Lenin apre l'opera citando innanzitutto le sue fonti e in particolare l'opera pubblicata a Londra e a New York nel 1902 dell'economista inglese Hobson, dice che egli (Hobson), al di là delle sue posizioni teorico politiche socialriformiste borghesi e pacifiste “fa un'ottima e circostanziata esposizione delle fondamentali caratteristiche economiche e politiche dell'imperialismo”.
"Nel 1910 – dice Lenin – compare a Vienna l'opera del marxista austriaco Hilferding intitolata “Il capitale finanziario”. “Quest'opera, nonostante l'erroneità dei concetti dell'autore nella teoria della moneta e nonostante una certa tendenza a conciliare il marxismo con l'opportunismo, offre una preziosa analisi teorica sulla recentissima fase di sviluppo del capitalismo”.
Da questo parte Lenin per affermare che il suo libro è “il tentativo di esporre con la massima brevità e in forma quanto si possa accessibile a tutti la connessione e i rapporti reciproci tra le caratteristiche economiche fondamentali dell'imperialismo”.
Questo è anche lo scopo del corso di Formazione Operaia che noi facciamo su questo libro. Essa non intende complicare, con dati e esami particolari di aspetti secondari, il centro del problema: cos'è l'imperialismo e perchè le caratteristiche fondamentali dell'imperialismo così come sono descritte da Lenin siano sostanzialmente valide ancora oggi e permettano una visione chiara, semplice e concreta dell'attuale sistema economico mondiale e delle sue dinamiche interne.
I - La concentrazione della produzione e i monopoli
PRIMA PARTE
“Uno dei tratti più caratteristici del capitalismo - scrive Lenin - è costituito dall'immenso incremento dell'industria e dal rapidissimo processo di concentrazione (VEDI NOTA) della produzione in imprese sempre più ampie”.
Se guardiamo al sistema mondiale nel suo complesso e non ai singoli paesi di esso, quello
a cui assistiamo è appunto anche oggi ad un “immenso incremento dell'industria e a un processo di concentrazione della produzione in imprese sempre più ampie”.
La geografia dei paesi in cui questo avviene può essere diversa da quella dei tempi di Lenin ma in nessuna maniera contraddice questo assunto.
Nell'esame delle ragioni di questa concentrazione, Lenin mette in rilievo come “il lavoro nella grandi aziende essendo molto più produttivo fa sì che la produzione si concentra molto più intensamente della manodopera" e continua: “Meno di una centesima parte delle aziende dispone di più di tre quarti della quantità totale della forza vapore dell'energia elettrica”.
Potrà essere diversa da una "centesima" e potremmo basare i dati sulle attuali fonti energetiche principali, ma non cambierebbe per niente l'assunto: che una piccola parte di aziende dispone di tre quarti delle fonti energetiche.
Potrà essere diversa da una "centesima" e potremmo basare i dati sulle attuali fonti energetiche principali, ma non cambierebbe per niente l'assunto: che una piccola parte di aziende dispone di tre quarti delle fonti energetiche.
La conseguenza di questo, dice Lenin, è che “Alcune decine di migliaia di grandi aziende sono tutto, milioni di piccole aziende niente” e che su scala mondiale un piccolo numero di aziende dispone (in varie forme che l'analisi ulteriore può dettagliare) di un decimo dell'intera forza dei lavoratori su scala mondiale e di un terzo delle fonti energetiche mondiali.
A questo va aggiunto, dice Lenin, che “il capitale monetario e le Banche rendono ancora più opprimente (diremmo noi, dominante - ndr) questa preponderanza di un piccolo gruppo di grandi aziende, tali che l'intero sistema di piccoli, medi e meno grandi padroni si trovano interamente alle dipendenze di centinaia di milionari dell'alta finanza”.
Lenin poi qui fa riferimento alla rapidità con cui si andava determinando il processo di concentrazione della produzione negli Stati Uniti.
Tutto questo oggi è sotto gli occhi di tutti.
E riferito a questo paese, Lenin ribadisce “Quasi la metà dell'intera produzione di tutte le imprese del paese è nelle mani di una centesima parte del numero complessivo delle aziende! E queste 3 mila aziende gigantesche lavorano in 268 rami d'industria. Da ciò risulta che la concentrazione, ad un certo punto della sua evoluzione, porta, per così dire, automaticamente alla soglia del monopolio... Questa trasformazione della concorrenza nel monopolio rappresenta uno dei fenomeni più importanti - forse anzi il più importante - nell'economia del capitalismo moderno”.
Non c'è alcuna analisi, per quanto sofisticata e tecnica possa essere, che può contraddire il dato di fatto ancora oggi del dominio nell'economia mondiale da parte di un sistema di grandi monopoli, ora alleati ora in contesa tra di loro.
Anzi, proseguendo Lenin delinea quello che negli anni è stato lo svilupparsi delle caratteristiche di questi monopoli: “una delle più importanti caratteristiche del capitalismo, giunto al suo massimo grado di sviluppo è costituita dalla cosiddetta combinazione, cioè dall'unione in un'unica impresa di diversi rami industriali, sia che si tratti di fasi successive della lavorazione delle materie prime..., sia che si tratti di rami industriali ausiliari l'uno rispetto all'altro...”.
Nello sviluppo dell'imperialismo questo processo è andato molto avanti, tale che oggi si assiste all'unione in un'unica impresa di diversi rami della produzione, del commercio, ecc.
Lenin qui, poi, prende da Hilferding la ragione di questa combinazione, mettendo in rilievo che essa:
“a) livella le differenze congiunturali, garantendo una maggiore stabilità del saggio di profitto dell'impresa combinata nel suo insieme; b) determina l'eliminazione del commercio (diremmo noi, determina il controllo sistematico di fette del mercato mondiale – ndr); c) amplia le possibilità di progresso tecnico favorendo il conseguimento di extra profitti rispetto all'impresa non combinata; d) nella lotta concorrenziale rafforza la posizione dell'impresa combinata contro l'impresa non associata, durante il periodo di forte depressione, quando, cioè, la caduta del prezzo delle materie prime non è proporzionale a quella del prodotto finito”.
Il testo qui spiega l'effettiva dinamica in cui si svolge la contesa sul mercato mondiale e le ragioni per cui i grandi monopoli prevalgono nel mercato mondiale quando esso si amplia, e sono in condizioni di affrontare le crisi e i periodi di oscillazione dei prezzi delle materie prime e dei prezzi dei prodotti finiti.
E, al di là della complessità con cui questo processo in realtà avviene, la sostanza è quella che Lenin riprende da un altro economista borghese quando dice che le imprese non facenti parte del monopolio sono in pratica schiacciate dalle imprese monopolistiche perchè per esse la materia prima costa di più e il prodotto finito è condizionato dal più basso prezzo imposto dal monopolio.
Per questo il processo di concentrazione e di trasformazione in monopolio della concentrazione resta un processo permanente e una dinamica di fondo del sistema imperialista in tutte le epoche della sua esistenza.
Lenin poi torna sui fondamenti di questo processo, vale a dire sulle tesi del Capitale di Marx, e scrive: “Allorchè Marx mezzo secolo fa scriveva il Capitale la grande maggioranza degli economisti considerava la libertà di commercio la "legge naturale".
La scienza ufficiale ha tentato di seppellire con la congiura del silenzio l'opera di Marx che mediante l'analisi teorica e storica del capitalismo ha dimostrato come la libera concorrenza determini la concentrazione della produzione, e come questa, a sua volta, a un certo grado di sviluppo conduca al monopolio. Oggi il monopolio è una realtà”.
Così scriveva Lenin nel 1916, e a 100 anni di questo scritto, oggi la questione è ancora più vera.
Lenin scrive ancora, per rispondere alle confutazioni superficiali che fanno leva sulle differenze tra i singoli paesi capitalistici: “I fatti provano che le differenze tra i singoli paesi capitalistici, per esempio in rapporto al protezionismo e alla libertà degli scambi, determinano soltanto differenze non essenziali nelle forme del monopolio, o nel momento in cui appare, ma il sorgere dei monopoli per effetto del processo di concentrazione è, in linea generale, legge universale e fondamentale dell'odierno stadio dello sviluppo del capitalismo”.
(NOTA)
Marx distingue "concentrazione" e "centralizzazione". Per il processo di concentrazione osserva che "ogni capitale individuale è una concentrazione più o meno grande di mezzi di produzione, con il corrispondente comando su un esercito più o meno grande di operai. Ogni accumulazione diventa il mezzo di accumulazione nuova. Essa allarga, con la massa aumentata della ricchezza operante come capitale, la sua concentrazione nelle mani di capitalisti individuali, e con ciò la base della produzione su larga scala e dei metodi di produzione specificatamente capitalistici. L'aumento del capitale sociale si compie con l'aumento di molti capitali individuali". Quanto al processo di centralizzazione Marx rileva che questo si distingue da quello di concentrazione "pel fatto che esso presuppone solo una ripartizione mutata di capitali già esistenti e funzionanti, che il suo campo di azione non è dunque limitato all'aumento assoluto della ricchezza sociale o dai limiti assoluti dell'accumulazione. Il capitale qui in una mano sola si gonfia da diventare una grande massa, perché là in molte mani va perduto. E' questa la centralizzazione vera e propria a differenza dell'accumulazione e concentrazione". K. MARX, Il Capitale, I, 3, pp. 74-75.
(CONTINUA)
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