"...è già operativo in via provvisoria nell’aeroporto militare di Amendola (alle porte di Foggia) il primo F-35A «nucleare» destinato a sostituire i bombardieri Tornado del 6° Stormo dell’Aeronautica schierati nella base di Ghedi (Brescia)... è il primo tassello di un potenziamento storico delle capacità operative della Nato in territorio italiano, in quanto costituirà per i comandi militari dell’Alleanza atlantica (e per ipotetici nemici in un conflitto) un temibile sistema d’arma che coniugherà la capacità di uno «strike» con ordigni atomici con un jet – il F-35 - «stealth», ossia a visibilità bassa o pari a zero per i radar avversari.
Il 6° Stormo sarà il secondo reparto dell'Aeronautica militare ad impiegare i cacciabombardieri di quinta generazione dopo il 32° Stormo della base pugliese, che in queste settimane sta garantendo la protezione dello spazio aereo dell'Islanda sempre per conto della Nato.
il nucleare «italiano» Com’è ormai noto, anche se l’Italia a suo tempo ha rinunciato all’impiego di ordigni atomici nel proprio arsenale (aderendo nel 1975 al Trattato di non proliferazione nucleare), nel caso di un conflitto su larga scala alcuni mezzi e personale in dotazione alle Forze armate nazionali sarebbero ceduti al comando diretto dei vertici della Nato, Alleanza che fra gli Stati membri annovera nazioni che possiedono armi atomiche (prima fra tutte gli Stati Uniti), e quindi impiegati per bombardamenti con ordigni nucleari. Questo, in ossequio al protocollo (che in teoria avrebbe dovuto rimanere segreto) della «condivisione nucleare».
Sempre sul timone del nuovo F-35A (dove la A sta ad indicare un jet a decollo e atterraggio “tradizionali”) dall’icona rappresentata «leggiamo» che questo velivolo da combattimento è stato assegnato come primo esemplare del 154° Gruppo dei «Diavoli Rossi» del 6° Stormo di Brescia, che è proprio il reparto dell’Aeronautica militare destinato al «nuclear strike», oltre alla «routine» ordinaria del bombardamento con ordigni convenzionali.
E proprio nella base bresciana risultano in custodia 40 bombe nucleari B-61 (progettate e prodotte nei laboratori di Los Alamos, nel Nuovo Messico, dalla Pantex Plant) , gestite però in una sorta di «enclave» statunitense all’interno dell’aeroporto militare italiano dal personale del «704th Munitions Support Squadron» (Squadrone di supporto munizionamento) dell’aviazione militare americana che fa capo al 52° Gruppo, sempre dell’Usaf, di base nell’aeroporto militare di Spangdhalem (nella regione della Renania – Palatinato, che ha per capoluogo la città di Magonza).
Per inciso, altre 40 bombe B-61 sono segnalate nella base di Aviano (in provincia di Pordenone), che nella pratica è un aeroporto interamente statunitense, «nido» dei più vecchi cacciabombardieri F-16, in dotazione al 31th Fighter Wing (Stormo caccia) dell’aviazione militare americana, anche se la base è sotto il comando dell’Aeronautica militare italiana. Questo secondo «lotto» risulta affidato al 31st Munitions Squadron, anch’esso dipendente dal 52° Gruppo della base tedesca.
le bombe b-61 Ma torniamo alle B-61 di Ghedi, ognuna di potenza stimata fino a 340 chilotoni (oltre venti volte più potente dell'ordigno che devastò Hiroshima nel 1945). Fino alle soglie del nuovo millennio, per caricarle e sganciarle a servizio della Nato l'Aeronautica militare aveva in linea i cacciabombardieri F-104G, attualmente sostituiti dai Tornado IDV dei «Diavoli Rossi».
Gli F-35 destinati a Brescia, a partire dal primo «parcheggiato» a Foggia, sostituiranno gradualmente i Tornado nei prossimi anni. Ma per l'«asset atomico» non caricheranno più le B-61 «tradizionali», bensì la nuova versione di queste bombe, le B61-12, adattate per poter essere caricate all'interno della carlinga degli «stealth», per non compromettere la «invisibilità» radar con profili esterni. Le B61-12 sono in fase di sviluppo negli Stati Uniti e sono già state testate.
i legami pugliesi Il primo F-35A del 6° Stormo opererà nella base pugliese per l'addestramento degli equipaggi e il raggiungimento delle piene capacità operative in vista della ricollocazione definitiva a Ghedi.
Ma non è questo l'unico legame «pugliese» con l'aeroporto militare lombardo. Sulla base di un contratto firmato nel giugno di due anni fa e di un appalto da poco più di 91 milioni e 300mila euro, l'impresa «Matarrese» di Bari sta ricostruendo la base bresciana, realizzando gli hangar di manutenzione, due «linee volo con 15 hangaretti ciascuna», la palazzina Comando e simulatori, la «warehouse» (il deposito), il polo tecnologico, le centrali elettriche e le opere di urbanizzazione e predisposizione degli impianti dati e telecomunicazione in un complesso, aggiungiamo, che dovrà avere le massime caratteristiche di sicurezza e difesa. Il tutto, ha dichiarato alla «Gazzetta» l’ingegnere Salvatore Matarrese, direttore tecnico dell’impresa, comprendendo anche il settore «americano» della base, con consegna prevista nel gennaio 2024.
In fondo, non c'è da meravigliarsi se – come è emerso negli atti dell'inchiesta del Copasir (il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) – la delegazione inviata dalla Russia per aiutare l'Italia all'esplosione della pandemia Covid-19 (marzo-maggio 2020), ufficialmente in missione sanitaria, chiese ma non ottenne dai vertici militari italiani la possibilità di avvicinarsi alle aree di Ghedi e di Amendola, pur provando a giustificare l'interesse per la Puglia «in nome del culto comune per San Nicola di Bari».
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