lunedì 20 luglio 2020

I legami-interessi Capristo/Ilva - Lo Slai cobs sc fin dal suo insediamento li ha denuciati, organizzato l'unica vera protesta nel processo 'ambiente svenduto', fatto esposti

ORA VIA VIA STA VENENDO FUORI CHE LO SLAI COBAS AVEVA PIENAMENTE RAGIONE. 
LO SLAI COBAS CI HA MESSO LA FACCIA, NONOSTANTE INTIMIDAZIONI.
MENTRE I SINDACATI CONFEDERALI, TUTTI GLI ESPONENTI POLITICI DI TARANTO, I COSIDDETTI DEMOCRATICI, BUONA PARTE DELLE FORZE AMBIENTALISTE NON DICEVANO NULLA.

In questo articolo pubblichiamo, utilizzando la stampa, il vero marcio che sta emergendo dall'inchiesta di Potenza sul ex Procuratore Capristo: perchè e come è venuto a Taranto, i suoi legami con i commissari Ilva, i suoi continui tentativi di favoreggiamento, di mettere le mani nel processo "Ambiente svenduto" 
per frenarlo, deviarlo, attutirne i suoi effetti verso i Riva, i suoi interventi per stoppare ordinanze nei confronti dell'Ilva, e altro.
Via via poi pubblicheremo le denunce, gli esposti, le azioni fatte dallo Slai cobas sc, perchè per primi gli operai Ilva e appalto, le masse dei quartieri di Taranto si rendano conto.
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La procura di Potenza è impegnata a capire come l’indagine sull’ex Ilva sia stata condotta con l’arrivo alla guida dell’ufficio inquirente di Carlo Maria Capristo, agli arresti domiciliari per le presunte pressioni su una magistrata. Ma quando Capristo fu arrestato – insieme a un poliziotto suo autista – si comprese che l’inchiesta da quel singolo episodio poteva portare più lontano, in acque ancora più torbide.

Il punto è anche dipanare la tela di imprenditori e politici stavano tessendo per entrare e gestire i circa 3 miliardi che i vari governi avevano annunciato sarebbero stati messi a disposizione per l’ambientalizzazione e la bonifica del siderurgico e la riqualificazione della città martoriata, soprattutto per quanto riguarda il quartiere Tamburi dalle polveri. Il primo passo è stato cercare di chiarire i rapporti che Capristo ha intrattenuto con i commissari nominati dal governo prima della cessione del ramo di azienda ad

Arcelor Mittal. Ma soprattutto con un consulente scelto dai commissari: non uno qualsiasi ma l’avvocato Pietro Amara, condannato per corruzione in atti giudiziari e coinvolto in diverse indagini.
Nei giorni scorsi il fascicolo di Potenza ha cominciato a diventare più corposo con i verbali raccolti dagli investigatori. Uno di questi è quello dell’ex commissario Enrico Laghi, sentito come testimone, a cui è stato chiesto se la Procura di Taranto avesse sponsorizzato mai alcuni consulenti. E se avesse chiesto di accelerare pagamenti a determinati imprenditori. Ma Laghi – secondo quanto riportano Repubblica e Gazzetta del Mezzogiorno – ha negato. L’altro verbale racconto è quello di una magistrata che si era opposta, per prima, al dissequestro dell’altoforno che poi invece fu disposto.

Un faro è puntato anche sul patteggiamento che fu rigettato il 30 giugno 2017 perché le pene ritenute inadeguate rispetto alla gravità dei reati. Proprio Piero Amara – di cui alcuni documenti sono stati trovati sotto l’auto di scorta della macchina di Capristo – era arrivato nel Palazzo di giustizia di Taranto come consulente della struttura legale di Ilva in As per partecipare alla cosiddetta “trattativa” con la procura per raggiungere quel patteggiamento che qualche anno prima, il pool di magistrati guidati allora da Franco Sebastio, aveva respinto. Lo staff legale dell’Ilva alza la posta offrendo il pagamento di una sanzione pecuniaria di 3 milioni di euro, 8 mesi di commissariamento giudiziale e 241 milioni di euro di confisca (invece dei 9 proposti nella prima istanza) come profitto del reato da destinare alla bonifica dello stabilimento siderurgico di Taranto. A queste riunoni partecipava anche l’avvocato Piero Amara coinvolto nel processo Eni. Ma i giudici della Corte d’assise ritengono “le pene concordate con i rappresentati della pubblica accusa” sono “sommamente inadeguate e affatto rispondenti a doverosi canoni di proporzionalità rispetto alla estrema gravità dei fatti oggetto di contestazione”.

Agli atti ci sono poi le dichiarazioni – rilasciate nelle inchieste di Milano e di Perugia, sul caso Palamara – dall’avvocato Giuseppe Calafiore, socio proprio di Amara. Ci sarebbe stato un forte interessamento di Amara, che però nega, perché Capristo riuscisse ad agguantare la poltrona di capo. A questo si aggiunge che a marzo 2017, due società, la “Dagi” e la “Entropia Energy”, di cui Amara è amministratore di fatto, si erano domiciliate a Martina Franca, in provincia di Taranto: l’ipotesi è che il legale puntasse ai lavori.

Piero Amara a proposito di Carlo Capristo ha detto: «“Io l’ho convinto a fare la domanda per Taranto, anche perché a me serve a Taranto in quanto io a Taranto ho interessi con l’Ilva”».

Al centro oggi del lavoro investigativo c’è un imprenditore del Barese, storico fornitore dell’ex Ilva, che si sarebbe rivolto all’allora procuratore Capristo per chiedere l’apertura di un canale con la società commissariata con l’obiettivo di ottenere la liquidazione dei suoi credit/

...Già nelle scorse settimane l’inchiesta di Potenza si era avvicinata all’ex Ilva, approfondendo l’incarico di difesa affidato all’avvocato molfettese Giacomo Ragno, 72 anni, condannato a Lecce nell’ambito del processo in abbreviato sulla giustizia truccata a Trani e ritenuto dai testimoni un «fedelissimo» di Capristo.

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