sabato 22 novembre 2025

I lavoratori di Leonardo SpA - Grottaglie - hanno lanciato una sfida all'azienda: stop all'economia del genocidio - Da una intervista

Lo Slai cobas sc ha dall'inizio appoggiato l'iniziativa dei lavoratori della Leonardo; avevamo prima di questa loro iniziativa, in un intervento alla fabbrica, fatto appello a che i lavoratori si schierassero con la Palestina, contro la complicità della Leonardo e del governo.

Questo è un esempio che deve essere seguito anche dagli operai delle altre fabbriche che producono armi per la guerra, per Israele. 

Torneremo alla Leonardo il 28 novembre  

Da Kritica

“I dati dei primi nove mesi del 2025 evidenziano il positivo andamento del Gruppo. Volumi in costante crescita e una solida redditività supportano il nostro posizionamento competitivo sul mercato domestico e internazionale”: così Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo SpA, commentava di recente, in un comunicato stampa ripreso da varie agenzie e testate, i risultati conseguiti dalla sua azienda.

Tra i primi primi dieci operatori mondiali nel settore aerospaziale, della difesa e della sicurezza, Leonardo è una delle aziende citate nel rapporto Da economia dell’occupazione a economia del genocidio della Relatrice Speciale delle Nazioni Unite per i Territori palestinesi occupati, Francesca Albanese. L’ex Finmeccanica rientra, infatti, tra gli attori economico-industriali che, fornendo tecnologie e supporto all’apparato militare israeliano, contribuiscono alla sistematica violazione dei diritti umani perpetrata da Tel Aviv nei confronti della popolazione palestinese.

Il colosso italiano viene citato nell’analisi di Albanese non solo perché partecipa al più grande programma di sviluppo e produzione, guidato dalla Lockheed Martin, dei caccia multiruolo di quinta generazione F-35, che Israele ha utilizzato negli attacchi rivolti contro Gaza, ma anche per il contributo della sua controllata DRS al potenziamento del bulldozer D9 di Caterpillar, usato dall’esercito israeliano in quasi tutte le attività militari dal 2000, per liberare le linee di incursione, “neutralizzare” il territorio e uccidere i palestinesi. Infine – rivela il rapporto – Leonardo collabora anche con due atenei – l’Università di Edimburgo e l’Università Ben Gurion del Negev nell’ambito di un laboratorio congiunto su intelligenza artificiale e scienza dei dati, promuovendo ricerche direttamente connesse agli attacchi contro i palestinesi.

La presa di coscienza grazie al rapporto di Francesca Albanese

Sono state proprio le informazioni contenute nel rapporto di Albanese – pubblicato lo scorso luglio – a spingere un gruppo di lavoratori dello stabilimento Leonardo di Grottaglie, in Puglia, a lanciare una petizione intitolata “Non in mio nome, non con il mio lavoro”, che chiede lo stop immediato di forniture belliche destinate a Israele da parte di Leonardo e delle società controllate, come anche la sospensione di tutti gli accordi commerciali e delle relazioni di investimento con istituzioni israeliane, start-up, università ed enti di ricerca direttamente o indirettamente coinvolti nelle operazioni militari israeliane contro la popolazione palestinese. L’appello ha superato, mentre scriviamo, le 21mila firme.

“Aver appreso del sostegno di Leonardo a Israele dal report di Francesca Albanese, che ci ha fatto scoprire dinamiche a noi stessi ignote, ci ha indignati”
, hanno raccontato a Kritica alcuni lavoratori. “Pensavamo di lavorare per una company che si è dotata di Codice Etico, di Policy di Gruppo per i Diritti Umani e che si impegna per la promozione dei Dieci Principi del Global Compact e la valorizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile SDGs dell’Agenda ONU 2030. Sul piano personale quindi non abbiamo potuto rimanere indifferenti ed abbiamo pensato che una petizione di questo genere potesse in qualche modo smuovere le coscienze anche dall’interno... chiediamo proprio al Ministero degli Esteri, sezione UAMA, di fermare ogni esportazione di armi e materiale bellico verso Israele, attivando a tutti gli effetti un embargo. Tuttavia Cingolani nel suo discorso non ha fatto menzione di tutta quella parte non meno importante di cybesecurity, intelligenza artificiale, quantum technologies, sorveglianza e sistemi autonomi, su cui Leonardo collabora con Israele; tali collaborazioni non sono meno gravi e critiche delle forniture belliche vere e proprie, essendo più subdole e difficilmente regolamentabili, pertanto riteniamo che vadano attenzionate in maniera estremamente critica”.

Leonardo vanta nel nostro Paese 70 siti, di cui 38 produttivi. Tra questi ultimi figura proprio quello di Grottaglie. Per lo stabilimento localizzato in provincia di Taranto, nato quasi 20 anni fa come insediamento dedicato all’innovativo programma Boeing 787 Dreamliner, il primo aereo civile costruito in gran parte in fibra di carbonio, l’azienda ha annunciato una prospettiva di diversificazione che rischia di far virare la produzione verso il settore militare, “snaturando la vocazione civile del sito”, come sostengono i lavoratori dello stabilimento pugliese interpellati da Kritica, che non nascondono preoccupazioni anche dovute alla discontinuità del business militare, “intrinsecamente iper-ciclico, legato alle crisi e, pertanto, non in grado di garantire un’occupazione stabile e a lungo termine”, contrariamente a quanto avviene nel caso dell’aviazione civile, “guidata da driver di domanda strutturali e secolari”; comparto quest’ultimo per il quale si prevede peraltro un tasso di crescita di mercato medio dell’8% entro il 2030, secondo l’analisi della società Mordor Intelligence. L’ipotesi della diversificazione militare non ha mancato, peraltro, di dividere i sindacati mettendo in difficoltà i lavoratori, trascinati come spesso avviene trascinati nel ricatto fra necessità del lavoro e complicità dello stesso alla produzione di sistemi che alimentano processi di invivibilità, piuttosto che di vivibilità.

Sin dai tempi in cui era ancora Finmeccanica, il gigante della difesa italiano ha siglato accordi con Israele, uno Stato ritenuto potenza occupante dall’Assemblea Generale e dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, oltre che dalla Corte Internazionale di Giustizia. In virtù di tali intese commerciali, Leonardo ha fornito a Tel Aviv 30 caccia-addestratori Aermacchi M-346 per la formazione avanzata dei piloti militari. Non più tardi del 2023, il colosso italiano ha siglato due accordi strategici con l’Israel Innovation Authority (IIA) e con la Ramot Tel Aviv University, focalizzandosi su cybersecurity, quantum technologies e sistemi autonomi; gli accordi prevedono lo scouting di startup israeliane per il programma di accelerazione Business Innovation Factory di Leonardo, con particolare attenzione alle aree Simulation & Gamification e Cybersecurity & Networking. Infine, sono state alcune personalità delle forze militari israeliane a rivelare – come riporta Pagine Esteri – che le unità navali del Paese sono armate con cannoni 76 mm prodotti dall’azienda italiana OTO Melara che fa parte del Gruppo Leonardo.

Le reazioni in fabbrica all’iniziativa dei lavoratori e le rivalità sindacali

Come hanno reagito gli altri lavoratori all’iniziativa di coloro che hanno lanciato la petizione? 

“I colleghi si dividono in vari gruppi”, rispondono i promotori della petizione. “Ci sono quelli eccitati ed esaltati dal possibile arrivo di nuovi pacchetti di lavoro nell’ambito militare, che sarebbero addirittura contenti di mettere a disposizione il proprio ingegno per produrre armi; quelli intimoriti dalla prospettiva di una nuova crisi del settore civile con conseguenti esuberi e CIG per cui, obtorto collo, accetterebbero di lavorare su progetti militari in cambio di stabilità lavorativa senza farsi domande e che si sentono esclusivamente degli ingranaggi di un sistema più grande di loro; ci sono quelli indifferenti a tutto (alcuni anche al lavoro stesso che fanno…); quelli preoccupati solo per lo scorporamento del settore dell’aeronautica civile e della JV con il fondo PIF, il Fondo Sovrano dell’Arabia Saudita (anche se l’azienda ha comunicato di voler mantenere la Divisione Aerostrutture integralmente sotto il proprio controllo, senza scorpori o modifiche agli assetti societari, ma tuttavia è aperta a JV e collaborazioni con PIF); ci sono quelli sensibili a ciò che Israele sta facendo ai palestinesi ma poco informati e consapevoli rispetto alle responsabilità di Leonardo (su di loro la petizione potrebbe essere stata epifanica), che però hanno paura di prendere una posizione; e ci sono, infine, quelli sensibili e consapevoli che però si sentono soli e non riescono a fare rete. Tra questi ci siamo noi, che stiamo cercando di fare rete anche con l’esterno, con tutte le difficoltà e gli impegni che questo comporta. Quello che ci da forza e speranza è ciò che la storia ci insegna: il cambiamento parte spesso dai lavoratori e noi lavoratori possiamo essere parte attiva in tal senso e non semplici ingranaggi.”. Ma la sfida è di portata significativa e la pressione molto forte, per questo “stiamo cercando di mantenere, per quanto possibile, l’anonimato. Al momento, dall’azienda non abbiamo avuto alcun tipo di pressione. Per i sindacati il discorso è diverso: abbiamo cercato da subito di portare a bordo la FIOM e la UILM per sponsorizzare la petizione, ricevendo un sì immediato da parte della FIOM e un no, dopo un paio di settimane di temporeggiamento, da parte della UILM. L’obiettivo iniziale era di far uscire la petizione a sigle unite FIOM e UILM, ma purtroppo non è stato possibile. Anzi, una volta uscita la petizione, la UILM e la FIM hanno addirittura colto la palla al balzo per accusare la FIOM di impedire la diversificazone di Grottaglie, deviando l’attenzione dall’obiettivo primario della petizione”, che non è l’abbandono della produzione a uso militare – non è questo che chiedono i lavoratori –, ma l’interruzione dei rapporti con Israele.

A non preoccuparsi delle possibili attività controverse della multinazionale sono invece i suoi azionisti, che hanno beneficiato della svolta militarista: il valore delle azioni della società è aumentato di oltre il 100% tra il 2024 e il 2025. Il colosso della difesa ha anche lanciato un piano di azionariato diffuso, chiamato WIBE-We Believe in Leonardo – rivolto alle persone dipendenti – che sembra più configurarsi come la nuova frontiera per fidelizzare queste ultime e far sì che avallino, per mero interesse personale, scelte strategiche aziendali funzionali all’innalzamento del titolo in borsa, anche se poco etiche. Il positivo andamento borsistico di Leonardo è stato influenzato anche dalle rosee prospettive per il settore militare, generate dalla corsa globale al riarmo, pensata proprio “per finalità finanziarie” – come ha scritto Alessandro Volpi, docente di Storia contemporanea all’Università di Pisa –, ma in grado di alimentare “un clima da guerra vera”. Quello che sembra avanzare anche nelle regioni del sud Italia, pullulanti di basi consacrate alla riconversione militarista e agli interessi della stessa Leonardo.

La speranza dei lavoratori: rompere l’economia del genocidio

In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, Roberto Cingolani ha rigettato le accuse di complicità di Leonardo con il genocidio e spiegato di non poter far nulla sul piano dei contratti già in essere con Israele, invocando un intervento delle istituzioni come previsto dalla Legge 185/1990, che vieta l’esportazione di armi verso Paesi in stato di conflitto o che violino i diritti umani. E proprio per dar seguito alle parole dello stesso Cingolani, la petizione dei lavoratori di Leonardo chiede all’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama), organismo del Ministero degli esteri, di fermare ogni esportazione di armi e materiale bellico verso Israele, attivando a tutti gli effetti un embargo. Tuttavia gli stessi lavoratori rilevano una criticità nell’intervento dell’amministratore delegato: “Cingolani nel suo discorso non ha fatto menzione di tutta quella parte non meno importante di cybersecurity, intelligenza artificiale, quantum technologies, sorveglianza e sistemi autonomi, su cui Leonardo collabora con Israele; collaborazioni non meno gravi e critiche delle forniture belliche vere e proprie, più subdole e difficilmente regolamentabili, che riteniamo vadano attenzionate in maniera estremamente critica”.

Nonostante i comportamenti controversi di alcune sigle sindacali e le reazioni dei colleghi, i promotori dell’appello, forti del numero di firmatari raggiunto, nutrono numerose aspettative, che portano avanti con chiarezza nella loro iniziativa. “Da Leonardo ci aspettiamo che cali la maschera o che si impegni realmente nella promozione dei Principi del Global Compact e nella valorizzazione degli obiettivi SDGs come dice di voler fare per continuare a essere eligibile di finanziamenti, ci aspettiamo che dica in modo chiaro se intende continuare a puntare su Israele per la cybersecurity, quantum technologies, sorveglianza e sistemi autonomi o valuterà Israele come partner non affidabile (democrazia in mano a forza di estrema destra e al terrorismo interno impunito), riconoscendo che gli accordi e le collaborazioni con Istituzioni e società israeliane sono ad alto rischio/senza futuro (per esempio nell’ambito della sicurezza informatica, molte associazioni che si occupano di privacy hanno già messo fortemente in discussione la capacità di Israele di trattare i dati degli europei secondo gli standard del GDPR). Dal Governo Italiano ci aspettiamo che vengano revocate tutte le autorizzazioni all’esportazione di armamenti a Israele, compreso quelle rilasciate prima del 7 ottobre 2023 dall’ Uama. Dalle istituzioni italiane ci aspettiamo che venga bloccata la modifica della Legge 185 del 1990 in corso e voluta dal Governo Meloni, che spingano per l’ottenimento di un embargo totale a Israele con l’interruzione del partenariato Italia-Israele per smettere di sostenere l’economia del genocidio. Dalle istituzioni europee ci aspettiamo, infine, che si cambi rotta, rompendo accordi e relazioni commerciali con Israele e che si intervenga sui meccanismi di governance delle società controllate e compartecipate al di fuori del perimetro europeo, togliendo ogni alibi alle grandi società europee che fanno affari con le armi ma non rispondono delle violazioni del diritto internazionale”.

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