Ma non è vero che l'impianto siderurgico è nocivo in sé. Nella fabbrica giornalmente c'erano tutte le condizioni perchè gli effetti non fossero quelli. Ma, chiaramente, è una fabbrica capitalista che ha come fine il profitto, e quindi non può che produrre insicurezza per i lavoratori e disastro ambientale all'esterno. Ma è, appunto, la fabbrica in mano ai padroni
Una fabbrica in mano ai Ranieri, ai Meo sarebbe "un'isola felice", sicuramente meno inquinante di uno stabilimento balneare che manda tutti gli scarichi in mare. Il solo fatto di fare un operazione in tre minuti invece che in 30 secondi, per esempio era un rimedio che si poteva tranquillamente fare e avrebbe ridotto di molto i fumi tossici.
Invece non solo la fabbrica è stata condotta sempre in questa maniera nociva, ma c'è una chiara responsabilità con nomi e cognomi
Non è vero, quindi, che inevitabilmente fabbrica uguale inquinamento. Chi dice questo è un vero idiota, perchè la catena di comando di quella fabbrica era ed è rivolta al massimo profitto.
E' importante che gli operai e i cittadini ragionino su queste cose.
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RANIERI - Sono stato assunto il 3 febbraio del 1998, i primi quattro anni sono stato operaio impegnato nell’Acciaieria numero 2, al ripristino delle lance. Dopodiché mi sono candidato come sindacalista per la Fiom Cgil e ho fatto il sindacalista i primi anni, poi ho avuto un ruolo dirigenziale fino a diventare segretario di settore. Nel novembre del 2007 mi sono dimesso dal sindacato e sono tornato a lavorare e sono stato messo al porto, al secondo sporgente, “Impianti Marittimi”, dove arriva tutto il materiale che serve per fare l’acciaio e partono poi i prodotti finiti.
All’Acciaieria, facevo il ripristino delle lance ossigeno che sarebbero quelle che fanno aumentare la temperatura nel convertitore quando si prepara l’acciaio. Sono stato esposto a centinaia e centinaia di slopping, perché a quei piani arrivavano tutti i fumi che provenivano dalla reazione dell’acciaio nel
convertitore oppure quando non si rispettano i tempi di colaggio della ghisa dentro il convertitore. In Acciaieria ci sono tre convertitori: due erano sempre in marcia e uno era in fine campagna perché si doveva rifare il refrattario. In quel periodo noi, per la prima volta, abbiamo viaggiato a tre convertitori nel 2005... cioè nel 2006. Quando Genova ha chiuso.
Ogni volta che si colava la siviera, siccome non si rispettavano i tempi che sono tre minuti, ma per una questione di fare produzione, si faceva in trenta secondi.
Ho viste le siviere che colavano e, come colavano la ghisa... si vedeva questo fumo. Perché le cappe non riuscivano a captare perché le cappe erano funzionali a un'operazione che prevedeva tre minuti.
Nell’Acciaieria avviene il processo di trasformazione. Nel convertitore si fa l’acciaio, attraverso l’inserimento del rottame, della ghisa e dei materiali che servono in funzione di quella che è la richiesta del cliente, del tipo di acciaio che si vuole. Quindi, nel convertitore, un carroponte prende prima un carro - dove c’è rottame - e lo svuota dentro il convertitore; dopodiché arriva la siviera con la ghisa che proviene dall’altoforno e sversa la ghisa dentro il convertitore. Questa operazione dura tre minuti, ha dei tempi che consentono di evitare la fuoriuscita di fumi improvvisi. Se viene fatto in una certa maniera, questi fumi sono di meno rispetto a quelli che sono nel momento in cui tu la versi più velocemente. Dall’esperienza che io ho fatto, questa manovra di sversare la siviera in trenta secondi, in quaranta secondi anziché nei tempi previsti, era finalizzata soltanto a fare più produzione.
C’erano delle volte che i fumi erano più forti e delle volte che erano meno densi, però arrivavano ogni volta che la siviera andava a colare nel convertitore. Certe volte al quarto piano non riuscivamo a vederci a cinque metri di distanza per come era la nebbia. E siccome non c’erano finestre, il fumo rimaneva tutto dentro.
Poi sono stato isolato completamente. Cioè sono stato allontanato e messo in un’officina. È accaduto a seguito del tornado. Siccome ho fatto delle dichiarazioni scomode, al mio rientro sono stato preso e messo in questa cuccia. Avevo constatato, durante le mie ispezioni, che i sistemi di sicurezza erano baypassati. Siccome feci queste dichiarazioni, al mio rientro sono stato tolto dalle ispezioni che facevo sugli impianti.
Tutte queste gru hanno delle istruzioni del fabbricante e dei sistemi di sicurezza che devono essere sempre funzionanti e tarati nel modo giusto, come prevedono le istruzioni del fabbricante. Io ho visto durante la mia attività lavorativa che queste macchine hanno degli anticollisione. Hanno fra i sistemi di sicurezza gli anemometri che controllano il vento per cui se c’è il vento forte, la macchina dovrebbe fermarsi automaticamente.
Però in molte occasioni io sentivo, quando interveniva l’anemometro, dall’ufficio: “Resetta e riparti”. Al porto c’è l’ufficio che è collegato con tutte le cabine dei gruisti. E noi, come ispezionatori, qualche volta avevamo la radio e sentivamo anche le conversazioni e quindi capitava che si sentiva dire al gruista “Resetta e riparti”.
Oppure ho visto, per esempio, gli anticollisione - che sono quelli che non permettono a due macchine di non scontrarsi una con l’altra e servono per evitare l’errore umano - probabilmente per velocizzare si escludevano gli anticollisione.
Di anomalie sulla sicurezza ne ho riscontrate tantissime, ma la decisione del responsabile era quella di continuare comunque; siccome bisognava completare, magari alla prima fermata utile si rimandava il lavoro.
Quando finivo di fare il giro, che riscontravo i problemi, andavo dal mio capo e riferivo quali erano le problematiche che avevo riscontrato sia di usura nastri, di usura tamburi - di problemi tecnici - sia di problemi di sicurezza e anche di problemi ambientali che riscontravo. Solo che li dicevo a voce. A un certo punto poi mi sono stancato di dirli a voce e...
P.M. - Cioè lei non era tenuto a redigere, a fare delle annotazioni ?
TESTE C. RANIERI - No. Assolutamente, no. No, no. Comunicavamo verbalmente i problemi che trovavamo. Ecco perché io poi ho deciso di cominciare a fare i fax per avere la prova che io comunque avevo avvisato. Perché, in qualche circostanza, mi era capitato di vedere dei freni che non funzionavano bene o delle lesioni sui carriponte. E la macchina comunque non è stata fermata.
Quando ho riscontrato le lesioni su un carroponte, io ho avvisato - durante un’assemblea - i gruisti e gli ho detto: “Guardate che io ho trovato delle lesioni sul CM9”.
Nel momento in cui lo dissi a quell’assemblea, subito fermarono la macchina e cominciarono a verificare queste lesioni. Perché i gruisti non volevano più salire sulle macchine. E quindi sono stato chiamato nell’ufficio, chiamato “allarmista” dal mio diretto superiore, Ingegner De Gioia.
Fino a quando non mi hanno preso e mi hanno tolto di mezzo, mi hanno isolato, cioè mi hanno messo in un’officina subito dopo il tornado. Praticamente io sono rientrato a lavoro, facemmo cassa integrazione. La mia squadra è stata l’unica che ne ha fatta due mesi e dissero che era per le dichiarazioni che avevo fatto io in quella conferenza stampa. Quindi mi hanno messo anche i lavoratori contro.
Mi ha portato in questa officina. Noi non abbiamo un’officina al porto. L’officina l’ha portata via il tornado nel 2012. È stata ricostruita ma è vuota. Sarei addetto al ripristino delle macchinette per la rigettatura, aggiungo che hanno tolto una persona che era esperta di questa macchinetta per la rigettatura e hanno messo a me là dentro e sono mai più uscito, neanche quando ci sono le emergenze. Dovrei aggiustare queste macchinette. Però non abbiamo ricambi e ne arriva una ogni dieci giorni. Un’attività che in un mese praticamente mi impegna per tre ore. Però rimango là dentro senza fare niente dalla mattina alla sera! Il mio collega che è un “Ridotte Capacità Lavorative” e non potrebbe andare sugli impianti, lo chiamano per andare sugli impianti quando c’è l’occorrenza.
Di tutti i capireparto che ho cambiato, sicuramente nessuno può dire che io non lavori, anzi! Il problema è che io chiedevo il rispetto delle procedure di sicurezza. Ma siccome le pratiche operative venivano considerate lungaggini... Dicevano “Va bene, tanto soltanto due bulloni devi cambiare. Non c’è bisogno che facciamo questo”. Quando c’era da fare un intervento, io pretendevo il cartellino di sicurezza. Mi è successo anche che mi è stato detto che il cartellino di sicurezza era stato messo e di andare sul posto e il nastro è partito.
Se io devo intervenire su un nastro trasportatore, per essere sicuro che questo nastro non parta improvvisamente da solo - come purtroppo è accaduto tante volte e anche ultimamente è morto un ragazzo di venticinque anni - io dovrei far applicare la procedura di sicurezza. Che cosa prevede? Che ci sia un elettricista che vada nella cabina elettrica, estragga dalla cabina l’interruttore che comanda la macchina dove io devo lavorare e, al posto di quell’interruttore, ci metta un cartellino che è diviso in due parti, la madre e la figlia. La madre rimane sul posto, sul quadro elettrico; la figlia viene consegnata all’esecutore del lavoro. Soltanto in quel momento io posso mettere mani alla macchina.
C’è una procedura di sicurezza da rispettare che prevede una grossa perdita di tempo. Allora molte volte, quando c’era da fare un intervento che durava cinque minuti, piuttosto che espletare tutta la procedura che prevedeva due ore di tempo, si soprassedeva a questa procedura pur di non tenere la macchina molto tempo ferma. Prima di fermare una macchina in produzione doveva succedere qualcosa di effettivamente serio o che si rompeva... Io, per esempio, non ho mai visto fermare una macchina per problemi ambientali.
Io, nelle mie attività di ispezione, ho anche avvisato il mio capo che c’era loppa corposa e materiale disperdersi che andava in mare. Dai nastri trasportatori si disperde tanto materiale, sia loppa, sia carbone, sia olivina, sia carajas. Comunque c’è stata qualche occasione in cui ho visto sversamenti di polvere in mare dovuti a sistemi che non funzionavano, tipo i raschiatori sui nastri. L’ho comunicato e mi è stato detto che l’impianto non si poteva fermare in quel momento perché bisognava caricare la nave e che, probabilmente, l’intervento si sarebbe fatto a distanza di due ore, in occasione del cambio stiva, ma questa attività non è stata fatta durante il cambio stiva. È perdurato l’inquinamento.
Sotto i nastri era pieno, noi camminavamo nel deserto, nella sabbia! Il materiale che si disperdeva dai nastri rimaneva là, sul manto stradale dove noi camminavamo. Siccome era trascurata la pulizia, praticamente si affondava in questo materiale.
Quando ho messo in moto la motosaldatrice, il tubo di scappamento della marmitta ha cominciato a buttare aria. Allora tutta questa polvere ha creato una nube di polvere dalla quale sono stato invaso sia io che quelli che stavano lavorando. E quindi sono andato dal mio ingegnere a dirgli: “Guarda che dove stiamo lavorando è impossibile lavorare perché, quando la marmitta fa uscire l’aria, la polvere si alza e noi ci respiriamo tutta questa polvere che non sappiamo neanche che cos’è”. Il mio capo mi ha un po’ deriso, mi ha detto: “Ma tu cosa vuoi lavorare, nell’ufficio?” Al che ho dovuto chiamare il SIL Ambiente che, quando è venuto a riscontrare, ha visto che c’era questa situazione e, da quel giorno, si è cominciato a pulire le banchine tutti i giorni.
Io ne ho pagato le conseguenze di quello che ho fatto, però non ho saputo se l’azienda ha pagato conseguenze.
Al porto ho fatto anche una denuncia per il fatto che con l’acqua di raccolta che stava dentro le banchine, quando piove copiosamente al porto ci allaghiamo completamente, tutte le banchine si allagano, anche di cinquanta, sessanta centimetri! L’acqua rimane là per mesi, tanto è vero che siamo pieni di zanzare. E non c’è nessun intervento per rimuovere questa acqua stagnante che rimane per mesi. Quando piove, tutto il materiale poi viene trasportato da queste acque.
Prima però per svuotare le acque delle vasche e fare in modo che se pioveva si riempissero quelle anziché tenerci l’allagamento, si prendeva questa acqua e si bagnavano le strade delle banchine o si bagnavano i cumuli di materiale che prima era consentito che stesse sulle banchine. Adesso le acque rimangono là. Io insieme ai miei colleghi ci camminiamo dentro. Tanto è vero che ci sono delle passerelle di legno.
P.M. - Ha conosciuto dei fiduciari operanti all’interno dello stabilimento Ilva di Taranto?
RANIERI - Nessun lavoratore dentro l’Ilva può dire che non conosce i fiduciari, ricordo Legnani, ricordo Rebaioli, ricordo Ceriani. Erano la proprietà, nel senso che, quando dicevano qualcosa loro, era quello. Erano loro la legge: loro decidevano.
Legnani l’ho conosciuto in occasione del fatto che c’era una grande buca scavata e stavano buttando dell’olio dentro. Allora feci la segnalazione all’Arpa Puglia che intervenne e successe un po’ di putiferio a seguito di quella denuncia. In quell’occasione ho conosciuto per la prima volta Legnani insieme ad Archinà. Archinà era molto turbato del fatto che io non avessi avvisato loro prima di andare dagli organi di controllo. Che poi sequestrarono tutto compresi i mezzi, le gru che stavano dentro, nella zona. Sequestrarono tutta la zona.
Non avevamo ordini direttamente dai fiduciari noi. I fiduciari andavano dai capireparto a dire... Allora, se io mi opponevo, il caporeparto mi diceva “Guarda che l’ordine è arrivato direttamente dalla proprietà, da Ceriani, da...” per essere più incisivi.
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