12.2013 - ILVA E VIRGOLA
di Sergio
Bellavita
Nell'agosto del 2012 davanti alla pesante contestazione da
parte di centinaia di lavoratori dell'Ilva di taranto del comizio di Cgil Cisl
Uil, mi permisi di invitare ad una riflessione profonda il sindacato e a non
sottovalutare quel segnale. Quell' invito venne liquidato da Landini, dalla
segreteria di Taranto e dalla maggioranza del gruppo dirigente Fiom come un
regalo a teppisti da stadio e delinquenti comuni e divenne parte del processo che di li a pochi mesi opero' la mia destituzione da segretario nazionale con la
rottura della maggioranza congressuale che aveva retto la Fiom dal 2002. Si e'
incaricato il voto degli operai Ilva della scorsa settimana di mostrare quale
fosse la reale portata di quel segnale.
Oggi gran parte del gruppo dirigente
che ha gestito negli ultimi tre anni l'acciaieria di Taranto, a partire dal
segretario Landini, ammette la sconfitta e non potrebbe essere diversamente.
Tuttavia per la fiom il risultato delle elezioni rsu all'Ilva di Taranto non
e' solo una semplice, per quanto dura, sconfitta in un rinnovo della
rappresentanza sindacale di fabbrica. Non e' un infortunio, un evento che può
essere circoscritto a un territorio o a un settore.
Se per l'Usb e il
sindacalismo di base il risultato dell'Ilva e' una vittoria senza precedenti nel
settore metalmeccanico privato, per la Fiom e' il primo vero pesante crollo di
consenso tra gli operai negli ultimi vent'anni e come tale ha un valore
generale. Ciò accade a tre anni di distanza dal referendum di Mirafiori, da quel
no della Fiom a Marchionne che, su Pomigliano e quella resistenza operaia, aveva
costruito la straordinaria manifestazione del 16 ottobre 2010 conquistando un
consenso tra i lavoratori che andava ben al di la' dei metalmeccanici. E' quindi
in questi tre anni di storia sindacale e politica che vanno ricercate le ragioni
di una debacle di tali dimensioni.
La Fiom non e' sconfitta in quanto
incompresa e persino contrastata da un sottoproletariato, anch'esso parte del
sistema clientelare costruito dai Riva a suon di milioni di euro, che non ha
riconosciuto la radicalità e determinazione del sindacato, ipotesi a cui
qualche dirigente allude. Un'idea alquanto bizzarra che auto assolve i gruppi
dirigenti e che prevede come unica soluzione la sostituzione degli operai... La
Fiom e' sconfitta perchè vissuta dai lavoratori come parte del palazzo, parte di
un teatrino della politica ormai logoro e privo di ogni credibilità, specie quando il teatrino e' condito dalla pubblicazione delle intercettazioni
telefoniche che palesano il consociativismo della sinistra politica e sociale
cortigiana. Si paga il prezzo dell'accettazione della Fiom dei tanti
provvedimenti dei governi a difesa degli interessi dei Riva contro i magistrati, che, per l'acciaio e non solo, hanno derogato al diritto alla salute dei
lavoratori e della popolazione consentendo di continuare a produrre, inquinare e
uccidere.
Dialoganti con i governi e i potentati ma durissimi nella gestione
della vita interna all'organizzazione, sino al punto da cancellare, destituire
parte di delegati e iscritti Fiom all'Ilva. In una vicenda certamente
complessa, delicata e tutt'altro che trasparente che, ho gia' avuto modo di
richiedere nelle sedi formali, andrebbe indagata con una commissione interna,
allo scopo di rendere evidente, una volta per tutte, al comitato centrale della
Fiom quanto accaduto a Taranto. Quello che sappiamo con certezza e' che c'e'
stato un grande consenso dei lavoratori ai delegati cacciati dalla Fiom e oggi
raccolti sotto le bandiere dell'Usb, un'organizzazione che nell'ultimo anno a
Taranto ha sostenuto scioperi anche a oltranza, proteste e manifestazioni per il
diritto alla salute, alla sicurezza, al lavoro, rivendicando l'esproprio ai Riva
dell'Ilva senza demonizzare la questione del reddito.
Quello che sappiamo con
certezza e' che la parte cacciata e' stata considerata per anni il riferimento
di fabbrica della Fiom, il volto barricadero all'Ilva che ha subito
licenziamenti, provvedimenti disciplinari e mobbing da parte dell'azienda.
Se questo e' il quadro, non e' difficile capire le ragioni del tracollo di
consensi tra gli operai e il travaso di voti dalla Fiom all'Usb.
Quando
un'organizzazione si mostra cosi slegata dalla citta', cosi incapace di
misurarsi con la inevitabile complessita' e contradditorieta' di quel rapporto
citta' fabbrica, quando i proclami di un nuovo modello di sviluppo si infrangono
sulle polveri di un'acciaieria il risultato e' certo. Proprio per queste
ragioni il voto Ilva assume un carattere generale. In un quella che poteva
essere una vertenza esemplare su salute, ambiente, diritto al lavoro e al reddito,
contrasto alle politiche del Governo, nuovo intervento pubblico in economia,
denuncia del malaffare padronale e del suo vasto sistema di corruzione la Fiom
e' mancata clamorosamente o peggio e' apparsa complice.
La sostanza e' che
siamo di fronte al primo esplosivo segnale del mesto rientro della maggioranza
del gruppo dirigente Fiom in quella normalità "confederale" che e' esattamente
la negazione di 15 anni di battaglie dentro e fuori la Cgil.
Anche chi non e'
addentro ai tecnicismi sindacali comprende senza difficoltà che le parole e le
azioni della Fiom di Genova 2001, dei 21 giorni di Melfi, delle lotte per il
contratto nazionale, della battaglia contro il protocollo del welfare nel 2007,
dell'alterita' alla deriva Cgil consacrata in due congressi su posizioni
alternative e cementata da una pratica contrattuale coerente sono ben altra cosa
di quelle che accompagnano l'abbraccio all'accordo del 28 giugno che accoglie le
deroghe e di quello all'accordo del 31 maggio che cancella le libertà
sindacali.
I nodi prima o poi vengono al pettine. Il ripetuto utilizzo
dell'orgoglio operaio del no a Pomigliano e Mirafiori di tre anni fa non paga
più per la semplice ragione che parla di un ricordo appunto, non dell'attualità,
non di una pratica che ancora tenta di rispondere alla condizione dei lavoratori
in una fase difficilissima. Il ricordo di una radicalità e di una determinazione
oggi sacrificata al pragmatismo, alla responsabilità ed al realismo rassegnato
dei gruppi dirigenti. Con il voto Ilva e il rientro nella maggioranza Cgil al
congresso si certifica la chiusura della lunga stagione Fiom che, dal 1996 al
2011, seppur in maniera contraddittoria, ha segnato la storia sindacale di
questo paese impedendo la normalizzazione del quadro sindacale e la
corporativizzazione del sistema puntando su democrazia,indipendenza e conflitto.
Emendare il documento Camusso e' apporre una qualche virgola a un testo che
rivendica la bonta' della propria linea sindacale di questi anni. Guarda caso
quella che ha consentito la distruzione del sistema di protezione sociale senza
colpo ferire. Virgole significative certo, ma pur sempre virgole. Il sindacato
e' un'altra cosa.
[www.rete28aprile.it]
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