(seconda parte)
Ma alla manifestazione di Roma c'è stato purtroppo anche altro, anche questo eloquente e più grave.
Il rapporto, l'intreccio, oggettivo, ma anche soggettivo, tra l'azione di alcune principali esponenti di nudm romane e l'azione della polizia.
Finita la questione del pulmino - perchè l'Mfpr in maniera ferma ha detto che il pulmino non si toglieva, né andava in coda, e in questo ottenendo l'appoggio, sostegno, condivisione di tante donne, compagne, che in maniera schierata o cercando di “convincere” le romane, sono state un grande aiuto per respingere, mettere in difesa le esponenti romane di nudm - in maniera quasi di “passaggio del testimone” la parola e l'azione passa alla polizia.
Digos e polizia in forze vengono e pretendono che si tolgano due cartelli che avevamo affisso sul retro del pulmino. Uno diceva: “maschilisti, fascisti, poliziotti, giù le mani dai nostri corpi” (uno slogan iper usato nelle manifestazioni delle donne), l'altro diceva “Stuprano le donne, torturano i migranti, Minniti, governo siete i mandanti”. Se non li avessimo tolti – diceva la polizia, oltre a minacce di fermi, denunce, perquisizione del pulmino da parte della scientifica (pensavano forse di trovare droga, o armi...?) - la manifestazione non partiva...
Chiaramente, la reazione ferma e inamovibile delle lavoratrici e compagne del mfpr è immediata: i cartelli non si toccano! E alcune lavoratrici si schierano subito a difenderli, respingendo i tentativi della polizia (sia uomini che una donna) di strapparli, di fermare alcune compagne.
Quei cartelli erano più che giusti. Proprio quel giorno, altre 18 donne migranti, e bambini erano stati
lasciati affogare; come non denunciare il criminale accordo Minniti/regime libico, l'aiuto, i finanziamenti del governo italiano ai torturatori/stupratori della guardia costiera libica?
Proprio il giorno prima si era aperto il processo ai due carabinieri stupratori di Firenze; come non denunciare nella manifestazione contro la violenza sulle donne, queste violenze di “Stato”, di cui potremmo riempire decine e decine di pagine, a dimostrazione che non si tratta affatto di “alcuni cattivi poliziotti/carabinieri” ma di una ideologia fascista, sessista strutturale e connaturata nel mondo delle forze dell'ordine?
D'altra parte questi cartelli esprimevano due nodi centrali oggi dell'azione nazionale e internazionale contro le donne di questo sistema borghese, dell'imperialismo italiano – come si faceva proprio nella giornata del 25 novembre a non denunciare tutto questo?
D'altra parte questi cartelli non facevano che riportare nel corteo del 25 iniziative di protesta, di lotte delle donne (da Torino a Firenze, alla Sardegna, alle città in cui si lotta con i migranti, ecc.) esprimevano le denunce emerse nell'assemblea nazionale di Pisa. Quindi, non si potevano assolutamente toccare, e più i poliziotti aumentavano, più arrivava un loro capo superiore a minacciare, più la nostra protesta si alzava e, soprattutto e bellissimo, più tantissime donne, ragazze e anche ragazzi si avvicinavano, dicendo alla polizia di andare via; un emozionate momento è stato quando un folto gruppo di ragazze, a cui si sono unite tante altre donne anche anziane, ragazzi, ha gridato per molti minuti: “Poliziotti ma che ci state a fare? a casa ci sono i piatti da lavare”, mostrando che la questione non era tra il nostro piccolo gruppo e i poliziotti, ma che quei poliziotti attaccando noi, attaccava tutte le donne. Questo bella risposta combattiva ha di fatto cambiato la situazione, ha messo in difesa i poliziotti che a quel punto hanno lasciato i cartelli dove ben stavano (è possibile che ci arriveranno denunce, ma il 25 novembre le donne hanno vinto, loro hanno perso).
Ma torniamo alle esponenti romane di nudm. La polizia arriva stranamente subito dopo la querelle sul pulmino di nudm. Ma la cosa grave è che dopo un po' arrivano ancora le esponenti di nudm e non dicono alla polizia di andare via, che quei cartelli erano pienamente legittimi nella manifestazione; niente di tutto questo, ma dicono e insistono con noi che è meglio che effettivamente togliamo quei cartelli, altrimenti la polizia non farà partire il corteo (addirittura...!).
Così nel bel sostegno che vi sarà dopo da parte di tante donne/ragazze, loro se ne restano in mezzo, infastidite. Nonostante altre compagne, pur a loro vicine, ci diano ragione, protestano verso la polizia, o cerchino di mediare.
Ma altro fatto è che, una volta che la polizia si “rassegna” a lasciare i manifesti, non possiamo ancora muoverci e entrare con il pulmino nel corteo perchè, dice la polizia, su questo decidono le organizzatrici della manifestazione e loro aspettano da queste le disposizioni.
Una mascheratura, un gioco delle parti? Fatto sta che oggettivamente c'è un intreccio e l'uno serve l'altro. La polizia usa nudm per bloccarci, nudm utilizza la polizia per continuare ad ostacolare la nostra partecipazione al corteo.
Anche questo ostacolo, non senza difficoltà e necessità di “forzature”, viene sgretolato, sia da noi, sia da altre compagne di nudm.
Ciò che è avvenuto a Roma, è emblematico, di una linea, di una concezione, di una classe. Ma anche di un cambiamento.
Il femminismo borghese e piccolo borghese oggi non è solo opportunista, non solo nelle sue espressioni organiche porta avanti posizioni di destra; ma a tutto questo oggi unisce un isterismo, un astio “militante”, che impedisce di fare una lotta "normale" contro l'opportunismo e il riformismo. Questa è una novità. E non si tratta assolutamente di individue, di alcune persone, ma di una linea, di una concezione organica. Anche a Taranto le esponenti e gli esponenti (i maschi che gonfiando il petto si proclamano “più femministi delle femministe”) di nudm per impedire le bandiere del Mfpr dicono: chiamiamo la polizia...
Una novità che spiega cosa è e come agisce, come si esprime l'opportunismo, il riformismo, quanto è non solo impotente ma pericoloso al movimento di massa proletario, rivoluzionario, in una fase di "moderno fascismo" gestito dalla cosiddetta "sinistra" di governo e parlamentare.
Se il movimento delle donne non comprende la fase, non riuscirà mai a spiegare perchè, nonostante cresca la “marea”, crescono violenze e femminicidi, e contemporaneamente peggiora la condizione di vivibilità quotidiana della maggioranza delle donne, e la risposta del governo sono le politiche securitarie, il primato dell'ordine pubblico e del controllo, che è tutto il contrario della libertà collettiva, individuale delle donne, ed è tutto il contrario della loro autodeterminazione.
Oggi la borghesia, il governo, lo Stato usa la denuncia della violenza per darsi un'altra faccia, e per affermare il binomio repressione/guerra alla maggioranza delle donne, alle donne proletarie.
La questione di genere, quando viene sollevata, viene usata così contro la questione di classe.
Ma questo, attenzione, avviene anche nel femminismo borghese, dove la questione della violenza contro le donne, senza classi, viene via via posta per negare la classe e la lotta di classe.
E alla fine si pone nuda e cruda che anche nel movimento femminista la questione è borghesia/proletariato. Questo è emerso in alcuni momenti chiaramente il 25 novembre. Erano le lavoratrici in lotta tutti i giorni, per il lavoro, contro le discriminazioni, contro il tentativo di ricacciarle nella famiglia (a rischiare anche la vita), contro il peso dei tagli ai servizi sociali, all'assistenza dei malati, dei disabili, dei tagli alla scuola, alla sanità che ricadono tutti sul doppio lavoro delle donne, erano queste lavoratrici che si volevano inquadrare o mettere in coda.
Secondo questa logica al massimo le proletarie sono accettate o in un clima di collaborazione femminista o espunte e respinte come “identitarie”. Le ragioni collettive delle donne proletarie sono cancellate per principio.
Se si pensa che nella stessa giornata del 25 novembre le imprenditrici hanno manifestato compatte, con simboli simili (palloncini arancioni), dobbiamo pensare che se si va avanti secondo questa logica il prossimo 25 novembre staranno nella stessa manifestazione?
Certo, l'infinita variante di organismi esistenti che si ritrova nella dinamica di questo movimento è fatta di donne che si occupano realmente e quotidianamente di violenze, discriminazioni, ma la logica del “concreto”, la logica del “volontariato assistito” dal governo, che è sempre dipendente dai soldi pubblici, inquina il movimento.
Il 25 novembre, il “piano femminista”, pongono come urgenza la costruzione di un'autonomia di classe da parte del donne proletarie, che sono la maggioranza. Le donne proletarie senza autonomia non possono agire. Sono presenti nel movimento più generale delle donne, ma non possono pesare, non possono decidere, non possono avere influenza, e sono dipendenti dal femminismo piccola e media borghese.
Occorre come abbiamo detto e scritto, una rete, un coordinamento/unità delle lavoratrici, delle precarie, delle disoccupate, delle immigrate, ecc. ecc., occorre far fronte con le grande realtà delle ragazze, delle femministe ribelli.
Questo richiede che le donne proletarie elevino la loro mobilitazione, devono essere forti, ribelli, influenti, riconosciute, non solo nelle e per le loro realtà di lotta, ma anche nel movimento generale delle donne. Le “proletarie” devono essere femministe, devono lottare su tutti i terreni a far proprie tutte le questioni che opprimono le donne, le ragazze, affinchè le “femministe” si uniscano alle proletarie.
L'arma principale oggi di questa autonomia del femminismo proletario è lo sciopero delle donne.
Ma, diciamo subito, che non abbiamo alcuna intenzione di fare il prossimo 8 marzo la ripetizione dello “sciopero globale”, come è uscito dall'assemblea del 26 novembre.
Noi vogliamo ed è necessario che lo sciopero delle donne sia reale, si estenda in tante fabbriche, in tante altre realtà di lavoro, sottolavoro, precario, in realtà in cui non è mai arrivato neanche il messaggio; le braccianti, le immigrate ipersfruttate e schiavizzate, ecc.
Ma perchè sia questo è necessario prima che le realtà di lotta delle proletarie si uniscano, facciano rete, cerchino le realtà di lavoratrici, precarie che non sono su internet...; che si faccia inchiesta sul posto, che si organizzi una marcia delle donne nei luoghi più simbolici dello sfruttamento, dell'oppressione, delle violenze delle donne – come è stato proposto da interventi nell'assemblea di Pisa.
Il movimento è un divenire, è una dialettica, una contraddizione, ma senza trattare la contraddizione interna e i due poli di essa, non ci potrà essere sviluppo, ma solo composizione. E questo è contro le istanze, i bisogni, le esigenze che le stesse espressioni organizzate dichiarano di affermare.
E' questa la sfida che l'Mfpr ha lanciato, la scintilla che essa ha rappresentato per lo sciopero delle donne – che ora sembra un fatto scontato – ora va consegnata a 10-100-1000 fuochi di contraddizione interne al movimento, che trasformi la “marea” rappacificata e festosa in prateria infiammata del cambiamento.
MFPR
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