere quantomeno depotenziata. Per fare un parallelo con la procedura penale potremmo paragonare l’«accertamento tecnico preventivo» all’incidente probatorio. Se è vero, come è innegabile, che formalmente il magistrato ha respinto la richiesta di Palazzo di Città è altrettanto evidente come nel farlo abbia sostanzialmente affermato che la monumentale documentazione presentata dal Comune costiuisce, di fatto, già una prova, anzi una «valenza di prova anche nell'istaurando giudizio civile» promosso sempre dal Comune di Taranto. E quest’ultimo tassello viene guardato con particolare interesse dal Municipio. |
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