Gli schiavi delle angurie sono ancora qui": così nel Leccese il caporalato sopravvive alle leggi e ai controlli. E il Covid peggiora le cose
In Salento almeno mille migranti restano in balia degli sfruttatori. Anche il fiore all'occhiello dell'accoglienza, il campo di Boncuri, causa pandemia ha dovuto dimezzare la sua capienza lasciando nelle mani dei caporali la gran parte dei lavoratori
La lotta al caporalato è "zoppa", nel distretto delle angurie. Trasporti e intermediazione del lavoro continuano ad essere nella zona d'ombra in cui operano i faccendieri con le istituzioni che fanno ancora fatica a inquadrare il fenomeno in una cornice normativa ed operativa, nonostante l'arrivo di centinaia di braccianti si ripeta sin dagli anni Ottanta. Risolto quasi del tutto il problema del vitto ma non grazie ai "laici": è la Chiesa locale, attraverso una mensa sostenuta anche con fondi pubblici (l'anno scorso persino attivata dentro il campo di Boncuri, l'unico attrezzato per l'ospitalità dei braccianti in provincia) e gestita da associazioni afferenti alla caritas diocesana a fornire il servizio.
L'area pianeggiante tra Nardò, Leverano, Copertino, Galatina, Veglie, Aradeo e Porto Cesareo è interessata da oltre duemila ettari di terreno destinati alla coltivazione intensiva. Il centro neritino, denominato in passato Anguria City, rappresenta la "capitale" della produzione con circa 1500 ettari pari a duemila e duecento campi da calcio grandi quanto San Siro. Gli addetti alla raccolta (molti dei quali si trattengono anche per ortaggi e pomodori) si stima siano tra mille e duemila ma è impossibile un censimento attendibile. Le aziende agricole e di trasformazione e spedizione nei mercati di tutta Europa, soprattutto centrale e settentrionale dove il prodotto "Anguria di Nardò" è richiestissimo, sono diverse centinaia.
Intorno a questo fenomeno, che ha iniziato a crescere alla fine degli anni Ottanta e poi è diventato la locomotiva dell'economia di queste terre affacciate sullo Ionio, sono nati servizi necessari per dare sostegno a centinaia di lavoratori, i cosiddetti "migranti delle angurie", braccianti specializzati che girano l'Italia (soprattutto Campania, Puglia e Sicilia) per cercare lavoro. Che a volte non si trova. Perciò i lavoratori restano in balia di faccendieri
In città sono diverse le "cartine di tornasole" che dimostrano questi numeri. La mensa della comunità della Caritas è una di queste: l'anno scorso, dal primo gennaio al 21 settembre (momento in cui l'emergenza si attenua), sono stati erogati 40.473 pasti, quasi il doppio dello stesso periodo del 2019. Gli stranieri assistiti dalla mensa sono praticamente raddoppiati (dai 7mila pasti nel 2018 e gli 8mila del 2019 agli oltre 16mila di questo "parziale" del 2020) mentre la provenienza ricalca esattamente la nazionalità dei braccianti impiegati in agricoltura, provenienti da 36 nazioni tra le quali spiccano Sudan, Tunisia, Mali, Marocco, Senegal, Costa D'Avorio, Burkina Faso, Gambia, Guinea
Si tratta di un servizio prestato dalla Chiesa che ha sgominato una delle attività principali dei caporali, quella del pasto quotidiano. Gli intermediari arrivavano a chiedere due euro soltanto per una bottiglietta d'acqua. In passato, invece, sempre queste persone, in genere cittadini nordafricani con buona conoscenza del territorio, offrivano servizi all'aperto, sotto i ponti del canale Asso (un corso d'acqua che attraversa parte della provincia di Lecce) o in casette diroccate, cucinando per i lavoratori
Un altro business è sicuramente quello dei trasporti, da e per il luogo di lavoro dei raccoglitori (cinque euro a viaggio), che le istituzioni, nonostante diversi tavoli tematici che si susseguono ogni anno, non sono riusciti a debellare del tutto con un servizio pubblico. La pista ciclabile per "avvicinare" il campo alla città, prevista in contrada Mangàni, per ora è rimasta sulla carta e forse in autunno si farà la gara per affidare le opere che consistono in segnaletica e illuminazione. L'importo consentirebbe anche la pavimentazione del campo e la costruzione di marciapiedi.
Finanziata dal Ministero dell'Interno con 500mila euro, l'opera appare intonata con le esigenze del "popolo delle biciclette", come venne definita la comunità dei braccianti in occasione del funerale di una giovane donna nigeriana morta a Nardò probabilmente per una grave infezione. Quel giorno la piazza della cattedrale, durante il funerale della donna, diventò un enorme parcheggio di biciclette.
I braccianti utilizzano la bici come principale o esclusivo mezzo di spostamento ma attraversare la pericolosa bretella di collegamento con la statale 101 è veramente una impresa difficile, soprattutto di notte. Questa lontananza effettiva del campo di Boncuri dal centro abitato ha trasformato il campo in una sorta di ghetto autosufficiente, terreno fertile anche per i caporali o quanti approfittano di questa situazione. Ridurre le distanze, anche fisiche, è la premessa di una nuova socialità.
La grande nebulosa, però, è ancora quella del procacciamento del lavoro. E qui interviene la Cgil che da diversi anni ha un punto di osservazione privilegiato proprio dentro il campo allestito in località Boncuri dalla Regione Puglia per la prima volta nel 2017. Una struttura con 80 container climatizzati e servizi comuni, con vigilanza e presidio medico sanitario e assistenza. La foresteria è provvista di bagni, docce, spazi comuni, ambulatorio medico ed uffici per attività burocratiche e sindacali.
Il Covid, però, ha tirato un piano al progetto perché l'ospitalità del campo è stata ridotta da 400 persone a meno della metà con una nuova e conseguente dispersione degli ospiti nelle campagne o in alloggi di fortuna, comunque non monitorati. Quest'anno, mediamente, sono stati 150. E gli altri dove finiscono? Quali servizi utilizzano? Da due anni le attività del campo sono coordinate, in maniera molto efficiente, dalla Croce rossa italiana.
"La novità di quest'anno - spiega Monica Accogli, segretaria generale della Flai Cgil Lecce - è che oltre alla registrazione si richiede il tampone a tutti gli ospiti. Si accede al campo solo con regolare contratto in essere o iscrizione nelle liste dell'ufficio del lavoro. Ma, nonostante il modello che Nardò ha messo in piedi negli ultimi anni sul piano dell'accoglienza - di concerto con Prefettura, istituzioni, sindacati, associazioni datoriali e del Terzo Settore -, la piena integrazione di questi giovani braccianti è ancora un miraggio. Non tutto quel che è previsto dalla legge 199 del 2016, per contrasto del caporalato e dello sfruttamento di questa manodopera, è stato applicato. Ad esempio, la realizzazione della rete del lavoro agricolo di qualità è ancora in alto mare, visto che sono solo cinque le aziende agricole salentine ad aver aderito alla Rete. Il dialogo tra gli enti interessati che dovrebbe portare alla Sezione territoriale del lavoro agricolo, istituita nel 2019, è balbettante. Dal punto di vista normativo non c'è più nulla da inventare, bisogna solo applicare la legge, far funzionare la rete istituzionale, rispettare il Contratto provinciale di lavoro".
Una situazione che esiste da quarant'anni e per la quale si parla ancora di emergenza. "Pensiamo ad un fatto - conclude Accogli - e cioè che esista ancora il tavolo prefettizio che si riunisce per fronteggiare l'emergenza, nonostante questo fenomeno sia noto da anni, ed ogni anno si ripete. Considerarlo ancora un evento straordinario è impensabile: è l'ora che tutti gli ingranaggi di questa rete funzionino correttamente. I nodi da sciogliere ci sono ancora e riguardano mercato del lavoro e quindi reclutamento della manodopera e trasporti: nonostante le promesse di impegno, non si riesce a venirne a capo.
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