Una prima info tratta dal Corriere di Taranto
ArcelorMittal, primo semestre negativo. Su Taranto si attende novembre
I dati economici primo semestre dell’anno conferma le difficoltà finanziarie che anche ArcelorMittal, il numero uno dell’acciaio mondiale sta attraversando, a causa dell’effetto del Covid-19 sul mercato siderurgico globale.
ArcelorMittal ha chiuso la prima metà dell’anno con una perdita operativa di 606 milioni di dollari (causa svalutazioni e fattori straordinari, come la chiusura dell’impianto di produzione di coke a Florange a fine aprile), contro l’utile di 611 milioni dello stesso periodo del 2019. I ricavi delle vendite si sono fermati a 25,8 miliardi di dollari, in calo del 33%. L’Ebitda è passato da 3,2 a 1,7 miliardi. L’indebitamento netto ammonta a fine giugno a 7,8 miliardi di dollari, in calo di 2,3 miliardi rispetto all’anno prima, assestandosi sul “il livello più basso mai raggiunto dalla fusione ArcelorMittal“, si legge in una nota del gruppo.
In contrazione anche la produzione e le spedizioni. Tra gennaio a giugno, ArcelorMittal ha sfornato 35,5 milioni di tonnellate di acciaio, in diminuzione tendenziale del 26%. Pressoché stabile l’output di minerale di ferro (27,9 milioni di tonnellate nel 2020; 28,7 milioni nel 2019).
Le spedizioni, invece, sono diminuite nel periodo di circa il 23%: 34,3 milioni di tonnellate, scesi dai 44,6 milioni dello scorso anno. Una contrazione che scende a -19,4% se si esclude l’ex Ilva.
A proposito del siderurgico tarantino, ArcelorMittal ha comunicato di aver “sospeso tutti gli investimenti non essenziali. Continuano solo tre programmi e quello dell’ex Ilva è tra questi, insieme a un progetto in Messico e ai piani per la riduzione delle emissioni”. La nota sui conti trimestrali conferma “la centralità dell’operazione in Italia per la multinazionale, che al tempo stesso rimarca di avere una via d’uscita: il diritto di ritirarsi, pagando una penale, se non ci sarà l’accordo entro il 30 novembre“.
La velocità e la traiettoria della ripresa della domanda dopo la pandemia di Covid-19 restano “incerte – secondo ArcelorMittal, che rileva tuttavia nei mercati chiave segnali di risalita dai livelli eccezionalmente bassi”. Il gruppo continuerà ad “allineare la produzione alla domanda, con la flessibilità per riattivare la capacità di fusione via via che la ripresa accelererà”.
“La posizione del gruppo resta forte -, è il commento di Lakshmi Mittal, presidente e CEO riporta il sito Siderweb – grazie alle misure adottate di riduzione di produzione, Capex e costi fissi, insieme all’aumento del capitale che ha rafforzato la posizione finanziaria, portando l’indebitamento netto vicino al livello che ci permetterà di dare priorità ai dividendi per i nostri azionisti”. “Ci sono segnali di ripresa, soprattutto in quei Paesi usciti dal lockdown – ha aggiunto -, ma è certamente sensato rimanere prudenti sull’outlook. In questo contesto, stiamo esaminando quali cambiamenti strutturali potrebbero essere necessari per garantire al gruppo di operare in modo profittevole con la ripresa della domanda”.
Ex Ilva, ArcelorMittal ferma reparto Pla 2 La società ArcerlorMittal ha comunicato alle organizzazioni sindacali che nella giornata di sabato 1 agosto, verrà fermato il treno lamerie nel reparto Produzione Lamiere 2 (PLA 2). A seguire si fermeranno le successive postazioni del reparto. Al momento non sono interessate le manutenzioni
ArcelorMittal, esposto Slai cobas per uso illeggittimo Cig
Lo Slai cobas per il sindacato di classe di Taranto ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Taranto, all’INPS e all’Ispettorato del Lavoro di Taranto, chiedendo “di non autorizzare la cassintegrazione Covd-19 per tutti i periodi richiesti da ArcelorMittal Italia e di disporre che ArcelorMittal restituisca agli operai posti in cig Covid la differenza tra l’indennità percepita e la retribuzione normale”.
Nell’esposto si legge che “ArcelorMittal Italia, nello stabilimento di Taranto il 6 luglio, senza accordo sindacale, ha rinnovato la cassintegrazione per 8152 lavoratori fino al 2.8.2020, con la motivazione Covid-19. Questa cassintegrazione Covid-19 è stata utilizzata già nei mesi da marzo a giugno 2020.
La scrivente ritiene, alla luce delle motivazioni e fatti di seguito esposti, che l’utilizzo di ammortizzatori sociale previsti per Covid sia illegittimo e costituisca un abuso da parte dell’azienda ai danni dello Stato e dei lavoratori”.
“La cassintegrazione era stata già programmata e attuata da ArcelorMittal mesi prima, già dal 2019, indipendentemente dall’emergenza pandemia, per crisi del mercato dell’acciaio; pertanto una parte, circa 3200, degli operai a rotazione era già in cassintegrazione ordinaria prima del lockdown e dei Dpcm che hanno introdotto e prorogato la cig per Covid-19. La crisi di sovrapproduzione, i problemi del mercato dell’acciaio vi erano da molto prima dell’emergenza coronavirus, questa l’ha solo intensificata. AMI, invece, vuol far passare questa cig addebitando le difficoltà tutte all’emergenza Covid” prosugue nel suo esposto lo Slai cobas.
L’azienda ArcelorMittal “dall’uscita del decreto “Cura Italia”, ha continuato a prorogare la cassintegrazione senza soluzione di continuità, ma ha cambiato la motivazione da cassintegrazione ordinaria a cassintegrazione per Covid-19, al solo fine di risparmiare, dato che la cassa Covid consente all’azienda di spendere meno rispetto alla cassa ordinaria e di evitare eventuali verifiche da parte dell’Inps come avviene nelle richieste di cassa ordinaria” denuncia il sindacato di classe nel suo esposto.
“Per gli operai posti in cassintegrazione Covid, questo cambio di motivazione ha comportato un pesante taglio dell’indennità di cig rispetto a quella ordinaria, arrivando a percepire solo il 58%, con pesanti e in alcuni casi anche drammatiche conseguenze sulle condizioni di vita proprie e dei familiari” viene evidenziato.
“Per tutto il periodo del lockdown AMI aveva ottenuto la deroga per continuare a produrre pur non facendo una produzione essenziale e facendo lavorare a rischio 5mila lavoratori (3mila diretti e 2mila dell’appalto). Pertanto, quando doveva mettere gli operai in sicurezza a casa (mantenendo solo un minimo di forza in fabbrica per la salvaguardia degli impianti) non l’ha fatto, invece nella “fase 2” dell’emergenza e con la nuova cig covid chiesta, per ora fino a metà agosto, sta ponendo fuori dalla fabbrica migliaia di operai. Lo scopo è di beneficiare della cassa Covid per tutto il periodo possibile, per poi agganciare subito dopo la cassa integrazione ordinaria già prevista” denuncia ancora lo Slai cobas nel suo esposto.
“In questo modo il periodo complessivo di cassintegrazione si allunga per i lavoratori e viene perpetrata una truffa allo Stato. Per i motivi esposti la scrivente chiede che codesta Procura voglia, previo accertamento dei fatti, ove ravvisi la ricorrenza di fattispecie penalmente rilevanti, procedere nei termini di legge nei confronti dei responsabili legali dell’ArcelorMittal Italia” concludono dallo SLAI COBAS per il sindacato di classe Taranto.
USB richiede l'intervento del governo
Comunicata nelle ultime ore alle organizzazioni sindacali la fermata anche del Tremo Lamiere, dopo quella della scorsa settimana del Laminatoio a Freddo. Crescono i dubbi sul fatto che, col blocco ormai consolidato dei Tubifici e con Acciaieria 1 smontata per recuperare pezzi di ricambio per Acciaieria 2, Treno Lamiere possa rientrare nel piano di Arcelor Mittal, nel caso in cui il gruppo franco-indiano dovesse continuare ad operare nello stabilimento tarantino. Questo con i prevedibili riflessi negativi sul piano occupazionale” affermano dal Coordinamento Usb Taranto.
“Aumentano intanto i lavoratori in cassa integrazione, circa 4.000 al momento. Non supera le 2.700 unità invece il numero dei dipendenti che si avvicendano sui tre turni nella fabbrica – proseguono dall’Usb -. Al momento lo stabilimento è fermo per il 70% dei suoi impianti. Va anche fatto notare che le operazioni di accensione e spegnimento vengono effettuate senza che siano previsti interventi di manutenzione e dunque assolutamente non in condizioni di sicurezza. Con questi presupposti, difficile non pensare che Arcelor Mittal intenda abbandonare il sito tarantino appena possibile, sito ormai seriamente compromesso. Presumibilmente il 30 novembre, termine di scadenza del contratto firmato il 6 settembre 2018″.
“Torniamo a chiedere un tempestivo intervento del Governo perché si proceda con un accordo di programma mirato alla riconversione economica ed alla messa in sicurezza dei lavoratori diretti e dell’appalto dal punto di vista economico, infortunistico ed ambientale. Il gestore continua con la sua condotta certamente incoerente, arrogante e irrispettosa e, cosa ancor più grave, agisce indisturbato. E’ tempo di interrompere questo circolo vizioso nell’interesse di lavoratori e comunità” concludono dall’Usb.