AIA, IL COSTO RESTA UN MISTERO
di Gianmario Leone
TarantOggi 21 02 2013
Appena una settimana fa, ci chiedevano quanto sarebbe costata all’Ilva
l’applicazione di tutte le prescrizioni presenti nell’AIA rilasciata lo
scorso 26 ottobre dal ministero dell’Ambiente. Come si ricorderà, il
ministro Clini mesi addietro parlò di una cifra tra i 3 e i 4 miliardi di
euro. Una cifra importante, ma molto lontana dai 10 miliardi di euro
ipotizzati nel mese di settembre scorso, dopo le valutazioni dei custodi
giudiziari sullo stato reale degli impianti dell’area a caldo. La
settimana scorsa invece, pubblicammo i dati dell’ultimo studio del “Centri
Studi Siderweb”, secondo il quale basterebbe al massimo un miliardo e
mezzo di euro. Il Centro parlava di “stima dettagliata e approfondita che,
se confermata dalle fonti ufficiali, scioglierebbe ogni dubbio sulla
sostenibilità degli stessi e ben lontana dai 3/4 miliardi di euro sin qui
stimati”. La previsione era stata redatta sulla base degli ultimi bilanci
dell’azienda, visionando i quali si sarebbe valutato come il limite
massimo delle risorse da impiegare per il risanamento degli impianti,
debba essere contenuto entro i due miliardi di euro affinché non venga
rotto “l’equilibrio necessario alla sopravvivenza aziendale”. Nella
giornata di martedì però, nella presentazione del piano di
ristrutturazione aziendale, l’Ilva ha dichiarato che il costo per mettere
a norma lo stabilimento Ilva di Taranto sarà di 2 miliardi e 250 milioni.
Dunque, come sempre accade quando di mezzo c’è l’Ilva, ballano le cifre
più disparate e la chiarezza non è mai di casa. Ma questa grande
incertezza ha anche altre responsabilità. Perché l’AIA rilasciata all’Ilva
dal ministero dell’Ambiente prevede che l’azienda debba ridurre le
emissioni inquinanti applicando le migliori tecnologie disponibili, sulle
quali la scelta finale, per legge, spetta all’azienda, soprattutto da un
punto di vista economico. Eppure, la perizia dei chimici aveva posto come
parametro di valutazione di base, le migliori tecnologie in assoluto,
previste peraltro dall’articolo 8 della normativa sull’AIA (d. lgs.
59/2005), che recita testualmente: “Se, a seguito di una valutazione
dell'autorità competente, che tenga conto di tutte le emissioni coinvolte,
risulta necessario applicare ad impianti, localizzati in una determinata
area, misure più rigorose di quelle ottenibili con le migliori tecniche
disponibili, al fine di assicurare in tale area il rispetto delle norme di
qualità ambientale, l'autorità competente può prescrivere nelle
autorizzazioni integrate ambientali misure supplementari particolari più
rigorose, fatte salve le altre misure che possono essere adottate per
rispettare le norme di qualità ambientale”. Ecco perché le cifre ballano
senza criterio alcuno. L’Ilva, dal canto suo, ha giustificato la riduzione
dei costi sostenendo che i 3 miliardi e passa del ministro Clini erano una
stima approssimativa, mentre ora si é entrati nella fase della
quantificazione nella quale si stanno “definendo le progettazioni,
stringendo i contatti con le imprese fornitrici e in diversi casi gli
ordini di lavoro e di acquisto sono già partiti”. Ma le cifre potrebbero
ancora oscillare di un 20%, sostiene sempre l’Ilva, perché una valutazione
“definitiva potrà essere fatta una volta ricevute le offerte tecniche
complete per tutte le attività previste”. Come sia dunque possibile che
l’Ilva, come sostenuto dalla stessa azienda lo scorso 23 gennaio, abbia
già ottemperato al 65% delle prescrizioni dell’AIA, resta di fatto uno dei
tanti misteri di questa vicenda. Altro aspetto poco chiaro, sono i singoli
investimenti previsti dall’Ilva impianto per impianto. Ad esempio per le
cokerie si parla di 860 milioni di euro: eppure, in un documento dello
scorso anno dal titolo “Investimenti per l’ambiente”, in un’apposita
tabella l’azienda sosteneva di aver investito nello stesso reparto dal
1995 al 2011, 480 milioni di euro. Dunque, per quello che è il reparto più
inquinante del ciclo produttivo del siderurgico, secondo un piccolo
calcolo, dal 1995 al 2015, il gruppo Riva avrà investito la “bellezza” di
1 miliardo di euro, ovvero 67 milioni ogni anno: eppure, sono
completamente da rifare. Così come appare quanto meno “sospetta” la cifra
che servirà per coprire i parchi minerali: 300 milioni di euro, quando
l’Enel di Brindisi ha investito 120 milioni di euro per coprire i due
carbonili della centrale di Cerano, che hanno dimensioni decisamente
minori rispetto a quelle dell’Ilva. Non solo. Perché nel documento
presentato ieri dalla Riva Fire, al punto n.3.1 si parla del “livello
degli investimenti degli anni precedenti”. I programmi di investimento
attuati dall’Ilva SpA funzionali “all’efficienza impiantistica ed alla
compatibilizzazione ambientale”, vengono riportati in una tabella in cui
compaiono i dati consuntivi relativi agli investimenti attuati negli
ultimi anni dall’azienda. Come sempre siamo in presenza di una tabella che
non dice assolutamente nulla da un punto di vista di concretezza degli
interventi attuati sui vari impianti. Nello stesso tempo però, ci informa
che su un presunto totale di quasi 2 miliardi di euro di investimenti dal
2007 al 30 settembre 2012, soltanto 433 milioni di euro sono serviti, come
si evince dalla tabella, “di cui per ecologia”. I maligni ora penseranno:
allora non è vero che hanno investito un miliardo di euro nella
“ambientalizzazione” dell’Ilva. E qui casca l’asino: perché nel documento
dello scorso anno sugli investimenti per l’ambiente, c’è scritto che dal
1995 al 2006 sono stati effettuati investimenti per 689 milioni di euro.
Ed ecco che, magicamente, i conti tornano. Chiosa finale. Più di qualcuno,
a cominciare dai sindacati, si è accorto che mandare in cassa integrazione
migliaia di operai sino al 2015, vorrà dire per l’Ilva un risparmi
economico per centinaia di milioni di euro: secondo un calcolo
forfettario, si tratta di oltre 800 milioni di euro. Che si accollerà lo
Stato, ovvero i cittadini, anche di Taranto. Domanda: ma la cifra
risparmiata all’Ilva non è la stessa a cui ammonterebbe il valore
dell’acciaio sequestrato dalla Procura? E poi dicono che la matematica non
è un’opinione.
Gianmario Leone
g.leone@tarantooggi.it