L’ArcelorMittal
per acquisire l’Ilva di Taranto sarebbe disposta a cedere ben 6
stabilimenti in Europa: il centro servizi in Lussemburgo, della
Magona di Piombino con una linea di zincatura, di Galati in Romania
con un altoforno, di Skopje in Macedonia con lavorazioni a freddo di
prodotti piani, di Ostrava nella Repubblica Ceca che ha due altiforni
e quattro treni di laminazione.
Oltre
questi stabilimenti la ArcelorMittal dismetterebbe in Belgio alcune
linee (di galvanizzazione, di decapaggio a caldo e a freddo, altre
laminazioni a freddo e di banda stagnata).
In
termini di lavoratori queste cessioni comporterebbero ben 15mila
licenziamenti.
Praticamente
è come se l’occupazione dei lavoratori diretti del gruppo Ilva,
sarebbe possibile con la perdita del posto di lavoro di un numero quasi pari di altri operai negli altri paesi.
Una
evidente contrapposizione tra operai, che per dei sindacati,
italiani, che sono collegati agli altri sindacati dei paesi europei,
non dovrebbe essere accettata.
Ma
questo dimostra anche una cosa. Che ArcelorMittal vuole eccome l’Ilva
– prima fabbrica siderurgica in Europa a ciclo integrale – non se
la lascerà scappare, perché le permette di occupare una postazione
strategica nella guerra dell’acciaio a livello mondiale.
Questo
fa chiarezza rispetto a voci, anche dall’interno del governo, che
influenzano anche gli operai dell’Ilva, per cui ci sarebbe il
pericolo che la Mittal rinunci all’Ilva e quindi bisogna trattare
al massimo. Cosa che frena, e lascia in attesa preoccupata gli
operai, invece che scendere subito in lotta contro i nuovi prossimi
padroni e i loro piani di esubero, di attacco ai salari,
cancellazione dei diritti, e l’assoluto insufficiente impegno sul
fronte delle bonifiche.
Gli
operai quindi non hanno da aspettare per scendere in lotta, né
soprattutto da farsi ricattare.
Nello
stesso tempo vi sono gli altri deviazionisti. Quelli che vogliono
illudere i lavoratori, le loro famiglie che non sarebbe un problema
la chiusura dell’Ilva perché si può trovare altrettanta
occupazione nei lavori di bonifica o nelle cosiddette “economie
alternative” – i Liberi e pensanti e altre associazioni, il
sindacato di base Cub hanno su questo redatto un protocollo in cui
parlano della possibilità addirittura di 36 mila nuovi posti di
lavoro. Una cosa impossibile nell’attuale sistema. Sulle bonifiche
lo stesso Marescotti di Peacelink ha detto con buon senso che non
potrebbero assolutamente dare lavoro a quasi 18mila operai (tra
diretti e indiretti), fermo restando che (ammesso e non concesso che
venissero fatti – Bagnoli insegna) sarebbero lavori di pochissimi
anni, e toglierebbero occupazione ai tantissimi disoccupati di
Taranto.
Quindi,
non si sfugge al fatto che la lotta da fare è qui ed ora, per
imporre la difesa del lavoro, dei salari, delle bonifiche, della
salute.
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