giovedì 31 gennaio 2013

2° report da L'Aquila: VERGOGNA!

VERGOGNA! VERGOGNA!
Appena 8 anni allo stupratore/assassino ex militare Francesco Tuccia. 
Questa è stata la sentenza emessa questa sera al processo de L'Aquila per lo 
stupro e il tentato omicidio di "Rosa".
Neanche i 14 anni chiesti dal PM sono stati dati ad uno che si meritava 
l'ergastolo!
Il fatto più scandaloso è che sia stata fatta cadere l'accusa di tentato omicidio, 
quando per l'efferata violenza che accompagnò lo stupro, denunciata dai medici che 
dissero di non aver mai visto una cosa del genere, l'abbandono della ragazza 
seminuda nella neve, sanguinante, "Rosa", che dichiarò subito "Volevano uccidermi", 
uscì viva per miracolo. 
 
Le compagne del presidio che hanno potute assistere al momento della sentenza, 
in aula pur con una grande rabbia nel cuore, si sono subito preoccupate di 
strigersi attorno a "Rosa" di tenerla al riparo dalla invasione di giornalisti 
e televisioni, per rispettare la sua volontà di non essere ripresa. 
"Rosa" e i suoi famigliari, stretti attorno a lei, hanno risposto con una grande 
dignità.
 
Lo stupratore Tuccia all'atto della sentenza era già andato via, salutando suoi 
commilitoni venuti a "sostenerlo". 
La sua squallida e oscena difesa (bravo ragazzo, laureato, "aveva visto una bella 
bionda", "era andato via perchè vedeva che la ragazza veniva soccorsa da altri...")
non ha fatto che confermare lo schifo di persona che è questo ex militare. 
 
Subito dopo la sentenza, le compagne sono uscite di corsa dal tribunale per 
gridare con forza "vergogna", anche verso gli avvocati.
 
A fronte di questa vergognosa sentenza che dimostra che questo Stato, questo 
sistema sociale sono la vera causa della "guerra di bassa intensità contro le 
donne", si è alzata oggi davanti e dentro le grige aule del Tribunale la forza 
delle donne. Questa forza va oltre la miseria di "piccoli miserevoli giudici"!
 
Dalle compagne del MFPR di Taranto a L'Aquila 

la UIL dice si alla cassaintegrazione di massa all'ilva


Uil. «Occorre definire subito il ruolo del commissario per le bonifiche e del garante per l'attuazione dell'Aia, magari con qualche provvedimento immediato come l'apertura del primo cantiere per la caratterizzazione delle aree più inquinate». Lo sottolinea in una nota il segretario provinciale della Uilm di Taranto, Antonio Talò, riferendosi alla situazione di stallo che sta caratterizzando la vertenza Ilva. «A prescindere dall'esito della complessa vicenda giudiziaria - aggiunge Talò - è necessario che l'azienda renda noto quanto prima il piano industriale, strumento indispensabile per inquadrare il futuro dell'Ilva. Conoscere gli investimenti da attuare, il relativo cronoprogramma e le risorse disponibili è il presupposto essenziale per restituire certezze ai lavoratori e alla città». Se è vero, conclude Talò, che «la cassa integrazione è inevitabile e strettamente collegata a questi lavori, è vero anche che occorrerà utilizzare questo ammortizzatore sociale con equità, garantendo rotazione tra le maestranze, tempi brevi e, soprattutto, adeguata copertura finanziaria, altrimenti andremmo incontro a esuberi strutturali». Quanto alla presunta manifestazione di interesse per rilevare l'Ilva da parte di gruppi stranieri, la Uilm «ribadisce la propria posizione: con o senza la famiglia Riva, lo stabilimento di Taranto deve continuare a essere una risorsa economica e occupazionale della città».

: "Il 10 febbraio gli stipendi degli operai dell'Ilva saranno regolarmente pagati". e i cassintegrati ?





Ilva, Ferrante: "Possibile ricapitalizzazione Stipendi regolari, ma serve quadro chiaro"


"Stiamo considerando l'eventuale ricapitalizzazione della società, ma abbiamo bisogno di un quadro di riferimento certo". Lo ha detto il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, al termine del vertice sul futuro dello stabilimento a Palazzo Chigi.

"Oggi ci sono molti fattori di incertezza determinati dall'intervento dell'autorità giudiziaria - ha aggiunto - non ultimo anche il ricorso alla Corte costituzionale. Non sappiamo se la legge che dobbiamo applicare è costituzionale o meno". Prima di fare investimenti, ha sottolineato, "abbiamo bisogno di riferimenti certi, dobbiamo sapere con esattezza quali sono le norme che dobbiamo applicare".

Quanto gli stipendi dei lavoratori, Ferrante ha assicurato: "Il 10 febbraio gli stipendi degli operai dell'Ilva saranno regolarmente pagati". Sulle buste paga degli operai, infatti, aleggiava un alone di incertezza legato anche alle richieste di dissequestro dei prodotti finiti avanzate dalla società che si è vista però sempre negare la restituzione da parte della magistratura.

Primo report dal presidio de L'Aquila delle compagne di Taranto

DAL PRESIDIO DE L'AQUILA

Il presidio sotto il Tribunale de L'Aquila dove si sta svolgendo il processo contro lo stupratore ma anche quasi assassino di “Rosa”, l'ex militare Tuccia, iniziato verso le 9,30 è tutt'ora in corso e probabilmente durerà per tutto il pomeriggio. Dalle 13,30 vi è una pausa e quando si riprenderà vi saranno le arringhe degli avvocati di “Rosa” e dello stupratore. Poi la sentenza.

E' importante e significativa la partecipazione al presidio, oltre le donne de L'Aquila sono venute compagne, lavoratrici, disoccupate da tante città, tra cui Bologna, Milano, Taranto, Teramo, Roma, Viterbo, facendo anche lunghe ore di viaggio, per dire a “Rosa”, e ai suoi genitori, che non è sola, e per pesare con la loro presenza sulla sentenza che deve essere dura, anche se non potrà mai dare giustizia a “Rosa” e a tutte le donne.

La madre di “Rosa” prima di entrare in Tribunale ha voluto con emozione ringraziare tutte, altrettanto emozionate.
Ad un certo punto della mattinata, per far arrivare a “Rosa” nell'aula forte la voce delle donne, e perchè il presidio non fosse di semplice testimonianza, le compagne del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario, con una compagna di Bologna, si sono spostate dall'entrata principale del Tribunale per arrivare sotto la finestra dell'aula in cui era in corso il processo, e qui hanno fatto vari interventi col megafono.
E' stato un momento importante e toccante. Una compagna di Taranto ha legato questo processo all'altro significativo processo anche questo tutt'ora in corso a Taranto contro gli stupratori di Carmela Cirella di 13 anni suicidata, cioè “uccisa” nell'aprile 2007; Carmela dopo 6 anni ancora non ottiene verità e giustizia, con giudici troppo compiacenti con gli stupratori e i loro avvocati, ha informato che l'8 febbraio vi sarà una nuova udienza e che le compagne del mfpr saranno come sempre al Tribunale. Un'altra compagna disoccupata sempre di Taranto ha parlato della lotta delle disoccupate non solo per il lavoro ma contro tutti gli attacchi alla vita delle donne che questo sistema, i governi, i padroni, lo Stato fanno ogni giorno e che creano l'humus migliore perchè sempre più vi siano “uomini che odiano le donne” - come era scritto in un loro cartello; e parlando della condizione sempre più da “moderno medioevo” che tocca tutte le donne, in Italia, come in ogni paese del mondo, ha ricordato i recenti atroci stupri e uccisioni in India ma anche le imponenti manifestazioni che sono seguite – su questo le compagne del MFPR stanno distribuendo a L'Aquila un foglio che con vari articoli testimonia il “ponte” che dall'India all'Italia a tutto il mondo occorre costruire per scatenare la furia delle donne come forza poderosa per la rivoluzione. Altri interventi sono susseguiti.

Ad un certo punto il giudice del processo di “Rosa” ha mandato a dire che se non smettevano con il megafono, lui avrebbe interrotto il processo...

(continua).

Dalla telefonata da L'Aquila di Concetta di Taranto - ore 13,30

Il Comune di Taranto tratta l'emergenza sul lavoro come se chiacchierasse in un bar...

Ieri si è tenuto, su richiesta dei Disoccupati Organizzati slai cobas, l'incontro con l'Assessore al Lavoro, Scasciamacchia, per rilanciare la questione del lavoro nella raccolta differenziata e dele bonifiche ambientali, su cui nulla si dice. Gli stessi fondi da Roma vengono usati più per autopropaganda di Stefano verso i mass media che per programmare, con lavori e tempi certi, interventi reali e seri, soprattutto nei quartieri inquinati, in primis Tamburi.
I Disoccupati Organizzati hanno posto tre questioni e richieste:
1) la nuova raccolta differenziata a Paolo VI, Tamburi e Talsano deve essere fatta con nuovi assunzioni di disoccupati, a partire da coloro che hanno fatto i corsi di formazione per questo, finanziati con soldi pubblici. Per questo lavoro, a detta dello stesso Comune, è possibile creare più di 100 nuovi posti di lavoro a Taranto.
Ma perchè questo avvenga, hanno detto i DO, il servizio non lo può fare l'Amiu - che lo farebbe con proprio personale, sottraendolo al lavoro ordinario in una città normalmente molto sporca, e lo farebbe non con la modalità del porta a porta, unico modo perchè la raccolta differenziata venga fatta bene, si stimoli la gente a farla e produca dopo un certo periodo anche un ritorno economico con il riciclo dei prodotti e con una diminuzione delle tasse ai cittadini. Il servizio va affidato ad una Ditta che deve fare solo quello, con una clausola sociale che la vincoli a assumere i corsisti e i disoccupati di Taranto.
Per i tempi, i Disoccupati Organizzati hanno chiesto che questa gara di appalto per affidamento del servizio si avvii da subito, senza aspettare il completamento della gara d'appalto per la fornitura dei mezzi - altrimenti il tutto significa attendere ancora 6/8 mesi.

2) l'estensione da subito del personale addetto alla selezione della differenziata alla Pasquinelli. Qui i 14 lavoratori esistenti devono fare spessissimo doppi turni, per un totale di 12 ore nella giornata, per fare sostituzioni di personale per le normali assenze di malattia, ferie, permessi, ecc; inoltre per l'efficienza del servizio sono assolutamente necessari più lavoratori per turno e l'istituzione di un terzo turno.

3) un piano concreto di avvio dei lavori di bonifica nei quartieri, anche qui ponendo nelle gare d'appalto una clausola sociale per l'assunzione dei disoccupati di Taranto, a partire dai disoccupati dei Tamburi, e la realizzazione, in funzione anche della clausola sociale di corsi di formazione ad hoc, rapportandosi anche a Regione, Provincia.

In risposta, l'assessore al lavoro, per tutto un primo tempo ha espresso "sue considerazioni personali" che nella sostanza indicavano nella "inciviltà" delle persone il fatto che non si faccia bene la raccolta differenziata - quando in realtà la prima questione è che NON viene proprio fatta!! E ha comunicato che sarà adottata nei quartieri Lama-S.Vito un'altra modalità di raccolta, in cui praticamente sono gli abitanti che devono andare a consegnare la differenziata (facendo cos' venir meno proprio il 'porta a porta')
Mentre sui fondi per i posti di lavoro, solo attestati di "povertà" sul fatto che Comune e Amiu non hanno soldi - ma allora i soldi sbandierati da Stefano che fine devono fare? E perchè, hanno detto i DO, quando con la nostra lotta li facciamo arrivare (le 607mila euro stanziati dalla Regione per il lavoro nella raccolta differenziata), invece poi questi soldi prendono altre strade o spariscono (vedi su questo la denuncia/esposto fatta dai Disoccupati Organizzati)?

Ma, su questo, non si è in grado di dare quelle risposte serie che una Istituzione dovrebbe dare, ma si continua a fare chiacchiere senza fatti.

In conclusione, l'assessore ha detto che di tutto quanto posto nell'incontro ne parlerà col sindaco, per realizzare un nuovo incontro nei prossimi giorni.
Entro martedì 5 febbraio i Disoccupati Organizzati hanno chiesto di avere la data del prossimo incontro.

MARTEDI' SERA ASSEMBLEA DEI DISOCCUPATI ORGANIZZATI - in via Rintone, 22 ore 17,30 - PER DECIDERE INIZIATIVE ANCHE SULLA BASE DELLE RISPOSTE DELL'ASSESSORE AL LAVORO.



Dall'assemblea di Bergamo/Milano: "all'Ilva situazione paradossale..."

RIPORTIAMO STRALCI DALL'ASSEMBLEA DI BERGAMO/MILANO DELLA RETE NAZIONALE PER LA SICUREZZA E LA SALUTE SUI POSTI DI LAVORO E TERRITORI, IN PREPARAZIONE MANIFESTAZIONE NAZIONALE A TARANTO A MARZO



"... Quella in corso all'Ilva di Taranto è una guerra che va avanti da marzo, e in cui la Rete è fino in fondo coinvolta. Un guerra in cui Riva ha ottenuto un risultato importante: il decreto legge ultimo che dichiara l'Ilva industria di interesse “strategico nazionale”, una zona franca per i profitti su cui nessuno può mettere bocca.
Come si è detto all'assemblea nazionale della Rete del 7 dicembre, non è vero che in tutti questi anni gli operai non hanno fatto nulla e hanno accettato tutto passivamente. Gli operai hanno lottato in questi anni, senza che nessuno ne parlasse. Ma il ruolo dei sindacati filo-aziendali ha sempre neutralizzato e reso invisibile questi sforzi.
La situazione di oggi è paradossale. I lavori dell'area a freddo sono in CIG, i prodotti sono fermi e sequestrati, ma nell'area a caldo, che è quella che più inquina, si continua a lavorare quasi come prima.
Le mosse e contromosse di Riva e Magistratura si susseguono ma si è ormai persa di vista la realtà che sta all'origine dello scontro, la nocività della produzione e la necessità di bonificarla. Tutta la battaglia oggi verte sui prodotti sequestrati, ma non ci si occupa più di perseguire i reati e fermare la nocività. C'è di fatto uno scontro di poteri e gli operai e la popolazione stanno in mezzo.
Per inciso, l'inchiesta e giusta e corretta e l'accusa è fondatissima, ma per i magistrati sembra quasi che gli operai non esistano, sono un semplice prolungamento degli impianti.
Il governo, con il decreto impone sopra ogni cosa la difesa della continuità produttiva dell'Ilva, che per i padroni è un grosso problema anche internazionale, se chiudesse l'intero ruolo dell'Italia subirebbe pesanti conseguenze.
Il governo ha nominato un garante per l'esecuzione dell'AIA. Tale giudice Esposito, che figura nelle intercettazioni di Mancino per le indagini sul patto mafia-stato. Sono scesi in campo Confindustria e Federacciaio, ognuno pensa a come uscire da questa situazione salvaguardando Riva.
L'inchiesta, sulla carta, ha ben messo in evidenza che, a parte tutte le violazioni su emissioni inquinanti, l’elemento che aumenta l’inquinamento e la nocività è proprio il modo di produzione. Se si fanno andare al massimo impianti già vecchi per ottenere record, questo stesso fatto produce inquinamento. Ad es, è la movimentazione del minerale che produce più inquinamento, quindi più si produce più si nuoce. Ma su tutto questo l'AIA non incide minimamente, anzi pone un limite sulla quantità da produrre, che è solo una codificazione della quantità attualmente prodotta e possibile...".

Da Taranto a L'Aquila per dire basta a stupri e uccisioni delle donne

Oggi a L'Aquila vi sarà l'ultima udienza di un importante processo contro uno stupro e tentativo di uccisione avvenuti il 12 febbraio 2012.
Da Taranto sono andate a L'Aquila 2 compagne lavoratrici/disoccupate del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario.

E' importante contro questa "guerra" fatta di violenze sessuali e uccisioni che le donne si uniscano, dal nord, al centro e al sud, e che nessuna si senta sola.
PER QUESTO FACCIAMO APPELLO, A PARTIRE DALLE DONNE DI TARANTO CHE SI STANNO MOBILITANDO CONTRO LA VIOLENZA "INQUINAMENTO" DELLA POLITICA PADRONALE DELL'ILVA E DELLE ISTITUZIONI SUI NOSTRI CORPI E SU QUELLI DEI NOSTRI FAMILIARI, A VENIRE AD UN PROCESSO SIMILE A QUESTO DELL'AQUILA, CONTRO GLI STUPRI E LA "UCCISIONE" DI CARMELA CIRELLA (morta a 13 anni a Paolo VI il 15 aprile 2007), CHE SI TERRA' L'8 FEBBRAIO AL TRIBUNALE DI TARANTO, PER DIRE NO ANCHE A QUESTA CONTINUA VIOLENZA SULLE NOSTRE VITE.

Concetta Musio e Fiorella Masci del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario

VOLANTINO

Il 31 gennaio a L’Aquila: ultima udienza del processo per lo stupro di Pizzoli

Il 31 gennaio 2013 si tiene a L’Aquila l’ultima udienza del processo per lo stupro di “Rosa”, una ragazza di 20 anni, che nella notte del 12 febbraio scorso, fuori della discoteca di Pizzoli (AQ), fu brutalmente violentata, seviziata e abbandonata sulla neve seminuda e insanguinata, fino a rischiare di morire.
Accusato di questa aggressione e tentato omicidio è Francesco Tuccia, un militare del 33/o reggimento Artiglieria Acqui, impiegato nell’operazione “strade sicure”.
Le atrocità commesse sul corpo di Rosa da militari impiegati nell’operazione “Strade sicure”, gli stupri, i femminicidi in continuo aumento e sempre più efferati nel nostro paese e nella nostra città (solo un paio di settimane fà, proprio vicino al tribunale di L’Aquila è stata uccisa Hrjeta Boshir dal suo ex- marito), rendono questa vicenda emblematica di quale “sicurezza” questo Stato parli.

- quella delle aule di tribunale, dove la donna viene stuprata e offesa una seconda volta con affermazioni del tipo “se succede le donne se la sono cercata", "si è trattato di un rapporto amoroso consensuale"…
- delle questure, dove le donne vengono scoraggiate a denunciare i loro stupratori, soprattutto se appartenenti alle forze dell’ordine: “non è il caso di sporgere denuncia”, hanno risposto dalla Questura di L’Aquila a una ragazza che voleva denunciare il tentativo di stupro da parte dell’amico e commilitone di Tuccia, Stefano Buccella, poi coinvolto insieme a Tuccia nello stupro di Pizzoli.
- delle procure, dove si va dagli arresti domiciliari per gli stupri anche reiterati, all’istigazione allo stupro e ai femminicidi, con affermazioni come quella del Procuratore di Bergamo, Francesco Dettori: "sarebbe bene che di sera le donne non uscissero da sole..."
- delle caserme, delle carceri e dei cie, dove sempre più donne, senza diritti (perché prostitute, o immigrate, o semplicemente prigioniere), vengono ricattate e stuprate impunemente
della chiesa, che giustifica il femminicidio con “l'atteggiamento provocante delle donne” (vedi Don Corsi, parroco di San Terenzo a Lerici)
- del governo, dello Stato dei padroni, della sacra famiglia, embrione e puntello di questo sistema sociale, dove si amplificano le contraddizioni e si concentra la violenza (7 donne su 10 uccise in famiglia) e i governi, di destra e di sinistra, continuano a propinare interventi a “favore della famiglia” con licenziamenti - soprattutto di donne - carovita, tagli a scuola, sanità, servizi sociali, ecc., ricacciando le donne tra le mura domestiche, condannandole al continuo ricatto, ad un futuro senza prospettive di emancipazione e di liberazione dalla violenza domestica. Intanto fuori, con la militarizzazione, creano città invivibili e desertificate, in cui sono bandite le normali libertà, la socialità tra i giovani, tra le persone, spingendo a una concezione individualista, antisociale della vita, compagna di strada della sopraffazione, di una ideologia comunque reazionaria, razzista e fascista che nei confronti delle donne si esprime sempre come maschilismo e violenza...".

Le violenze contro le donne poi si amplificano negli ambienti militari, improntati costituzionalmente al machismo, al rambismo, ad una ideologia maschilista e fascista, in cui gli stupri, le violenze sulle donne sono considerati “normali”, “medaglie” da mettersi sul petto e coperte da tutta la struttura militare (vedi tutta la feccia emersa nell’inchiesta sull’omicidio di Melania Rea).
Non di isolate "mele marce", dunque, si tratta, ma di una guerra sistemica contro le donne!

Dall’India all’Italia, al mondo intero
scateniamo la furia delle donne come forza poderosa della rivoluzione!

Non è quindi questo Stato che può difendere noi donne, che può reprimere i “suoi” stupratori e impedire le violenze sessuali. Questo Stato borghese è la causa, non la soluzione del clima moderno fascista che alimenta stupri e femminicidi.
Solo noi donne possiamo e dobbiamo invertire questa rotta! Con la nostra lotta complessiva e radicale contro questa società capitalista, che produce e si alimenta di violenze sessuali e femminicidi, che ci vuole “puttane” o “angeli del focolare” ricacciandoci in un moderno medioevo.
Noi che non abbiamo alcun sistema da difendere, noi che non abbiamo voti da conquistare, diciamo oggi con più forza, che siamo chiamate a rispondere direttamente a questa guerra scatenata contro le donne. E di fronte a una guerra sistemica, la nostra lotta non può che essere rivoluzionaria.
Siamo al fianco di Rosa e vogliamo la condanna dello stupratore, come passo in avanti della lotta complessiva delle donne contro questo sistema sociale.

Per ogni donna stuprata e offesa, siamo tutte parte lesa!

movimento femminista proletario rivoluzionario



importante sentenza a BG contro cig, utile anche per l'Ilva

Questa recente sentenza è frutto della denuncia/ricorso che lo Slai cobas per il sindacato di Bergamo della Technymon ha fatto.
La sentenza è anche un atto di accusa verso i sindacati confederali che fanno accordi filoaziendali in violazione dei diritti legittimi degli operai ma anche delle norme di legge.
Questa sentenza è utile dovunque vi sia illegittimità sull'uso della cassintegrazione e delle sue modalità di applicazione. 
I cassintegrati ILVA del TNA1, del LAF, e di altri reparti, possono, anche sulla base di questo risultato dello slai cobas a Bergamo, impugnare con lo Slai cobas Ilva di Taranto la loro cassintegrazione - per informazioni e ricorso: slaicobasta@gmail.com o tel 3475301704 - 0994792086.
A Taranto, in un altra fabbrica metalmeccanica la Effer, senza, per ora, arrivare in tribunale, ma con una denuncia all'Inps, l'avvio dell'accertamento di questo Istituto, e soprattutto varie iniziative di lotta, lo slai cobas ha ottenuto, prima l'applicazione della rotazione e poi il rientro in fabbrica di quasi tutti i cassintegrati insieme alla decisione dell'Inps di non riconoscere la cig e chiedere nalla Effer indietro i soldi della cigs (una novità per l'Inps...).

DI SEGUITO LA SENTENZA DI BERGAMO ALLA TECHNYMON
 TECHNYMON: CASSA INTEGRAZIONE ILLEGITTIMA
Il Tribunale ha dichiarato l’illegittimità della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria per difetto di informativa sui criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e sulle modalità di rotazione .
Questo è in sintesi il contenuto della sentenza della Corte d'appello di Brescia, depositato il 23.1.2013, che rigetta il ricorso presentato dall'azienda e conferma quanto stabilito in primo grado dal tribunale di Bergamo con sentenza del 8.3.2012 n.225/12, che ha condannato la Technymon di Castelli Calepio a risarcire i mancati stipendi dell'anno lavorativo 2010 di quattro lavoratori messi in cassa integrazione straordinaria, ma mai fatti ruotare come prevede la legge. 
Dal punto di vista del diritto del lavoro: "la sentenza è importante perché dichiara la nullità degli accordi sindacali nei quali non è individuato il meccanismo di rotazione dei lavoratori in relazione al reparto. In sostanza il giudice ha ritenuto che, a garanzia dei singoli lavoratori, le parti sociali (datoriali e dei lavoratori) debbano individuare negli accordi le modalità di scelta dei lavoratori da sottoporre a rotazione, nonché esplicitare i reparti in cui avviene o non avviene la rotazione e i criteri precisi atti ad individuare le figure professionali interessate. Se tali specificazioni non ci sono, come nel caso di specie, non è possibile per i lavoratori e per il giudice controllare l’effettività e la serietà del confronto in sede sindacale. La sentenza ribadisce dunque che in sede sindacale devono essere banditi accordi generici e superficiali e che vanno individuati precisi criteri sia di individuazione dei reparti che di scelta dei lavoratori da collocare in cassa." è il commento dell'Avv. R. Trussardi che ha seguito la vicenda.
Dal punto di vista sindacale, come Slai Cobas non possiamo che essere soddisfatti della sentenza, sia perché ha differenza di Fim e Fiom non firmiamo accordi lesivi dei diritti dei lavoratori, ma in particolare perché da ragione alla battaglia che da anni stiamo portando avanti con gli operai tenuti fuori dall'azienda per più di 3 anni, facendo sin dall'inizio di questa vertenza quello che dovrebbe fare nella norma un sindacato.
Non dimentichiamo che tra tutte le aziende della provincia che hanno aperto la cassa integrazione la Technymon è stato l'unico caso in cui un sindacato abbia chiesto attraverso un'esposto l'intervento di ispezione da parte dell'Inps, Dpl, Procura per verificare il corretto utilizzo di questo ammortizzatore sociale, ampiamente usato-abusato e che spesso si trasforma in un modo per tagliare i rami secchi…..come volevasi dimostrare in questi giorni alla Technymon a fronte di assunzioni e straordinari, l'azienda ha avviato la procedura di mobilità per 15 lavoratori.
Sebastiano Lamera 
per lo Slai COBAS per il sindacato di classe

mercoledì 30 gennaio 2013

ilva - le donne denunciano

Ilva, la parola alle donne

Dopo anni di silenzio, Taranto mesi fa è tornata agli onori delle cronache grazie al disastro ambientale e occupazionale dall'Ilva, il colosso dell'acciaio che ora rischia di chiudere. I sigilli posti dalla magistratura il 26 luglio del 2012 per disastro ambientale hanno finalmente portato l'attenzione sulla situazione in cui da anni versa la città dei due mari, vittima in passato di amministrazioni sbagliate e oggi costretta a "scegliere" tra diritto alla salute e diritto al lavoro. L'impianto, un tempo statale e dal 1995 di proprietà del Gruppo Riva, è infatti stato costruito in mezzo alla città, a ridosso del quartiere Tamburi, che attualmente ospita oltre 10.000 abitanti e dove ogni famiglia conta almeno un malato di cancro. Stando al Rapporto Sentieri del Ministero della Salute, che ha analizzato l'aria della provincia dal 2003 al 2009, Taranto è una delle città più inquinate d'Italia, con indici di mortalità in crescita impressionante. Ma la salute non è il solo problema di Taranto. Qui il tasso di disoccupazione è altissimo e se l'Ilva chiudesse andrebbero in fumo circa 12mila posti di lavoro. Scegliere tra diritto alla salute e diritto al lavoro è possibile? Quali sono le priorità e chi le stabilisce? Ne abbiamo parlato con le donne della città, da mesi impegnate, con il comitato "Donne per Taranto" e altre realtà similari, a dar voce a una battaglia che si è purtroppo trasformata in una guerra tra poveri. Da una parte chi ha in casa una persona malata o che non vuole che si ammali, dall'altra chi vive con un marito o un figlio lavoratore e non vuole perdere l'unica fonte di sopravvivenza.

Rossella Carrer, 33 anni: "La mia famiglia è stata decimata dal cancro"
La madre di Rossella è morta di tumore al cervello pochi giorni fa. Questa intervista è stata fatta a Taranto tre giorni prima che se ne andasse. Rossella ha deciso che la testimonianza che ci aveva "regalato" era troppo importante e ha voluto che la pubblicassimo lo stesso. "Mia madre l'ho persa quel giorno, il 17 agosto 2012, quando i medici le hanno diagnosticato un tumore al cervello. Ora non parla più, è ridotta a un vegetale, ma io comunico con lei ogni giorno, le racconto quello che faccio, le sussurro all'orecchio i modi buffi in cui ci chiamavamo. So che può sentirmi". Rossella è una bella ragazza di 33 anni, laureata in psicologia a Roma, dove si è rifugiata ai tempi dell'università proprio per scappare da Taranto, città a cui vuole bene ma che le è sempre stata stretta. Lo scorso novembre è stata costretta a tornarci, lasciando lavoro, ragazzo, casa e amici, per assistere sua madre, che ora è diventata sua figlia. "È stata una decisione difficile, ma mi sento una privilegiata a poter trascorrere questi ultimi mesi con lei. I medici hanno detto che non c'è più niente da fare e io voglio starle vicino fino alla fine. Mia madre è tutto per me". Come tante altre persone nella sua condizione, Rossella è convinta che a provocare la malattia siano stati i fumi dell'Ilva. "Ma non tutti i medici che ho incontrato a Taranto la pensano come me. Qui sono molto attaccati al mito del lavoro, non come realizzazione professionale ma come sacrificio. Il lavoro viene prima di tutto, anche prima della salute. Io so che la mia famiglia è stata decimata dal cancro. Mia cugina è stata operata al seno a 45 anni e tutte e due le cugine di mia madre sono morte di tumore ai polmoni a 50 anni, pur non avendo mai fumato. In questa città mi sento in pericolo: a volte di notte mi alzo, mi affaccio alla finestra e respiro. Sento forte nei polmoni l'odore del metallo, ho paura". Rossella ha già detto che, appena potrà, tornerà a Roma, la città che l'ha accolta e dove "ti basta fare una passeggiata in centro per sentirti fortunato". "Ai tarantini vorrei dire che non vale la pena sacrificare la salute per un posto di lavoro. Non si può vivere con la prospettiva di ammalarsi, anche perché qui per curarsi non esistono le strutture adeguate. Io non farei mai un figlio a Taranto. A me e alla mia famiglia ho deciso di dare un'altra possibilità".

Ilva, la parola alle donne
Marcella De Bartolomeo, 38 anni: "Grazie all'Ilva ho potuto studiare e laurearmi"
Sorriso brillante, battuta sempre pronta, Marcella è una ragazza dalla simpatia contagiosa. Lavora a Taranto come direttrice di una casa famiglia per bambini con situazioni problematiche e pur non avendo bisogno dell'Ilva per vivere ne ha avuto bisogno per studiare. "Mio padre ci ha lavorato come operaio per 22 anni. Senza quel posto sicuro, con uno stipendio dignitoso, non avrei mai potuto studiare, perché la mia è sempre stata una famiglia modesta. E invece i miei, grazie a quel lavoro, sono riusciti a mantenermi a Lecce all'università per quattro anni. Oggi mio padre ha una pensione che permette a tutti e due i miei genitori di vivere tranquilli. Devo essere sincera: io all'Ilva devo la mia realizzazione professionale e la serenità della mia famiglia". Marcella però crede anche nell'importanza della tutela della salute. E ha in mente un progetto preciso per la città che ama e dalla quale, giura, non se andrà mai: "Io credo che l'impianto debba essere smantellato e ricostruito a norma e che questa operazione debba essere fatta utilizzando proprio la forza lavoro che con la chiusura rischierebbe il posto. L'Ilva è una vera e propria città, io l'ho visitata, e i lavori di bonifica sono necessari ma richiederebbero, se ben fatti, anni di interventi. Ce n'è abbastanza per dare lavoro a tutta la popolazione disoccupata. Perché aspettare che arrivi qualche miliardario cinese o arabo a comprare tutto? Lo Stato, se vuole davvero aiutarci, che lo faccia con convinzione e senza costringere la popolazione a scegliere, dolorosamente, tra salute e lavoro. Taranto è una città che poteva vivere di turismo e ora ha perso anche le sue pregiatissime cozze. Ci sono allevatori a cui hanno ammazzato le pecore perché producevano latte contaminato. La mia città ha già perso tutto, non merita di sprofondare nel baratro perdendo anche gli ultimi posti di lavoro".

Marianeve Santoiemma, 43 anni: "Mia figlia non respira più. Se non la porto via morirà"
La vita di Marianeva ha un nome. Si chiama Giulia. Giulia è sua figlia, una bambina di 7 anni malata di asma cronica che l'ultimo Natale l'ha passato in un centro di cura specializzato a Misurina, in mezzo alle Dolomiti, dove l'aria pizzica i polmoni per quanto è pura. Oltre a una incredibile quantità di medicine, Giulia da 7 anni assorbe anche la vita della madre, che a fatica si divide tra lei, l'altro figlio (anche lui asmatico) e un lavoro da educatrice professionale. "Ogni anno chiedo le ferie e porto, a mie spese, mia figlia in montagna. Un mese in estate e due settimane in inverno. Quando sta qui soffre, non respira, ha crisi continue. Appena la porto a Misurina rinasce, in pochi giorni i valori tornano normali e passano le crisi. Se non avessi trovato quel centro di cura per l'asma infantile (www.misurinasma.it) mia figlia sarebbe morta. Qui a Taranto centri di cura per asmatici non ce ne sono". Marianeve è convinta che l'asma di sua figlia si sia cronicizzata a causa dell'inquinamento prodotto dall'Ilva e che anche la malattia sia stata indotta dal fatto di aver respirato diossina e benzopirene durante la gravidanza, avendo lei lavorato nelle vicinanze dello stabilimento. "Sono sostanze genotossiche, che modificano il dna. Non è un caso che sia io che i miei figli soffriamo della stessa malattia. Quando porto Giulia a Milano lei sta benissimo, eppure anche Milano è piena di smog: non è un problema di semplice inquinamento, qui si parla di sostanze mortali". Marianeve è talmente sensibile alla questione che aggiorna, sul sito di un importante quotidiano nazionale, il blog "L'Ilva da fuori", denunciando in diretta la situazione di inquinamento in cui i tarantini vivono da anni. "Nei "wind day", così li chiamiamo a Taranto i giorni di vento, quelli che trasportano la polvere di minerale dappertutto, io e mia figlia non usciamo di casa. La polvere velenosa si deposita dappertutto, non solo nel quartiere Tamburi. Il pavimento della Villa Peripato è rosso di minerale. Eppure nella cartella clinica di mia figlia Giulia non c'è una spirometria: perché? Per anni i responsabili hanno cercato di insabbiare tutto e i tarantini sono stati inconsapevoli dei rischi che correvano. Ora l'aria sta cambiando". Il decreto salva-Ilva, però, ha indebolito fortemente le speranze di Marianeve e se l'industria non chiuderà lei non avrà scelta: dovrà andarsene. "È l'unico modo per dare un futuro a mia figlia. Non c'è speranza per lei, se continua a vivere sotto i fumi dell'Ilva". 

Elvira Vene, 45 anni: "Mio marito lavora all'Ilva, mio figlio è disoccupato. Se chiude che ne sarà di noi?"

Elvira è donna dal sorriso sgargiante di amore per la propria famiglia e la propria città. Ha due figli, uno di 26 anni che lavora a Milano, e uno di 21, che prima lavorava a progetto in un call center e ora è disoccupato.  Suo marito è un impiegato dell'Ilva, nel settore dedicato al trattamento dell'acqua, uno dei più importanti di tutta l'industria. "Mio marito non è più un ragazzino. Se lo stabilimento chiude, come faremo? Lui sa perfettamente che non troverebbe un altro lavoro, per noi sarebbe la fine. Per questo non voglio assolutamente che chiuda. Tra diritto alla salute e diritto al lavoro, in questo caso, scelgo quello al lavoro, perché senza lavoro ci si ammala". Elvira non è certo una persona insensibile ai problemi ambientali ed è convinta che la situazione debba comunque essere modificata e che non si possa andare avanti così. "Ho amici che sono morti di cancro, certo che mi preoccupo del problema delle emissioni. I responsabili dovrebbero chiudere un reparto alla volta e sistemarlo. Lo Stato dovrebbe farsi carico del problema. Mi sembra impossibile che non si riesca a trovare una soluzione ragionevole per tutti. L'Ilva non può chiudere, non si può fermare. Per noi è una fonte di lavoro di primaria importanza. Se chiude la città intera finirà in ginocchio".

Maria Pignatelli, 50 anni: "Vivo ai Tamburi, sotto le ciminiere. Non ce la faccio più"
Per capire qualcosa della vita di Maria e suo marito Gianfranco, bisogna aprire i cassetti della loro camera da letto. Maglie, camice, mutande, tutto è avvolto in tovaglioli bianchi e pulitissimi. "In tanti anni, è l'unico modo che ho trovato per impedire al minerale di penetrare nei tessuti". Maria non vive infatti in un quartiere "normale". Lei abita nel rione Tamburi, quello a ridosso dell'Ilva, chiamato così per via del rumore che l'acqua un tempo faceva scorrendo lungo l'acquedotto romano che lo costeggia. Oggi quell'acquedotto, mai valorizzato, è un lugubre corridoio di sassi corrosi dall'inquinamento e ha il colore rossastro del minerale che l'acciaieria sputa fuori ogni giorno. Tutto il quartiere, a dire il vero, ha quel colore. Le lapidi che i residenti hanno affisso su un paio di palazzine, ricordando le morti per cancro e la difficoltà di vivere e respirare ogni giorno quell'aria, sono diventate un triste feticcio per turisti. Ma Maria non si arrende e ogni giorno aggiunge alla propria vita una nuova tecnica di sopravvivenza, una nuova strategia, un nuovo trucco per evadere la forza invasiva del minerale. "Abbiamo fatto ricoprire le pareti del palazzo di mattonelle lavabili, per evitare che i panni stesi ad asciugare sbattessero contro il muro e si sporcassero. Abbiamo messo doppi infissi dappertutto. Ma non basta. la casa si riempie di polvere rossa in continuazione, per noi è un incubo". Questo, di giorno. Ma è di notte che arriva il peggio. "Ho registrato i rumori che l'azienda fa nelle ore notturne. Non so che combinino là dentro, ma è un frastuono assordante, indecifrabile". Il tasto play del registratore riproduce un rumore profondo, frastornante e continuo. Impossibile immaginare di dormire anche solo un'ora con un sottofondo del genere. "Ma per noi ormai queste cose sono diventate la normalità", spiega Maria. Alla domanda "Perché non ve ne andate?", la donna dà una risposta talmente ovvia da mettere in imbarazzo l'interlocutore: "per andarcene dovremmo vendere. E in queste condizioni questa casa, chi vuol che la compri?". Maria e il marito hanno fatto causa all'Ilva per svalutazione dell'immobile e sono seguiti da un pool di avvocati che fa parte del movimento "Taranto respira" (www.tarantorespira.it). Al balcone di casa hanno appeso un lenzuolo bianco con la scritta "Non morirò di Ilva". Sullo sfondo, le ciminiere. E la sensazione, remota, che qualcosa stia finalmente cambiando.

ilva dice bugie e vende fumo, sapendo di trovare un governo e enti locali compiacenti, ma se fosse vero perchè vuole mettere in massa in cassaintegrazione e non pagare gli stipendi ?

Ilva: «Completato 65%  delle prescrizioni Aia»


di MIMMO MAZZA
TARANTO - L’Ilva ha già attuato 61 delle 94 prescrizioni previste dall’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata dal ministero dell’ambiente il 26 ottobre scorso e divenuta successivamente legge con il provvedimento salva-siderurgico varato dal Governo e poi dal Parlamento.

È quanto l’azienda sostiene, come la Gazzetta è in grado di rivelare, nella relazione inviata al ministero e all’Ispra per adempiere ad uno degli obblighi previsti dall’Aia. Spetterà ai tecnici dell’Ispra verificare se l’Ilva dice la verità o meno ma l’impressione che si ha leggendo le 45 pagine di relazione è quella di una azienda che non sembra sul punto di alzare bandiera bianca, Nel frattempo sono state ridotte le giacenze medie dei parchi minerari che si trovano a ridosso del quartiere Tamburi e nella zona degli stessi parchi è stata creata una fascia di rispetto di 80 metri tra il confine dello stabilimento e i cumuli di minerale. Risultano in corso i lavori di costruzione dei depositi per il coke, per la copertura dei nastri trasportatori, è stato fermato l’altoforno 1, sono ormai praticamente ferme le batterie 3-4 e 5-6 delle cokerie, sta per essere chiesto il permesso a costruire per coprire l’area di scarico paiole, sono state attuate diverse misure riguardanti la diminuzione delle emissioni della cokeria, sono stati intrapresi contatti con quattro aziende per l’installazione di filtri a maniche per il trattamento dei fumi in uscita dai camini dell’impianto di raffreddamento dell’agglomerato, è in corso di realizzazione la rete di monitoraggio in continuo della qualità dell’aria.

«La relazione di aggiornamento dello stato di attuazione degli interventi strutturali e gestionali previsti dall'ultima Aia dell'Ilva evidenzia - dice l’assessore provinciale all’ambiente Giampiero Mancarelli - che finalmente l'azienda in maniera precisa e puntuale sta facendo le opere di ambientalizzazione dello stabilimento. In questi giorni tanto si è detto sulla inerzia delle attività di bonifica, anche fuori luogo; oggi con questa relazione abbiamo maggiori certezze. E si tratta del miglior modo per ricostruire la fiducia e la speranza della nostra comunità nelle istituzioni».

Uil: sciopero della fame ad uso mass media?

Ieri è avvenuto un fatto strano, mentre era in corso un effettivo sciopero della fame fatto da un operaio cassintegrato, Franco, al presidio in corso da venerdì alla port. A, abbiamo avuto notizia da 'Studio 100' di un altro operaio, dichiaratosi iscritto Uilm, che vicino al cancello della direzione Ilva (sempre sbarrato) aveva cominciato uno sciopero della fame, con appoggio della sua organizzazione sindacale.
Alcuni dello slai cobas andati per il presidio, sono passati poco dopo verso le 15 dalla direzione, per dare solidarietà anche a questo operaio, ma non c'era nessuno. Era già finito lo sciopero della fame?
Con tutto il rispetto per l'operaio e la sua (di tanti cassintegrati) effettiva drammatica condizione economica, familiare, ma come è andata la cosa?
Perchè il giorno prima all'altro operaio in sciopero della fame al presidio nessun sindacalista delle organizzazioni confederali si è presentato?
Anche negli scioperi della fame si dividono gli operai?

All'Ilva: voci di possibile partenza da lunedì di nuova massiccia cassintegrazione (per cui Clini ha già detto che non ci sono soldi). Se si confermassero, la fabbrica deve essere subito bloccata!

Riportiamo il volantino distribuito dallo Slai cobas Ilva questa mattina alla portineria A.

Ilva.. ore di attesa e necessità di chiarezza
da un documento dello slai cobas per il sindacato di classe

...lasciando da parte la giusta inchiesta della Magistratura... due sono i fronti effettivi che esistono sulla questione, da un lato, padroni, governo, Stato, sostenuti da sindacati confederali e Istituzioni locali, dall'altro operai che vogliono lavoro e salute in fabbrica e sul territorio, masse popolari tarantine che vogliono fermare la catena di morti da inquinamento e di attacco alla salute e che in maggioranza non vogliono la chiusura della fabbrica con un massiccio aumento della disoccupazione e desertificazione, un'altra mega Bagnoli.
Padron Riva non vuole perdere la fabbrica che è stata fino adesso la "gallina dalle uova d'oro" dei suoi profitti e della trasformazione di questa famiglia in una delle grandi potenze industriali in Italia, in Europa e nel mondo... I padroni non mollano mai la fonte dei propri profitti se non quando questi profitti diventino realmente impossibili, e anche in caso di grave crisi innanzitutto chiamano lo Stato borghese al loro servizio e i governi comitati d'affari dei loro interessi, a salvare i loro profitti e ad intervenire perchè si socializzino le perdite e riprendano i loro profitti.
Oggi padron Riva vuole uscire dagli arresti, mantenere il controllo del gruppo, essere sostenuto nello sforzo finanziario dell'applicazione dell'Aia ed essere messo al riparo da conseguenze sul piano giudiziario effettivamente gravi e dall'attacco al suo patrimonio per effetto anche di imponenti cause risarcitorie.
Se questo non fosse possibile, il sistema dei padroni - che all'acciaio dell'Ilva ci tiene - lo Stato e il governo interverranno, o con la vendita ad altro padrone o con l'amministrazione controllata, per mantenere la produzione dell'Ilva. Ma né nuovi padroni, né il controllo dello Stato in questo sistema capitalistico garantiscono il lavoro sicuro e una fabbrica messa a norma non inquinante – l'Ilva è stata già dello Stato e la situazione è stata uguale se non peggio.
Ciò che è realmente importante è che la lotta degli operai e della città vinca in uno scontro che non è solo contro padron Riva, ma contro il sistema del capitale, Stato e governo. Questa lotta si può fare se gli operai restano in fabbrica, se la fabbrica diventa la roccaforte della classe operaia in questa lotta, se le masse popolari si uniscono agli operai e alzano il tiro della battaglia per ottenere risultati reali immediati e futuri.
Questo scontro si vince se gli operai si muovono a livello di massa. Le prossime settimane possono effettivamente essere decisive di questa vicenda: la cassintegrazione straordinaria di massa e il non pagamento dei salari non devono passare e dobbiamo usare tutte le forme di lotta necessarie e possibili per fermarli e contrattaccare.
Per questo la proposta dello Slai cobas è quella del blocco della fabbrica fino all'occupazione e il blocco della città per imporre gli interessi operai e popolari al fronte unito del nemico di classe
Serve in fabbrica l'unità e l'organizzazione degli operai attivi e combattivi, che possano insieme essere punto di riferimento per tutti gli operai in fabbrica per sottrarli al padrone e al suo braccio operativo in fabbrica, l'apparato sindacale confederale. E' fondamentale chiamare tutta la città a mobilitarsi con gli operai, paralizzando la città in una emergenza che imponga risposte all'altezza dell'emergenza di lavoro e salute.
Questa battaglia ha una dimensione nazionale, può servire una manifestazione nazionale a Roma per:
- far rientrare tutti i cassintegrati a lavoro e non aumentare il numero con una nuova cassintegrazione
- la fabbrica deve essere messa realmente a norma in forme accelerate
- gli stipendi devono essere pagati - i fondi e beni di padron Riva requisiti
- i fondi dello Stato per la bonifica della città a partire dal quartiere Tamburi devono essere fortemente aumentati e operai e cittadini risarciti
Ma è necessaria anche una manifestazione nazionale a Taranto che segni una tappa di questa battaglia.
La promozione di questa manifestazione domanda che essa sia non di una sigla sindacale o di un comitato locale ma di una rete nazionale che possa rappresentare le varie realtà e anime del movimento nelle fabbriche e nel territorio a difesa della sicurezza e salute. Vi sono state precedenti manifestazioni, in occasione della strage della Thyssen a Torino e a Taranto il 18 aprile 2009, che hanno indicato la forma con cui oggi questa manifestazione si può realizzare: con il protagonismo attivo di quelle strutture di lavoratori, familiari, esperti, comitati che sono già impegnati in diverse città italiane.
La Rete nazionale per la sicurezza e la salute sui posti di lavoro e territori ha già tenuto il 7 dicembre un'assemblea nazionale a Taranto che ha permesso che punti di vista si siano confrontati e uniti, e ora sta sviluppando una campagna nazionale in diverse città italiane per promuovere e partecipare a questa manifestazione. Tutti devono poterlo fare con libertà di pensiero e di azione, senza qualunquismi e veti di chicchessia, ma mettendoci la propria faccia organizzata e dando il proprio contributo alla battaglia.

SLAI COBAS per il sindacato di classe ILVA slaicobasta@gmail.com – 3475301704 – v. Rintone, 22 TA – 30.1.13

Teatro operaio costruito all'Ilva di Taranto, con gli operai e familiari di operai morti, e che tornerà a Taranto, sicuramente in occasione della manifestazione nazionale della Rete per la sicurezza a marzo. Un teatro, un fronte culturale al servizio della lotta e dello sviluppo della coscienza di classe

Attricecontro all'Ilva di Taranto dove per prima ha portato il suo teatro
VEN 1 FEBBRAIO 

                                                                               Zam

                                                                   Via Francesco Olgiati
                                                                         12,20143 Milano
                                                                            ore 20.30

“SE QUESTO E’ UN OPERAIO,
VIAGGIO NELL’INFERNO ILVA”
PERFORMANCE VIDEO - TEATRALE
DI E CON ALESSANDRA MAGRINI
SUPPORTO TECNICO FRANCESCO MARCHESE

Lo spettacolo è ispirato alla condizione degli operai dell'Ilva di Taranto. La performance è incentrata sulla storia di una fabbrica in cui la totale mancanza di sicurezza sul lavoro, l'inquinamento responsabile di morti precoci porta gli operai ad una riflessione sul valore della vita umana, ma purtroppo solo dopo che loro stessi in prima persona saranno rimasti vittime di questo meccanismo infernale. Tutto è avvolto in un'atmosfera surreale, inoltre alcuni dei personaggi arrivano da pianeti lontani e assumono sembianze da protagonisti di una fiaba nera.
Scritto, diretto e interpretato da lei stessa, Se questo è un operaio è stato realizzato grazie all'appoggio, in termini di documentazione della situazione in fabbrica, dello Slai Cobas Taranto oltre che dei famigliari di alcuni operai  morti per l'amianto o per infortuni suo lavoro. Uno spettacolo asciutto, senza strutture drammaturgiche che segue l'intento di riportare fedelmente "le voci operaie" raccolte durante la preparazione. Un problema sempre attuale, portato in scena prima che scoppiasse il fenomeno mediatico delle morti bianche  in passato ignorato dai mezzi d'informazione.
Lo spettacolo è ispirato alla condizione degli operai dell'Ilva di Taranto. La performance è incentrata sulla storia di una fabbrica in cui la totale mancanza di sicurezza sul lavoro, l'inquinamento responsabile di morti precoci porta gli operai ad una riflessione sul valore della vita umana, ma purtroppo solo dopo che loro stessi in prima persona saranno rimasti vittime di questo meccanismo infernale. Tutto è avvolto in un'atmosfera surreale, inoltre alcuni dei personaggi arrivano da pianeti lontani e assumono sembianze da protagonisti di una fiaba…nera. Una sperimentazione teatrale che proietta sul palco la dimensione umana degli operai e le contraddizioni sociali che spingono troppo spesso al silenzio ed alla sopportazione di condizioni di lavoro disumane.
I palesi omicidi bianchi e lo scempio provocato alle vite non solo dei lavoratori ma anche alle famiglie che vivono a ridosso delle polveri tossiche non sotterrate sono state intessute in un atto unico suddiviso in 9 scene che gira su se stesso come una giostra di un terrificante lunapark. Spunterà anche il pagliaccio assassino che fiero e senz'anima vomiterà la sua ingordigia sul palco.

 “Mi sono avvicinata alla realtà dell'Ilva di Taranto con l'intento di costruire uno spettacolo teatrale, è stato come fare un viaggio all'inferno da cui ne è scaturita questa delirante performance della durata di un'ora circa”




martedì 29 gennaio 2013

Operaio dell'Ilva in sciopero della fame




di Fulvio Colucci
TARANTO - La cassa integrazione all’Ilva ha il volto di Franco Conte, tarantino di 45 anni, moglie e due figli, un mutuo da pagare bloccato in banca; da ieri mattina alle 5,30 in sciopero della fame davanti alla portineria A dello stabilimento siderurgico. Conte porta sulle spalle il peso di 25 anni dentro la fabbrica: prima operaio di una ditta dell’appalto nell’area “a caldo”; poi, dal 2004, dipendente diretto del Gruppo Riva.

Il lavoratore ha scelto una forma di protesta non inedita: lo sciopero della fame fu proclamato anche dai precari Ilva nel 2010. Da allora, però, di acqua, sotto i ponti, ne è passata. Basta leggere uno dei due cartelloni «fai da te» sui quali Conte spiega, per iscritto, le ragioni della protesta; basta leggere l’ordine in cui pone i diritti per i quali rivendicare «tutela» ai sindacati: prima «la salute» e poi «il lavoro».

«Siamo 750 i cassintegrati in deroga per i quali - racconta l’operaio del reparto laminatoio a freddo - l’ammortizzatore sociale è diventato un miraggio. Lavoriamo a singhiozzo dal 2008. Abbiamo consumato le ferie. La cassa integrazione è scattata, ufficialmente, il 13 dicembre». L’ammortizzatore sociale, però, non è stato finanziato dalla Regione. L’Ilva paga permessi retribuiti. Del futuro nessuna certezza.

I dipendenti in cassa integrazione sono 2mila 600, ma si attende una nuova ondata. Tutto dipenderà dall’esito dello scontro con la magistratura sul dissequestro dei prodotti bloccati il 26 novembre scorso dai giudici che indagano sul reato di disastro ambientale. Se il milione e 700mila tonnellate d’acciaio rimarrà sotto sequestro è quasi certo che il Gruppo Riva ricorra - lo ha già detto il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante - alla cassa integrazione per 8mila lavoratori negli stabilimenti di Taranto, Genova e Novi Ligure. A motivarla la scarsa liquidità finanziaria. 

lunedì 28 gennaio 2013

DOSSIER ILVA N. 3 - richiedetelo

E' uscito, dopo il primo e il secondo, il numero 3 del DOSSIER ILVA a cura dello Slai cobas per il sindacato di classe Ilva.

Questo numero - che come gli altri due segue passo passo la vicenda Ilva/Taranto, le lotte e mobilitazioni, le posizioni delle controparti, il dibattito tra gli operai e le masse popolari per una linea, azione giusta in questa difficile battaglia contro Riva, governo, Stato, e ruolo dei sindacati confederali - segue le ultime vicende da dicembre a gennaio, in corso.

Il Dossier si può richiedere a slaicobasta@gmail.com o tel a 3475301704

prosegue il presidio di cassintegrati e lavoratori alla port.a dell'ilva

è giunto al 5° giorno il presidio, uno dei cassintegrati ha cominciato uno sciopero della fame
gli operai che vi partecipano non sono molti ma quel che conta che siano un punto di riferimento per i loro compagni di lavoro in particolare ai cambi turno

il documento dello slai cobas per il sindacato di classe - oggi presente al presidio dalle 15-alle 16.30 - già pubblicato sul blog indica quale deve essere lo scopo del presidio

'...A Taranto serve l'unità degli operai d'avanguardia, già attivi e combattivi, che possano insieme essere punto di riferimento per tutti gli operai in fabbrica per sottrarli al padrone e al suo braccio operativo in fabbrica, l'apparato sindacale confederale. A questo serve un presidio anche permanente, non di una sigla sindacale ma degli operai attivi, dei cassintegrati che sono già fuori dalla fabbrica, perchè agiscano da punto di riferimento della mobilitazione a Taranto come della eventuale manifestazione a Roma...

ma il documento indica anche come il presidio assolve a questo scopo ...

...sono gli orientamenti e l'azione di massa il fattore decisivo. Gli operai si muovono a livello di massa quando effettivamente le questioni toccano tutti e non ci sono nè prediche moraliste nè avanguardismo, per quanto bene intenzionati, che possano rimuovere questo dato di fatto...'

Considerazioni di un Disoccupato Organizzato

Bisogna isolare il protagonismo individuale e alcune volte anche di gruppo e iniziare una vera lotta di classe al fianco dei cassintegrati Ilva!! I D.O. c'erano,ci sono e ci saranno sempre al fianco degli operai e delle lotte operaie,momentaneamente il gazebo è stato tolto per ripiazzarlo lunedì 28 mattina allora dico a tutti gli operai i cittadini e i disoccupati appoggiamo(indipendentemente da tutte le seghe mentali che ALCUNI personaggi di Taranto tentano di farci credere col fine di tenere contrapposti operai con operai nonchè operai e cittadini e infine cittadini con cittadini)la lotta dei cassintegrati,perchè oggi la loro lotta è la lotta di tutti nessuno escluso!!

Lo scontro all'Ilva necessità di chiarezza, linea e azioni giuste

  

Un clima di forte tensione e di attesa attraversa in queste ore gli operai dell'Ilva. Ci si aspetta sostanzialmente l'annuncio di una nuova grande cassintegrazione straordinaria per 8 mila operai, di cui 6 mila a Taranto, ma che toccherà anche Genova e forse altri stabilimenti in Italia. Ci si aspetta una nuova pesante minaccia di non pagamento degli stipendi il 12 di questo mese.
E' necessario, ma anche inevitabile, che a queste eventuali decisioni gli operai Ilva a Taranto, ma anche a Genova, rispondano duramente. Le prossime due settimane sono quindi teatro di uno scontro che può avere una svolta e influenzare la situazione sindacale, sociale e politica non solo di Taranto, Genova, Novi Ligure ma dell'intero paese.
Tocca, quindi, a tutte le forze in campo schierarsi. Due sono i fronti effettivi che esistono sulla questione, da un lato, padroni, governo, Stato, sostenuti da sindacati confederali e Istituzioni locali, dall'altro operai che vogliono lavoro e salute in fabbrica e sul territorio, masse popolari tarantine che vogliono fermare la catena di morti da inquinamento e di attacco alla salute e che in maggioranza non vogliono la chiusura della fabbrica, nè un massiccio aumento della disoccupazione e desertificazione e un'altra Bagnoli.
Se i due fronti oggettivamente esistono, non sono così chiari nella realtà soggettiva della lotta di classe a Taranto e nelle altre realtà interessate da questa lotta di classe.
Padron Riva non vuole perdere la fabbrica che è stata fino adesso la "gallina dalle uova d'oro" dei suoi profitti e della trasformazione di questa famiglia in una delle grandi potenze industriali in Italia, in Europa e in misura minore nel mondo. Tutti coloro che dicono: "Riva se ne vuole andare", "Riva non ha interesse a mantenere la proprietà della fabbrica", non conoscono la realtà effettiva di questo gruppo industriale e della sua collocazione nel sistema capitalistico italiano e internazionale. I padroni non mollano mai la fonte dei propri profitti se non quando questi profitti diventino realmente impossibili, e anche in caso di grave crisi innanzitutto chiamano lo Stato borghese al loro servizio e i governi, comitati d'affari dei loro interessi, a salvare i loro profitti, la loro proprietà e ad intervenire perchè si socializzino le perdite e si possa riprendere a fare profitti.
Oggi i padroni Riva vogliono uscire dal carcere e dalla latitanza, mantenere il controllo del gruppo, essere sostenuti nello sforzo finanziario di una parziale bonifica dello stabilimento ed essere messi al riparo da conseguenze sul piano giudiziario effettivamente gravi - come minimo stile "padroni Thyssen ed Eternit" - e dall'attacco al loro patrimonio per effetto anche delle imponenti cause risarcitorie che si affacciano sulla scena. Se il sistema dei padroni, che all'acciao di Riva ci tiene, lo Stato e il governo aiuteranno a raggiungere in maniera se non totale almeno significativa questo obiettivo, il gruppo Riva e l'Ilva di Taranto resteranno in piedi e proseguiranno a svolgere la loro funzione nel sistema capitalistico italiano; con i conseguenti danni di sfruttamento della classe operaia occupata e di permanenza del pericolo di attacco alla salute in fabbrica e sul territorio.
Per questo lo scontro è con padron Riva, il sistema del capitale, Stato e governo. Ed esso non deve fare il gioco di queste controparti e dei loro piani immediati e futuri.
Questo scontro si può fare se gli operai restano in fabbrica, se la fabbrica diventa la roccaforte della classe operaia in questa lotta, se le masse popolari si uniscono alla classe operaia e alzano il tiro della loro battaglia per ottenere risultati immediati e futuri reali.
Dietro ogni quotidiana vicenda di questa lotta si cela la sostanza di questo scontro. Se si comprende questo punto, diventa facile leggere le posizioni reali esistenti nella fabbrica e nella città, e si può giudicare con sufficiente chiarezza e autonomia di pensiero e di azione, forza e limite delle realtà organizzate di parte operaia e proletaria, popolare e cittadina che stanno agendo nello scenario di Taranto.

Questo scontro si vince con le masse, operaie innanzitutto. Per questo sono gli orientamenti e l'azione di massa il fattore decisivo. Gli operai si muovono a livello di massa quando effettivamente le questioni toccano tutti e non ci sono nè prediche moraliste nè avanguardismo, per quanto bene intenzionati, che possano rimuovere questo dato di fatto. Le prossime due settimane che possono produrre eventi gravi, quali la cassintegrazione straordinaria di massa e il non pagamento dei salari, con la conseguente reazione operaia, possono effettivamente essere giorni decisivi di questa vicenda.
Gli operai nella loro lotta non possono nè devono avere limiti, se non quelli dettati dai rapporti di forza reali e dalla esigenza di unire il fronte di lotta per isolare i loro reali nemici. Questo è stato sempre così nella lotta di classe, da Spartaco fino ai giorni nostri. Solo degli idioti confusi possono pensarla diversamente. Idiozia che fa diventare "i soliti idioti" e confusione che si trasforma in divisione al servizio sempre e solo del padrone. 
Per questo la proposta politica e sindacale di classe è quella del blocco della fabbrica e della città, e dell'utilizzo della forza per imporre gli interessi operai e popolari al fronte unito del nemico di classe.

Gli operai dell'Ilva e le masse popolari di Taranto in parte sanno e in parte devono comprendere che questa è una battaglia che ha a Taranto il suo scenario principale, ma che ha come elemento secondario importante la dimensione nazionale e, per cui, devono portare questo scontro a livello nazionale.
In questo senso una manifestazione nazionale a Roma può essere utile e necessaria e deve chiamare a raccolta nella battaglia di Taranto tutte le forze nazionali, piccole o grandi che siano, che sono dalla parte degli operai e delle masse popolari di Taranto a difesa del lavoro e della salute, ma non solo, anche dei diritti e degli interessi degli operai e delle masse contro il capitale, il suo Stato e i suoi gioverni. Queste forze, inoltre, possono e devono essere chiamati a raccolta in una manifestazione nazionale a Taranto che abbia al centro l'Ilva e il quartiere principale - Tamburi - dell'emergenza tumori e morti da inquinamento, in tempi ravvicinati e adeguatamente preparata, per incidere nello scontro in atto.
Per raggiungere questi due obiettivi sono necessari in questo momento gli strumenti adatti.
A Taranto serve l'unità degli operai d'avanguardia, già attivi e combattivi, che possano insieme essere punto di riferimento per tutti gli operai in fabbrica per sottrarli al padrone e al suo braccio operativo in fabbrica, l'apparato sindacale confederale. A questo serve un presidio anche permanente, non di una sigla sindacale ma degli operai attivi, dei cassintegrati che sono già fuori dalla fabbrica, perchè agiscano da punto di riferimento della mobilitazione a Taranto come della eventuale manifestazione a Roma.
Chi mette cappelli- che nel caso dei sindacati di base, si tratta di 'cappellini'- in forme egemoniche e propagandistiche e impone parole d'ordini non adeguate all'unità di classe possibile nella fase attuale di questo scontro, fa danni, non è una soluzione ma una parte del problema.
Chi sottrae con mille pretesti una parte degli operai combattivi da questa funzione quotidiana in fabbrica e in particolare in queste ore, indebolisce la possibilità di far esprimere la democrazia e la forza degli operai uniti, e di trattare correttamente la contraddizione tra operai che si vogliono muovere indipendentemente dalla tessera sindacali e sindacati confederali che li vogliono tenere fermi o sotto la propria cappella che è poi quella di padroni, Stato e governi.
Bloccare la fabbrica e andare in massa a Roma sono l'una al servizio dell'altra. E' solo così che servono. Altrimenti si alimentano illusioni che lasceranno gli operai con un pugno di mosche in mano, con conseguente sfiducia e delusioni che faranno il gioco del padrone.
Sul piano cittadino è fondamentale chiamare tutta la città a mobilitarsi con tutti gli operai, paralizzando in una emergenza che imponga alla controparte risposte all'altezza di questa emergenza di lavoro e salute. Ciò richiede un blocco generale, anche prolungato se necessario della città, in cui alimentare l'unità e non le contrapposizioni, alimentare la partecipazione al blocco e non una situazione del tipo: chi blocca e chi sta a guardare e si lamenta. Serve molto più una mobilitazione di questa natura per risolvere la questione a favore di operai e masse popolari cittadine che marce pacifiche del sabato sera. Chi contrasta questa linea qualunque siano le sue ragioni agisce da ostacolo degli operai e delle masse, da nuovo "truffapopolo" che si aggiunge ai vecchi che hanno portato la situazione a questo punto.
Sul piano nazionale, alla manifestazione a Roma, possibile nei prossimi giorni, è necessario che tutte le forze rappresentative possano parteciparvi. Ma questa manifestazione non può essere limitata al fatto di avere la garanzia di un mese di salario e il finanziamento degli ammortizzatori sociali, per "cavare le castagne dal fuoco" ai nemici degli operai e delle masse, come vogliono realmente i dirigenti sindacali confederali a livello nazionale e locale; ma per imporre le richieste reali degli operai e delle masse già presenti in varie forme nella lotta:
i cassintegrati devono rientrare non aumentare
la fabbrica deve rimanere aperta con gli operai dentro
per essere messa realmente a norma in forme accellerate
gli stipendi devono essere pagati
i fondi e beni di padron riva requisiti
i fondi dello stato per la bonifica della città a partire dal quartiere
tamburi devono essere fortemente aumentati e operai e cittadini risarciti

Ma blocco della città e manifestazione nazionale sono risposte immediate per imporre una sterzata allo scontro non ancora per risolverlo, perchè questo domanda necessariamente, visti i problemi, una lotta prolungata che non può non passare da diverse tappe. E nel quadro di questa lotta prolungata, qualunque siano gli sviluppi dei prossimi giorni e settimane, è necessaria, come abbiamo già detto, una manifestazione nazionale a Taranto che segni una tappa di questa battaglia.
La promozione di questa manifestazione domanda che essa sia non di una sigla sindacale o semplicemente di un comitato locale ma di una rete nazionale che possa rappresentare le varie realtà e anime del movimento nelle fabbriche e nel territorio a difesa della sicurezza e salute a livello nazionale.
Vi sono state precedenti manifestazioni, in occasione della strage della Thyssen a Torino e a Taranto il 18 aprile 2009, che, se pur non davvero grandi come sarebbe stato necessario, hanno indicato la forma con cui oggi questa manifestazione si può realizzare: con il protagonismo attivo di quelle strutture di lavoratori, familiari, esperti, comitati che sono già impegnati in diverse città italiane.
Noi pensiamo che una rete di questo tipo possa e debba convocare questa manifestazione a Taranto.

La Rete nazionale per la sicurezza e la salute sui posti di lavoro e territori ha già tenuto un'assemblea nazionale a Taranto il 7 dicembre scorso che ha permesso che punti di vista si siano confrontati e uniti, e ora sta sviluppando una campagna nazionale con questo metodo. Ma siamo ben consapevoli che tutti devono potere promuovere e partecipare a questa manifestazione. E devono poterlo fare con libertà di pensiero e di azione, senza qualunquismi e veti di chicchessia, ma mettendoci la propria faccia organizzata di uomini,sigle,bandiere,parole d'ordini e proposte e dando così il proprio contributo alla battaglia.
A questa manifestazione è necessario e indispensabile arrivare, in tempi adeguati di preparazione, ma che possa incidere qui ed ora nello scontro in atto.

OPERAI IN FABBRICA PADRONI IN GALERA!
BASTA CON LE MORTI SUL LAVORO,  DA LAVORO E DA INQUINAMENTO!
NOCIVO E' IL CAPITALE NON LA FABBRICA!
TARANTO LIBERA NELLE MANI DEGLI OPERAI E DELLE MASSE POPOLARI UNITE E IN LOTTA CONTRO PADRONI, STATO, GOVERNI, PER UNA DIFESA REALE DEL LAVORO, SALARI, SICUREZZA, SALUTE E AMBIENTE!

slai cobas per il sindacato di classe Ilva
slaicobasta@gmail.com
347-5301704
27 gennaio 2013

Guardia di Finanza all'Amiu. Finalmente!

I Disoccupati Organizzati slai cobas a novembre avevano fatto un esposto alla Procura della Repubblica e alla Guardia di Finanza su una destinazione impropria di soldi pubblici all'Amiu da parte del Comune. 
Chiediamo che negli accertamenti iniziati questa settimana da parte della Guardia di Finanza all'Amiu, si vada a fondo anche su quanto denunciato dai DO e si estendano gli accertamenti anche al Comune.

Riportiamo stralci dell'esposto.
  
"....il servizio di raccolta differenziata a Lama, S. Vito - che stava andando molto bene - è ripreso solo nel mese di settembre, con una interruzione in pieno periodo estivo di ben tre mesi, ed è stato inoltre trasferito all’Amiu che lo svolge con proprio personale.

Quanto sopra è avvenuto dopo una serie di atti e incontri istituzionali, di seguito richiamati, che di fatto sono stati smentiti dalle soluzioni finali:

il 4.5.12 il Comune di Taranto scrive alla Provincia concordando il proseguimento del servizio su Lama- S. Vito dopo il 30 giugno, e ponendo il problema delle risorse per tale prosecuzione;

il 29.5.12 con una ulteriore nota del Comune, e poi della Provincia il 1.6.12, vengono quantificate le risorse richieste;

il 22.6.12 la Regione convoca un incontro in cui vengono definite le risorse (da prendere da un capitolo della Provincia di Taranto) in 400 mila euro e stabilita, quindi, la prosecuzione per 6 mesi del servizio di raccolta dopo il 30 giugno, nelle stesse modalità fino allora fatte e con gli stessi costi;

il 26.6.12 la Regione fa la “Determina” per lo stanziamento delle 400mila euro, sempre specificando che il servizio deve avvenire con le stesse modalità di gestione e gli stessi costi – di conseguenza, il servizio doveva continuare con la Ditta Castiglia, come avvenuto per gli altri paesi dell'ATO1.

Ma a questo punto improvvisamente il Comune di Taranto trasmette una lettera alla Provincia, in cui, contrariamente a quanto stabilito nella stessa “Determina”, scrive che il servizio deve passare all’Amiu con personale dell’Amiu.

La Provincia, nella persona dell’Ass. Conserva in un incontro con la scrivente O.S. afferma che: se deve essere l’Amiu a proseguire il servizio, deve farlo con soldi suoi, non con le 400mila euro.

A settembre c.a. il servizio è passato all’Amiu, la quale impegna proprio personale e modifica le modalità di raccolta; mentre i 14 lav. ex Castiglia vengono addetti all'interno della struttura Pasquinelli dell’Amiu all'attività di selezione differenziata, tramite un’assunzione di tre mesi presso la Cooperativa L’Ancora di Taranto.



Pertanto, nei fatti, 400mila euro di fondi pubblici sono andati impropriamente all’Amiu, la quale:

o li sta usando per coprire una parte del suo disastroso bilancio, dato che sta facendo la raccolta differenziata su Lama-S.Vito con propri dipendenti e quindi senza ulteriori costi di personale;

o li sta usando per pagare la Coop. L’Ancora per il servizio di selezione della differenziata fatta alla Pasquinelli (quindi per una destinazione in contrasto con le delibere di Regione e Provincia) – dove lavorano i 14 lavoratori ex Castiglia che invece dovevano proseguire la raccolta.

Ma anche in questi ultimo caso, i conti non tornano. Perché, facendo qualche calcolo, la Coop. L’Ancora per tre mesi sta spendendo intorno a 90mila euro, quindi per 6 mesi spenderebbe poco più di 180mila euro. Dove e a chi vanno le altre 220/215mila euro? – ripetiamo, soldi pubblici, di tutti i cittadini.

Non solo. Mentre l’Amiu incassa, i lavoratori oggi addetti alla Pasquinelli perdono: sono passati da avere 9,50 euro lordi all’ora con Castiglia a 6,96 euro lordi con la Coop. L’Ancora.

Ancora una volta, chi si “mette in tasca” tale differenza?...".