venerdì 28 novembre 2025

“Siamo dalla parte lavoratori ex Ilva” - Era ora...

Greenpeace, Legambiente e WWF Italia esprimono solidarietà a lavoratori di AdI e indotto e chiedono immediate garanzie al Governo
Corriere di Taranto

Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia esprimono solidarietà e vicinanza a tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori del gruppo Acciaierie d’Italia, ai loro familiari e all’indotto che vive un momento di profonda incertezza. “Siamo dalla loro parte – si legge nella nota congiunta – la tutela dell’occupazione e il rispetto della dignità delle persone devono essere elementi vincolanti in qualunque processo decisionale che riguardi il futuro degli stabilimenti, alla pari della salvaguardia della salute e della necessità di abbattere le emissioni inquinanti e climalteranti”.

Per le associazioni va scongiurato il rischio ambientale e sanitario che una gestione emergenziale o una chiusura non programmata del ciclo produttivo comportano, specie se attuate in assenza di un piano strutturato di bonifica e di riconversione: ci sarebbero gravi rischi di danno ambientale duraturo per il territorio e per la salute delle comunità locali.

Le associazioni ambientaliste avevano chiesto solo dieci giorni fa al governo un piano di transizione degli stabilimenti del gruppo basato su governance chiara, tempi e finanziamenti certi e obiettivi misurabili per la decarbonizzazione e per la messa in sicurezza delle aree.

Oggi, considerato il piano presentato dal Governo ai sindacati in cui l’unica certezza sono le migliaia di lavoratori che saranno messi in cassa integrazione, senza alcuna garanzia sulle prospettive industriali di decarbonizzazione, le associazioni rilanciano con cinque richieste immediate: l’istituzione di un Tavolo nazionale vincolante Governo-Regioni-Sindacati-Comuni-Imprese-Società civile per definire un meccanismo di governance multi-stakeholder dei processi che preveda un coinvolgimento attivo delle comunità locali nelle decisioni che riguardano il futuro del territorio e le garanzie occupazionali (piani di reindustrializzazione e politiche attive del lavoro).

In secondo luogo, la creazione di un nuovo soggetto imprenditoriale controllato dallo Stato, come unico soggetto capace di garantire una effettiva decarbonizzazione, la diversificazione produttiva, le bonifiche e la tutela occupazionale.

Terzo punto, la definizione di un Piano di decarbonizzazione credibile e con finanziamenti certi che preveda la realizzazione entro il 2030 di nuovi forni elettrici per la produzione di acciaio, con la contemporanea progressiva dismissione di altoforni e cokerie, e di un impianto per la produzione di ferro preridotto (DRI), escludendo qualsiasi ricorso a impianti di rigassificazione.

La quarta richiesta consiste nell’accelerare gli investimenti sulle filiere industriali delle fonti rinnovabili e dell’idrogeno verde per ridurre al minimo gli impatti su clima, ambiente e, soprattutto, sulla salute dei lavoratori e delle lavoratrici, dei cittadini e delle cittadine che vivono vicino agli stabilimenti oltre a creare posti di lavoro aggiuntivi per far fronte alla minore intensità di manodopera dei processi elettrificati.

Infine, l’utilizzo immediato dei fondi nazionali e comunitari di scopo e coinvolgimento delle istituzioni europee e delle banche di sviluppo per mettere insieme una piattaforma mista di finanziamento (sovvenzioni, prestiti agevolati, garanzie) che consenta una transizione industriale sostenibile, senza ricadute sociali drammatiche e in linea con gli obiettivi del Piano Nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC).

“Respingiamo il ricatto tra “salvare i posti di lavoro” e “salvare l’ambiente e la salute” – conclude la nota congiunta – la sola via praticabile è una transizione pianificata e partecipata che combini tutela sociale e sanitaria e trasformazione tecnologica. Senza un piano credibile di decarbonizzazione e senza investimenti strutturali si rischia sia la perdita di posti di lavoro sia un aggravarsi dell’impatto ambientale e sanitario sul territorio. Dopo anni di sacrifici enormi sopportati dalla popolazione delle città coinvolte, al danno si aggiungerebbe la beffa del deserto occupazionale e della fuga dalle responsabilità imprenditoriali. E ciò non è accettabile”.

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