martedì 4 novembre 2014

Ilva la nazionalizzazione che piace a parte dei padroni e sindacati non è la soluzione per i lavoratori

Questi vogliono che, al solito, lo Stato dopo aver ceduto la fabbrica per i profitti di Riva, ora se la riprenda per gestire le perdite, per poi restituirla ai privati vecchi o nuovi - Arvedi, Mittal, Marcegaglia, famiglia Riva stessa-  per far fare nuovi profitti ai privati.
E' una strada illusoria e pilotata

Serve invece un decreto operaio che tuteli effettivamente i lavoratori,

ne metta in sicurezza il lavoro e reddito qualunque sia la soluzione che padroni e governo sceglieranno - nessun licenziamento, nessuna perdita di salario

comprenda il prepensionamento degli operai dopo 25 anni di stabilimento, anche come tutela e risarcimento

utilizzi i lavoratori ilva nell'ambientalizzazione dell'ilva - che si può e si deve fare - riducendo a minimo la cassaintegrazione e i contratti di solidarietà -

affermi in questa fase di ambientalizzazione e altro la priorità della sicurezza dei lavoratori in fabbrica con una postazione ispettiva interna che funzioni da deterrenza per i gestori dell'azienda e da riferimento per denuncia e intervento immediato per i lavoratori e delegati

Nazionalizzare l’Ilva? L’ipotesi torna in campo

di Domenico Palmiotti

TARANTO - Piace alla Fiom Cgil e all’Unione sindacale di base, non convince la Fim Cisl e non sembra essere, almeno per ora, nell’agenda del Governo di Matteo Renzi. Parliamo della nazionalizzazione dell’Ilva. Ci sono settori, soprattutto sindacali, che sollecitano un ritorno dello «Stato padrone» vista la situazione critica che c’è a Taranto (Ilva) e a Terni (Thyssen). Ma da qui a dire che si possa tornare ad una riproposizione del modello Iri - che ha gestito l’Ilva sino ai primi mesi del 1995 quando avvenne la vendita a Riva - ovviamente ce ne corre. Eppure qualcosa si muove. Appena qualche giorno fa Giovanni Gorno Tempini, amministratore delegato della Cassa Depositi e Prestiti, ha indicato il campo nel quale l’istituto pubblico può muoversi: partecipazione diretta all’Ilva no, sostegno ad un’impresa che entra nell’azionariato dell’azienda siderurgica sì. «L’Ilva - dice Gorno Tempini - non è investibile per statuto da Cdp, nè dal Fondo strategico». Tuttavia, aggiunge, «questo non significa affatto che noi non si guardi alla siderurgia come a uno dei settori importanti dell'economia italiana». E allora, dice ancora Gorno Tempini, «è in corso un dialogo con gli operatori del settore per vedere se non ci siano le condizioni per il Fondo strategico per investire in una di queste aziende». E in tal senso un «possibile coinvolgimento di Ilva non ci vedrebbe contrari».Per statuto, Cdp e Fondo strategico possono investire in aziende che hanno una «stabile condizione di equilibrio finanziario». Gorno Tempini non fa nomi ma c’è l’ipotesi che Cdp e Fondo strategico possano sostenere Giovanni Arvedi, l’industriale siderurgico lombardo interessato ad acquisire l’Ilva come gli indiani di Jindal e la multinazionale Arcelor Mittal-Marcegaglia, con quest’ultima che appare in vantaggio rispetto agli altri due e potrebbe presentare l’offerta economica a metà mese.

Scenari. Possibilità. Che si incrociano con un dato di fondo: non c’è più molto tempo per salvare l’Ilva. L’azienda ha ormai esaurito la liquidità che gli hanno trasferito le banche con la prima rata del prestito ponte (125 milioni) e quindi si deve accelerare nella costruzione di un nuovo assetto societario che assuma tra le sue priorità il risanamento ambientale, la tutela dei posti di lavoro e il rilancio industriale.

Nessun commento:

Posta un commento