In questo articolo torniamo sull'accordo di luglio a Roma di Acciaierie d'Italia, per parlare del legame che la vicenda Acciaierie d’Italia ha in questo momento con la realtà nazionale e internazionale della siderurgia, con gli universi industriali in relazione col mondo della siderurgia sia come utilizzatori dell'acciaio sia come fornitori; e per parlare delle motivazioni che vi sono dietro la vicenda ex Ilva pienamente in linea con il carattere di questo governo.
I dati della borghesia dicono che il 40% della produzione industriale italiana è legata al ciclo della siderurgia e di questo la parte maggioritaria è rappresentata dalle vicende che toccano Acciaierie d’Italia. Quindi, quando si parla di acciaierie, siamo nel cuore del sistema industriale dell'intero paese, oltre che di una vicenda sociale, politica e umana che riguarda l'intera città di Taranto.
Partiamo dal problema del recente accordo di luglio che ha posto una tappa con l'accettazione di un accordo da parte di tutti i sindacati, compresa l’Usb che, come sindacato di base, avrebbe dovuto essere il sindacato dell'opposizione dei lavoratori a questo accordo.
Questo accordo è per pilotare, attraverso un processo di cassa integrazione permanente, il tentativo di ripresa industriale dell'ex Ilva dentro il mercato nazionale e mondiale, consegnando la fabbrica, svendendola, per la terza volta a nuovi padroni che se la stanno disputando con diverse ragioni. Si tratta di soggetti forti dell'industria italiana e internazionale.
Noi siamo coloro che conoscono meglio la situazione e quindi siamo in grado di orientare e fornire ai lavoratori, intesi in senso lato, un quadro più approfondito e ricco, adeguato alla profondità della questione. Abbiamo fatto nel 2012 sul sistema Ilva un libro “Ilva la tempesta perfetta”, un libro presentato anche in diverse città italiane e che ogni volta ha trovato attenzione.
Anche ora siamo intervenuti in forma articolata, analizzando nei dettagli l'accordo, con una critica della filosofia che c'è dietro le scelte del governo, dei padroni.
Gli operai che ci sono ora in fabbrica sono stati ridotti da questo accordo ai minimi numeri e fanno un livello di produzione limitata. La ricaduta sull'appalto non è meccanica perché esistendo comunque l'obiettivo della ripresa della produzione da parte dei Commissari che ora gestiscono Acciaierie d’Italia, gli operai dell’appalto stanno facendo un'attività di manutenzione di messa a punto degli impianti; questo fa sì che la maggiorparte degli operai delle ditte attualmente sono al lavoro.
Questa situazione in Acciaierie pone un problema consistente perché tu ti rivolgi a operai che ora stanno lavorando ma che diventeranno subito cassintegrati. Mentre la massa di operai che è fuori perché già da tempo in cassintegrazione non è possibile raggiungerla facilmente.
Nel testo dell’accordo gli elementi sono davvero molti, a parte i piani di cassintegrazione che sono la sostanza. Si tratta di un accordo storico, sia per il modo di affrontare crisi di questa natura, sia per le forme nuove di gestione della cassa integrazione. (rimandiamo all’analisi dell’accordo fatta da noi e trovabile nel blog tarantocontro)
Il testo effettivo definitivo dell'accordo non è ancora pubblicato. Questo testo è pieno di clausole che chiariscono la filosofia, che sono una sorta di anticorpi per evitare che si rompa il blocco sociale, corporativo, padroni-governo-sindacati che tiene tutto insieme. Noi pensiamo che se riusciamo a bucare, come si può dire, il tallone del ferro di questo accordo i risultati possono essere abbastanza clamorosi. Perché nello sforzo di regolamentare tutto, di prevedere i minimi particolari, fa sì che ogni minimo particolare possa entrare in crisi rischiando di far saltare tutto questo pallone gonfiato, a cui sono incatenati in questo momento tutti i sindacati. E proprio questo incatenamento forzoso può essere un anello che tiri tutta la catena.
Noi siamo sostenitori della Piattaforma operaia, che è una questione di contenuti, non una definizione. Contiene la risposta di classe dei lavoratori a questa situazione, e non con obiettivi estremisti, ma in forme che corrispondono all’effettiva situazione che si sta determinando. Tra gli obiettivi principali c’è l’integrazione al 100% della cassintegrazione. Lo Slai cobas ha posto questa rivendicazione sin dall'inizio, poi alcuni sindacati, fondamentalmente la Uilm l'hanno fatta solo parzialmente propria. Il 100%. di integrazione alla cassintegrazione non è certo perché per motivi demagogici. In una fabbrica, come l’ex Ilva, con grossa crisi ambientale e di lavoro, l'integrazione salariale va considerata parte del risarcimento sociale degli operai che oltre ad avere patito la crisi ambientale e occupazionale hanno la beffa di essere buttati fuori e messi a sotto salario permanente al di sotto di quelli del salario percepito quando sono in attività perché integrato da varie indennità, premi, salario che poteva sfiorare le 2000 euro mensili per una fetta abbastanza consistente di operai. Ora gli operai in cigs si vedono tagliare i salari di quasi il 50%.
La cassintegrazione nell’accordo viene posta chiaramente come anticamera di esubero, perché tutti i piani industriali temporanei e future, tutti i piani dei possibili nuovi padroni italiani o esteri che si stanno disputando l’ex Ilva; dal Canada all’Ucraina, all’India nuovamente, al Giappone, ecc., prevedono una riduzione della forza lavoro che va da 2500 a 5000 degli attuali.
Su questo, chiaramente la nostra posizione è assolutamente intransigente, assolutamente fondata su dati precisi. In certi momenti sindacalisti dei sindacati confederali, soprattutto della Uilm sindacato maggioritario in Acciaierie, hanno detto: Sì, voi avete ragione, ma siccome noi abbiamo la forza noi possiamo ottenere, voi no. E questo fa sì che gli operai staranno con noi, non con voi. Quindi fatevene una ragione.
Però i fatti sono più duri delle parole. Noi siamo convinti che gli operai si faranno effettivamente “i conti di tasca” e questi “conti in tasca” daranno conferma alla nostra analisi.
Noi abbiamo “scommesso” su questa fabbrica, noi pensiamo che in questa fabbrica ci sarà una ribellione di minoranza e questa ribellione sarà con noi.
Questo accordo con tutte le motivazioni che ci sono state dietro e che l’accompagnano non va banalizzato come uno dei tanti accordi peggiorativi, ha un valore nazionale, un valore politico, in un certo senso è lo specchio dello scontro tra proletariati, masse popolari e lo Stato del capitale.
Taranto e l’Acciaieria, è stato detto dal Ministro Urso, hanno un valore strategico anche a livello internazionale, e l’accordo esprimerebbe questa importanza strategica.
Noi, da tutt’altro punto di vista, siamo in parte d’accordo con questa valutazione. Per due aspetti in particolare.
L’accordo è motivato come affermazione di una politica nazionalista. Altro che nazionalizzazione, qui siamo al sovranismo. L’'intervento di Urso alla festa dell’Usb * era tutto volto a valorizzare l'acciaio italiano in concorrenza con l'acciaio degli altri paesi, in particolare della Cina. Quindi con una forte caratterizzazione nazionalista, dietro cui c’è anche il discorso della guerra per difendere l'acciaio italiano.
L'altro aspetto è il corporativismo, che è legato al nazionalismo. Il dirigente nazionale dell’Usb, Colautti, che ha partecipato a tutte le trattative a Roma su Acciaierie, fino all’accordo, partendo dal dire che non ci sono più ideologie, né di destra né di sinistra, ha condiviso il discorso del Min. Urso sulla difesa dell'acciaio italiano con una concordanza di fatto sulla questione del nazionalismo veramente imbarazzante, molto più che imbarazzante.
Il corporativismo è espresso in maniera organica dalla Cisl, non solo a Taranto ma a livello nazionale. Nei mesi passati ha anche raccolto firme intorno a una ordine del giorno, una sorta di nuovo patto tra azienda, lavoratori, anche singoli lavoratori.
In questo corporativismo viene a fagiolo proprio l'Usb. Nella richiesta che fa per gli operai in cassintegrazione dal 2018 perché lasciati in Ilva AS - esprimendo anche, purtroppo, posizioni individuali imbarbarite di operai che stanno da tanti anni fuori dalla fabbrica che vogliono o incentivi o di lavorare nei lavori di pubblica utilità per raccattare qualche cosa - non si batte per il loro rientro in fabbrica, e soprattutto crea una contrapposizione tra operai in cassintegrazione e operai che lavorano.
Rivendica i Lavori di pubblica utilità con motivazioni simili a quelle che può fare il governo, i padroni: stare in cassintegrazione si perde il senso del lavoro, non deve essere permesso che uno non dia il suo contributo alla società. E così l'operaio dovrà andare a dare una mano alla raccolta differenziata, a scopare i viali delle amministrazioni locali, ecc.
Sulla “fine delle ideologie” è entrato a gamba tesa Emiliano che, sempre alla festa dell’Usb, ha detto: con gli altri governi non mi sono mai sentito così in sintonia come con questo; io non sono fascista ma nella storia del nostro paese mai vi è stato un ministro più bravo di Urso…
E da parte sua Urso, via via incoraggiato esponeva tutta la sua visione di pace, nazione, leggeva in termini esaltanti l’accordo Acciaierie, affermando che tutti i sindacati accettano il valore dell'economia nazionale, della patria e tutti partecipiamo alla guerra in atto nel paese attraverso l'istituzione di dazi sociali a tutela della patria e della nazione.
* (La festa , iniziata subito dopo il giorno dell’accordo, è stata partecipatissima, anche se non erano tutti operai. Questa festa il primo giorno, in cui vi era un dibattito sull’accordo e la situazione Acciaierie, con la presenza del Min. Urso e di Emiliano, si è conclusa con una sorta di ovazione al ministro del governo fascista, con dichiarazioni di massimo elogio da parte dell’Usb. (tutto lo svolgimento del dibattito, i discorsi, li abbiamo raccontati nella trasmissione di Controinformazione rossoperaia, nel blog tarantocontro, e in un foglio diffuso alla fabbrica, ma sicuramente non eguagliano la diretta dell’assemblea, i toni, le espressioni, ecc.).