TARANTO - Truffa ai danni dello Stato, estorsione e lesioni. Sono le accuse formulate a vario titolo dal pubblico ministero Francesco Ciardo nei confronti di sei imputati coinvolti nell’inchiesta sulla presunta frode con i fondi destinati alle bonifiche del cimitero «San Brunone» di Taranto.
Dopo la chiusura dell’indagine dei carabinieri che porta il nome del camposanto avvelenato dalle emissioni dell’ex Ilva, il pm Ciardo ha chiesto il rinvio a giudizio nei confronti del necroforo Giuseppe Cristello, e dei vertici della società «Dr Multiservice», l'impresa che ha gestito i servizi cimiteriali fino al 2021 quando l'appalto è stato poi affidato alla Kratos: si tratta del 60enne Richetta D'Alleva rappresentante legale della Dr Multiservice, il 52enne responsabile tecnico della società Roberto Lafratta, il 64enne procuratore speciale dell'impresa Michelantonio Perrotta e i dipendenti Arcangela Saracino di 48 anni (questi ultimi tutti difesi dagli avvocati Antonio De Michele e Costanzo Della Porta) e Alessandro Schifone di 52 (assistito dal legale Andriano Minetola). L’attività investigativa condotta dai militari del Nucleo Ispettorato del Lavoro e dai colleghi del Nucleo Operativo Radiomobile di Taranto, per l’accusato ha svelato come i fondi per le bonifiche delle aree del cimitero siano stati gestiti in maniera truffaldina dai vertici della società. La Dr Multiservice, secondo il pm Ciardo, avrebbe falsamente dichiarato di aver eseguito la traslazione delle salme dai terreni che dovevano essere sottoposti a bonifica in orari straordinari, ma secondo le verifiche quelle operazioni sarebbero state effettuato durante il normale turno lavorativo.
L’indagine è partita dopo la denuncia dello Slai Cobas che svelò agli inquirenti il brutale pestaggio contro un dipendente della società che si era opposto allo strapotere di Cristello: «un brutale pestaggio» lo ha definito la procura che Cristello, difeso dagli avvocati Andrea e Salvatore Maggio aveva messo a segno per mettere a tacere quel collega che non si rassegnava al fatto che fosse solo lui a decidere chi dovesse occuparsi delle bonifiche incassando così altri 700 euro lordi al mese. Una frattura al setto nasale e altre ferite che avevano causato alla vittima una prognosi di ben 51 giorni.
La denuncia dello Slai Cobas fece così partire l'inchiesta che attraverso le intercettazioni ha ricostruito il clima «di paura e terrore» che c'era intorno alla figura di Cristello. Quel pestaggio, inoltre, aveva lanciato un messaggio chiaro ai colleghi necrofori: per chi avesse inteso proseguire con le rivendicazioni sindacali la scelta era tra il rischio delle mazzate e il licenziamento. Alla vittima, del pestaggio, infatti, la società avrebbe persino inflitto una contestazione disciplinare.
Una figura inquietante quella di Cristello: nel cimitero di San Brunone era conosciuto «il Generale», «il potente» e addirittura «figlio di Dio». Il 27 dicembre scorso è stato arrestato nell'inchiesta Golden System della Squadra mobile che ha portato alla luce il racket imposto ai familiari dei defunti, alle agenzie funebri, ai fiorai, ai marmisti e a tutti coloro che utilizzavano i servizi cimiteriali: ognuno doveva pagare «il caffè» per tumulare una salma o per vedere realizzata in tempi brevi e in modo corretto una qualunque attività. In quell’occasione è stato l'unico a finire in carcere con l'accusa di aver guidato una vera e propria associazione a delinquere che, grazie alla vicinanza con grossi esponenti della criminalità locale, aveva trasformato il cimitero in una «cosa loro».
Ora sarà il gup Benedetto Ruberto a dover decidere se vi sono elementi per avviare o meno un processo.
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