mercoledì 8 luglio 2020

DALLA PRESENTAZIONE DEL DOSSIER "L'IMPERO MITTAL" - Intervento della red.di tarantocontro su sovrapproduzione d'acciaio

Il 26 giugno vi è stata la presentazione a Taranto, ma con estensione nazionale, prevalentemente per via telematica, del Dossier "L'Impero Mittal".
Pubblichiamo oggi l'intervento della redazione del blog tarantocontro sulla crisi dell'acciaio.
Nei prossimi giorni pubblicheremo la seconda parte della relazione del Prof. Di Marco.

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Inserto nel Dossier "Impero Mittal"
La sovrapproduzione dell'acciaio a livello mondiale è vera. Essa già c'era, e nell'emergenza coronavirus con la contrazione dei mercati, le difficoltà delle forniture, ecc, si è solo accentuata.
ArcelorMittal è pienamente dentro questa crisi di sovrapproduzione dell'acciaio.
AM "ha ridotto la marcia dei suoi impianti un pò ovunque in Europa: in Polonia, in Francia e ovviamente anche in Italia, a Taranto... ma il peggio deve ancora venire... Non possiamo perdere il treno della competitività - ha sottolineato il presidente della Federacciai, Alessandro Banzato.

Ma perchè questa sovrapproduzione?
La crisi non è neutra, non è qualcosa determinata da cause tutte esterne o contingenti, non prevedibili, la sovrapproduzione non è un accidenti del mercato inevitabile, essa è parte integrante del funzionamento normale del modo di produzione capitalista.
Il capitalismo va in crisi paradossalmente non perchè non può produrre ma per "eccesso di produzione". Ma la produzione è troppa sulla base dei rapporti di produzione capitalistici, essa è invece poca rispetto alla soddisfazione dei bisogni dell'umanità.

La crisi di sovrapproduzione mette in luce la contraddizione di fondo del capitale: da un lato il massimo sviluppo sociale delle forze produttive, delle potenzialità di soddisfare tutti i bisogni, dall'altro la sua impossibilità per la proprietà privata dei mezzi di produzione da parte dei capitalisti che hanno interesse solo a ricavare il massimo profitto. Ciascun singolo capitalista non tiene affatto in conto né la domanda reale né i bisogni; il capitalismo è autentica produzione per l'accumulazione di capitale.
C'è sovrapproduzione, quando di acciaio ce ne sarebbe eccome bisogno per realizzare infrastrutture, mettere in sicurezza ponti, strade, per macchinari, edilizia, ecc. per migliorare le condizioni delle masse, ma finchè c'è il sistema del capitale e gli Stati e i governi, le istituzioni finanziarie al suo servizio, non sono queste necessità delle masse lo scopo della produzione, ma, appunto, la realizzazione del profitto (se non si può realizzare, il capitale arriva a distruggere la produzione, a chiudere le fabbriche, anche se in tanti paesi le masse non possono avere neanche un elettrodomestico).
Dice Marx: “non vengono prodotti troppi mezzi di sussistenza in rapporto alla popolazione. Al contrario. Se ne producono troppo pochi per soddisfare in modo decente e umano la massa della popolazione” Il punto è un altro: “vengono prodotte troppe merci per potere, nelle condizioni di distribuzione e nei rapporti di consumo peculiari della produzione capitalistica, realizzare il valore e plusvalore in esse contenuti e riconvertirli in nuovo capitale”.

Si dice il problema è il mercato. Negli ultimi anni il mercato dell'acciaio ha iniziato ad essere sommerso da una valanga di acciaio a prezzi sempre più bassi, svelando lo stato di enorme sovrapproduzione in cui versa il comparto siderurgico su scala mondiale. Il Coranavirus ha amplificato la crisi di sovrapproduzione, "con una domanda in regressione e un'offerta in espansione al traino solo dei mercati emergenti" (Sole 24 ore). E' in atto una guerra commerciale intorno all’acciaio che sta assumendo aspetti sempre più drammatici.
"Con auto e costruzioni ferme, la produzione italiana risulta tagliata a marzo del 40,2%... in Europa la domanda è in flessione media del 58%" - da Sole 24 Ore.
Ma la crisi c'è non perchè non ci sarebbe "mercato", ma perchè scopo delle vendita è realizzare il profitto; non perchè il capitalista non potrebbe più vendere, ma perchè quanto potrebbe realizzare dalla vendita non è conveniente per mantenere e anche aumentare i suoi profitti.
ArcelorMittal ha ridotto la capacità produttiva di 245milioni di tn e prevede una riduzione del 30% delle spedizioni nel 2° trimestre".

Gli effetti di questa guerra commerciale vengono scaricati sugli operai, prima di tutto con un massiccio taglio di posti di lavoro, ma anche riduzione rilevante dei salari (sempre più coperti con lunghi periodi di cassintegrazione che copre solo il 60% del salario perso), taglio ai costi della sicurezza, e chiaramente ai diritti dei lavoratori e sindacali.
In questo modo i capitalisti cercano di salvaguardare la produzione e i profitti con meno operai e più produttività, cioè aumentando il grado di sfruttamento di quei lavoratori che restano in produzione, accorciando il tempo che deve essere impiegato per fabbricare una data quantità di prodotto.
La crisi di mercato si fa beffe delle “soluzioni alternative”. Altri capitalisti, altre “cordate” padronali sono anche peggio di Mittal (vedi Jindal a Piombino con gli operai a casa da anni).

Si dice, che sia lo Stato a prendersi la fabbrica. Ma anche lo Stato avrebbe comunque il problema della “crisi di mercato”. Non è che solo perchè interviene lo Stato il mercato improvvisamente compra l'acciaio e non c'è più il problema della crisi di sovrapproduzione che loro stessi hanno provocato, della guerra commerciale. E lo Stato borghese si comporterebbe come un qualsiasi padrone, deve realizzare profitti. E anche la cosiddetta "riconversione" deve garantire profitti - il problema non è mai cosa si produce ma come si produce, e in una società capitalista anche lo Stato si comporta come un imprenditore.
L'intervento dello Stato, interventi come la cosiddetta “green economy” sono necessari al sistema del capitale nella crisi, quindi chiederli di per sé non difende il lavoro e l'ambiente.

Mittal in tutti gli stabilimenti ha già fatto quello che sta facendo a Taranto: costruire un impero dell'acciaio con denaro pubblico. Mittal ottiene sia gli stabilimenti a prezzi assolutamente favorevoli, e sia per ogni stabilimento condizioni di favore particolari, leggi dello Stato che gli permettono di godere di un vantaggio rispetto alla concorrenza mondiale.

Anche l'adozione di nuove tecnologie, a proposito della “green economy”, pensiamo alla costruzione di due forni elettrici a Taranto, il capitale le fa prima di tutto se lo Stato ci mette i soldi e se queste tecnologie gli permettono una produzione di acciaio migliore per qualità e quantità - poco importa invece al capitalista di salvaguardare l'ambiente se non è costretto dai rapporti di forza.
Ora il governo italiano è intenzionato ad intervenire, a metterci denaro pubblico, ma non può comunque risolvere una crisi che è mondiale e che non farà che continuare la guerra commerciale feroce di concorrenza (Turchia-Usa-Cina). Non c'è un “commercio sleale” da regolare – come ha detto in passato l'Eurofer – c'è il capitalismo!

E qui assistiamo ad un'altra contraddizione: il capitale è di per se globale, internazionale, si spinge nei più lontani paesi dal suo paese d'origine - appunto ArcelorMittal dall'India a Taranto, come si spinge nella zone ancora incontaminate, distruggendo foreste, habitat naturali di animali (qui è la vera causa del coronavirus).
Il capitale pretende e lotta ferocemente, con mezzi leciti o illeciti, per il suo posto nel mercato mondiale - scrive Marx: "il capitale tende a trascendere sia le barriere e i pregiudizi nazionali, sia l'idolatria della natura, sia il soddisfacimento tradizionale, modestamente chiuso entro limiti determinati, dei bisogni esistenti, e la tradizionale riproduzione di un vecchio modo di vivere. Nei confronti di tutto ciò esso è distruttivo e agisce nel senso di un perenne rivoluzionamento, abbattendo tutte le barriere che ostacolano lo sviluppo delle forze produttive, l'espansione dei bisogni, la molteplicità della produzione e lo sfruttamento e lo scambio delle forze della natura e dello spirito".
Ma quando si trova di fronte alla lotta uguale e contraria degli altri capitalismi concorrenti (vedi nel nostro caso, Cina, Turchia), allora diventa ipernazionalista, "sovranista", reclama a gran voce il sostegno del governo, dello Stato, o reclama - come ha fatto ArcelorMittal che per esso non valgano restrizioni.
Scrivono Marx ed Engels: “E' proprio bello che i capitalisti, che gridano tanto contro il “diritto al lavoro”, ora pretendano dappertutto “pubblico appoggio” dai governi... facciano insomma valere il “diritto al profitto” a spese della comunità”.

Si dice Mittal non ha interesse a tenere aperto Taranto, andrà via.
Taranto è un avamposto strategico per il mediterraneo, per i mercati africani. E nella contesa mondiale, la conquista dell'Africa una della chiavi. Per questo Taranto è centrale.
Nel sistema mondiale, basato sul capitalismo monopolistico, i padroni delle multinazionali acquisiscono siti che devono rispondere a due esigenze: evitare che i siti importanti cadano nelle mani della concorrenza; prenderli per fare un salto in avanti in quello che chiamiamo "risiko mondiale" nella guerra dell'acciaio.
La logica che ha sempre guidato Mittal nell’acquisizione di aziende, vale anche per l’Ilva: prendersi ciò che gli può servire dello stabilimento e "buttare" il resto, compreso prima di tutto gli operai che non servono; comprarlo a pochi soldi – e non impegnarne di suoi per accollarsi il risanamento; fare un'operazione volta a bloccare la concorrenza di altri paesi. Certamente non lo fa, come ha detto la Morselli, perchè gli piace tanto Taranto.

La vera questione.
Nelle contraddizioni, crisi e convulsioni acute si manifesta la crescente inadeguatezza dello sviluppo produttivo della società rispetto ai rapporti di produzione che ha avuto finora. La distruzione violenta del capitale, non in seguito a circostanze esterne ad esso, ma come condizione della sua autoconservazione, è la forma più evidente in cui gli si rende noto che ha fatto il proprio tempo e che deve far posto ad un livello superiore di produzione sociale”. (Marx).

Comprendere questo, comprendere la partita in gioco, deve permettere agli operai di non andare dietro a questa o quella soluzione inesistente o anche peggiore del male.
Capire le leggi di funzionamento del capitale è anche comprendere che tutto ciò che accade non è inevitabile o non avrà mai fine, che il sistema del capitale è eterno.
Ma attrezzarsi per porre fine a questo sistema, attraverso una battaglia tattica e strategica:
tattica, facendo una lotta, non di rimessa, ma imponendo i suoi interessi - sarebbe logico che a fronte della volontà di una grande multinazionale come ArcelorMittal di salvaguardare i suoi profitti tagliando i posti di lavoro degli operai e aumentando lo sfruttamento di chi resta occupato, i sindacati ponessero la questione della riduzione dell'orario di lavoro a parità di paga;
strategica, per fare una lotta rivoluzionaria per un nuova società in cui non vige più la legge del modo di produzione capitalista, una società socialista che ha come scopo la produzione per il benessere delle masse.

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