Manifestazioni d’interesse sono arrivate da mezzo mondo, è vero.
Ma il futuro dell’Ilva, secondo i rumors che girano sempre più insistentemente, è destinato a rimanere made in Italy, secondo i desiderata del governo Renzi e del salotto buono dell’economia nazionale. I giochi sono già fatti, si sussurra. Con Paolo Scaroni a fare da “comandante in capo” di un gruppo composto da Cassa Depositi e Prestiti, vero braccio finanziario dell’opeazione, Marcegaglia (primo cliente dell’acciaio Ilva) Arvedi (player siderurgico nazionale) ed Eusider. Il gruppo con base a Costamasnaga, nel lecchese, si candida a partecipare ad una cordata per l’acquisizione del gruppo Ilva.
Lo ha spiegato l’amministratore delegato Anghileri in un’intervista a Radiocor: “Siamo disposti ad investire, per quanto lo consentira’ la nostra forza, in un gruppo italiano, serio, motivato, che abbia un progetto corretto e non speculativo o mordi e fuggi, con professionalita’ specifiche. Noi - assicura Anghileri - siamo pronti a dare il nostro contributo”.?
Il dossier Ilva, ad ogni buon conto, è aperto su molteplici fronti. “Sotto discariche e cokerie dell’Ilva c’è di tutto. La cosa più pericolosa sono i liquami scaricati. Andavo lì con la mascherina protettiva, ma non riuscivo ugualmente a respirare per l’aria satura di sostanze”.
E’ un passaggio dell’intervista video a un ex operaio dello stabilimento - realizzata di spalle e con la voce camuffata - rilasciata a Peacelink e inserita nel portale web dell’associazione. Il lavoratore, che ha lavorato dal 2000 al 2012 nel reparto cokerie, si dice pronto a testimoniare ai magistrati, consegnando “foto e video”. “Guardavo per terra - afferma - i vapori che uscivano dal sottosuolo. Non riuscivo neanche a starci. Quando arrivavo lavoravo come un pazzo, non vedevo l’ora di finire perchè volevo scappare via da lì”. Il lavoratore spiega di aver lavorato nelle batterie 3-6-7-10-11-12. “Quello che c’era lì - ha rivelato a Peacelink - era indescrivibile”.
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