Diciannove manifestazioni di interesse ammesse alla due diligence (e altre sette cui è stata chiesta un’integrazione) non bastano a diradare le nubi sul futuro industriale del principale gruppo siderurgico d’Italia. Una veloce analisi delle aziende che hanno deciso di inviare una proposta ai tre commissari di Ilva, Piero Gnudi, Corrado Carrubba ed Enrico Laghi rivela che gli interessi sono sparsi e frammentati. Pochi, ragionando sul core business e le dimensioni delle singole realtà interessate, sarebbero pronti a rilevare Ilva nella sua interezza. E anche gli elementi per organizzare una cordata intorno alla quota di minoranza di Cdp non sono poi così numerosi, se si considera il nutrito numero ai blocchi di partenza.
È opportuno ricordare che l’invito a manifestare interesse pubblicato il 5 gennaio dai commissari riguarda non solo Ilva spa, ma anche altre sette realtà controllate, attive in business legati all’hub tarantino, ma in molti casi lontani dalla produzione d’acciaio.
Sulla carta la maggior parte delle proposte sembrerebbero indirizzate proprio a questa soluzione «a spezzatino». In vendita ci sono realtà come Taranto Energia (utilizza i gas siderurgici di Ilva per la produzione elettrica), Ilvaform (produce profilati), Ilva servizi marittimi. Quest’ultima è la controllata armatoriale e ha tra i suoi asset una nave da 300mila tonnellate di portata, alcuni spintori e chiatte, oltre a 200 dipendenti: due delle 19 manifestazioni di interesse, vale a dire quella di Ionian shipping consortium e Pan Atlantic shipping co, sono chiaramente indirizzate a questa realtà e certo non all’acciaieria di Taranto.
Altra realtà controllata è la Innse cilindri, con sede a Brescia. Questa azienda, con oltre un secolo di attività alle spalle, realizza cilindri per la laminazione, destinati all’autoconsumo di Ilva e al mercato. A rigor di logica l’interesse della spezzina Fonderia Boccacci, che produce getti in ghisa destinati anche a questo mercato (i rulli nascono da fusioni di questo tipo) dovrebbe essere indirizzato ad Innse, e non a Ilva spa. Stessa logica per la Faser di Lecco, che produce fusioni per particolari dell’industria siderurgica, tra cui i rulli per colata continua. Secondo il parere di numerosi addetti ai lavori anche le manifestazioni di interesse delle Fonderie Mora di Gavardo (in provincia di Brescia, appartiene al gruppo Camozzi) e della Lucchini RS di Lovere (Bg) sarebbero indirizzate ad Innse.
Il bando prevede anche la vendita di Sanac, controllata che si occupa della produzione di refrattari, con circa 400 dipendenti e una capacità produttiva di 200mila tonnellate all’anno, per un terzo destinate all’esportazione. È a questa realtà che, per esempio, punterebbero i polacchi di Zaklady Magnezytowe Ropczyce sa, attivi nello stesso business. Con tutta probabilità guardano a Sanac anche Vesuvius Italia (controllata del gruppo Vesuvius, leader mondiale nel settore dei refrattari con sede a Londra e tra i principali fornitori di Ilva) e Magnesita Refractories Gmbh, controllata tedesca del gruppo brasiliano.
Ci sono poi i due centri servizio francesi (Socova, con sede a Senas e Tillet, di Chatillon Le Duc) che potrebbero essere nel mirino degli interessi transalpini (Etablissements robert et compagnie, Societe mosellane de vente fers-toles-aciers) vista la loro limitata dimensione e struttura. Sembrerebbero lontane dal core business produttivo anche la casertana Dhi (si occupa di bonifiche), la Euroflex di Salerno (realizza tubolari e profilati per edilizia e carpenteria) e la Car segnaletica stradale di Benevento, mentre la Tecnotubi di Alfianello (Bs) ha dichiarato di essere interessata solo al tubificio di Racconigi, in provincia di Cuneo. I titolari di Eusider, di Trasteel e del gruppo Ottolenghi (che non ha formalizzato una manifestazione di interesse) hanno infine esplicitato l’interesse a partecipare ad un’eventuale cordata, ma non certo a tirare le fila di questa eventuale aggregazione.
In linea teorica i soggetti industriali in grado di puntare, da soli o organizzando una cordata, al core business rappresentato dall’acciaieria e dall’area di laminazione di Ilva, si contano sulle dita di una mano. Si tratta di Arvedi, di Marcegaglia, della brasiliana Csn (quest’ultima indicata due anni fa come potenziale partner di Arvedi nell’operazione Ilva), della turca Erdemir (dalla quale si attendono integrazioni) e del colosso ArcelorMittal che, però, secondo una fonte vicina al Mise, avrebbe presentato una manifestazione di interesse solo per i laminatoi, e non per l’area a caldo.
Resta da capire infine il ruolo dei due fondi, il cinese P&C Shenzen e l’americano Erp compliant fuels. I giochi però sono appena iniziati: solo al termine della due diligence, quando sarà il momento delle offerte definitive, il quadro sarà chiaro.

DAL VOLANTINO DIFFUSO IERI ALL'ILVA DI TARANTO
Agli operai Ilva,

Cosa proponiamo

- Un'assemblea generale che rovesci i “Tavoli” e imponga una nuova piattaforma.
- Una lotta quotidiana che non accetti lo stato di cose esistenti, commissari incapaci, inosservanza di norme, condizioni di sicurezza, diritti, sanciti da leggi che anche in questa fabbrica devono valere.
- Aprire la fabbrica alla città, coinvolgere i quartieri popolari.
- Dare vita ad un Comitato di lotta per la salvezza del lavoro e della salute, autonomo dalle attuali rappresentanze sindacali, tutte.
Imponiamo che non si firmi nulla, senza un decreto a tutela degli operai

SLAI COBAS per il sindacato di classe
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