“In quanto genitori delle bambine e dei bambini frequentanti gli asili nido comunali di Taranto torniamo a scrivere al Sindaco, al comparto politico e tecnico dell’ambito educativo del Comune e alla stampa tutta.
In data 26 maggio, dopo più di una settimana dall’invio della nostra precedente lettera e a pochissimi giorni dallo scadere dei termini per la presentazione delle domande d’iscrizione ai nidi, abbiamo appreso esclusivamente dalla stampa una nota dell’amministrazione comunale nella quale si comunica l’introduzione di “agevolazioni” per le prime due fasce Isee senza specificare di quale importo si tratti e senza modificare le tariffe né l’orario di servizio dei nidi, ma soprattutto non avendo mai realizzato il momento di confronto richiesto da noi famiglie che teoricamente dovremmo esserne parte attiva attraverso i Comitati di gestione.
Nella precedente lettera avevamo espresso la necessità di condividere una visione dei nidi comunali come qualcosa che va ben oltre il già di per sé prezioso servizio alle famiglie e alla persona, sottolineandone il valore educativo e culturale sul territorio e in particolar modo in questa città che in termini di “diritti” ha sottratto molto alle bambine e ai bambini. Rimarchiamo quindi il concetto aggiungendo quanto gli asili nido, nati dalle lotte sindacali e femministe, rappresentino una risorsa non solo per le famiglie ma nello specifico per le donne che devono poter rientrare nel mondo del lavoro dopo la nascita dei figli, ricordando quanto a Taranto siano altissime le percentuali di disoccupazione femminile e notevolmente bassi gli indici di natalità. Abbattere il gender gap dovrebbe rientrare negli impegni dell’agenda politica europea e nazionale e un’amministrazione che ha portato questi temi in campagna elettorale dovrebbe poi essere in grado di declinarli fattivamente nelle politiche attuative....
Anche in caso di dissesto economico l’ultima risorsa alla quale attingere dovrebbero essere i servizi educativi perché rappresentano probabilmente l’unico strumento per contrastare le disuguaglianze sociali, culturali ed economiche. Auspichiamo anzi che possa prender piede sempre più l’idea e la sua reale realizzazione, di una città a misura di bambine e bambini e noi famiglie pretendiamo di esserne parte attiva nelle decisioni politiche di costruzione. Noi non ci fermeremo.
Restiamo, nuovamente, in attesa di un vostro riscontro".
martedì 30 maggio 2023
I genitori dei bambini degli asili rispondono al sindaco. Le lavoratrici dello Slai cobas in lotta ribadiscono la loro solidarieta' alle famiglie
lunedì 29 maggio 2023
2 giugno a Taranto manifestazione
2 giugno in piazza a Taranto ore 10 Arsenale
NO alla Repubblica fondata sulla guerra imperialista, il militarismo, il nazionalismo, la repressione e il razzismo
NO alla Repubblica fondata sullo sfruttamento, disoccupazione, precarietà, carovita, disastri e devastazione ambientale, attacco ai diritti e alle libertà dei lavoratori, dei giovani, delle donne, salute, studio..
info/contatti adesioni
wattsapp 3519575628
wattsapp 3288864665
Dalle zone alluvionate, dai compagni di Ravenna - info
Da Ravenna - verso il presidio alla Prefettura 2 giugno
sabato 27 maggio 2023
Acciaierie d'Italia: gira, gira ma la strada è sempre la stessa per il sistema del capitrale:
La vicenda Acciaierie d'Italia è emblematica che nel sistema capitalista il governo è un "comitato d'affari" al servizio dei padroni.
Che succederebbe, infatti, se lo Stato passasse, anche anticipando i tempi, in maggjoranza nella società "Acciaierie d'Italia"? (un passaggio tanto auspicato dai sindacati confederali, dall'Usb):
il governo prima salirebbe al 60%, ma sarebbe solo momentaneo, perchè poi cederebbe il 20% a imprenditori privati del settore - quello che vorrebbe il presidente della Federacciai, Gozzi, come abbiamo scritto nel depliand diffuso ad Acciaierie Taranto giovedì scorso -, ma su questo 20% ArcelorMittal avrebbe il potere di dire SI o NO a un nuovo socio e potrebbe esercitare una propria opzione, che, QUINDI, LO FAREBBE TORNARE IN MAGGIORANZA! Sembra una sorta di "gioco dell'oca" in cui si torna sempre alla casella di partenza.
Un "gioco" vecchio del capitale, del padrone più forte tra i padroni, e sempre attuale. Il governo mette soldi (pubblici) i padroni comandano e incassano il profitto.
In tutto questo aumentando lo sfruttamento degli operai e tagliando sui 3mila posti di lavoro.
Questi incontri cosiddetti "segreti" tra Mittal e governo confermano ampiamente quello che ha sempre detto lo Slai cobas, contro ogni illusione diffusa dai sindacati confederali e da Usb tra gli operai: o pubblico o privato l'attacco alle condizioni di lavoro e ai diritti è sempre uguale.
Da Sole 24 ore del 26/5
Sull’ex Ilva, oggi Acciaierie d’Italia, torna tutto in discussione. Un incontro riservato che si è svolto nelle scorse settimane tra il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, e la famiglia Mittal, proprietaria di ArcelorMittal, socio privato con il 62%, ha riaperto lo scenario dello Stato che passa in anticipo in maggioranza nel capitale della società.
Il ministro delle Imprese e del made in Italy (Mimit) ha battuto ancora una volta sulla necessità di smuovere l’azienda, in cui il socio pubblico Invitalia detiene il 38%, da una situazione che viene considerata sempre più, pericolosamente, di stallo. Per accelerare il piano di investimenti aziendali, ma anche per non rischiare contraccolpi indiretti su 1 miliardo di risorse per la decarbonizzazione prevista dal Pnrr, c’è l’intenzione di andare dal 38% al 60% prima della scadenza prevista dall’attuale contratto, cioè fine maggio 2024, rivedendo però contestualmente la governance. Lo strumento è la conversione in aumento di capitale dei 680 milioni di finanziamento stanziati con l’ennesimo decreto salva-Ilva approvato a inizio anno.
Ci sono però diverse variabili da tenere in considerazione, a partire dal dissequestro degli impianti finora negato dalla Procura di Taranto ma che potrebbe essere sbloccato come conseguenza dell’articolo 6 del decreto salva-Ilva (che ha introdotto lo scudo penale - ndr)
Il piano del ministero delle Imprese si articolerebbe in due fasi e lo schema è piuttosto complicato:
il governo potrebbe prima salire al 60% poi, in un momento successivo, cedere il 20% a imprenditori privati del settore (circolano da tempo i nomi di Arvedi e l’opzione di un consorzio di altri acciaieri italiani). Su questo 20%, tuttavia, ArcelorMittal potrebbe esercitare un’opzione che di fatto la riporterebbe in maggioranza nel caso in cui il nuovo socio non fosse di gradimento.
Il riassetto anticipato comporterebbe a carico del socio pubblico un esborso di 2-3 miliardi"
Occupazione delle terre in Puglia - Massimo appoggio - Ma che non sia una azione puramente dimostrativa
Comunicato sull’occupazione delle terre in Puglia
Un centinaio di braccianti migranti del cosiddetto insediamento informale di Torretta Antonacci, nel Foggiano, hanno partecipato allo sciopero nazionale indetto dall’Unione Sindacale di Base dando vita a un’occupazione delle terre, nella tradizione delle lotte contadine organizzate nel Novecento da Giuseppe Di Vittorio.
I braccianti con un trattore, zappe e altri attrezzi da lavoro hanno ripulito e arato la particella 134 del foglio 144 nel comune di San Severo, di proprietà dell’Ente per lo Sviluppo dell’Irrigazione e la Trasformazione Fondiaria in Puglia, Lucania ed Irpinia, di cui i lavoratori rivendicano l’autogestione per valorizzare la terra e garantirsi un lavoro fuori e contro lo sfruttamento e il caporalato: si tratta di alcuni ettari di terreno incolto di proprietà pubblica lasciato per anni all’incuria e all’abbandono, uno schiaffo alla miseria per chi è costretto a poche decine di metri a vivere in condizioni fatiscenti, in baracche senza i servizi minimi fondamentali e sottostare al ricatto continuo della precarietà e del lavoro nero.
Chiediamo alla Regione Puglia l’assegnazione di questi terreni e l’accesso alla rete irrigua per avviare immediatamente la semina e la produzione ortofrutticola.
Nel corso dei lavori di aratura, oggi alle ore 15 sarà simbolicamente piantato il primo seme di pomodoro nel corso di una conferenza stampa in cui i braccianti presenteranno il progetto di autogestione delle terre occupate.
Affidare le terre pubbliche abbandonate ai braccianti è un modo per garantire loro un reddito sicuro a fronte dei bassissimi salari e del “furto” delle giornate lavorative, ed è un fortissimo segnale su un tema salito alla ribalta con la tragica alluvione in Romagna.
Acciaierie - INFO da Genova - Anche a Cornigliano aumento della cigs e sospensione ferie estive
Ad uguale situazione ci deve essere uguale lotta da Genova a Taranto, chi pensa di salvarsi da solo si illude o inganna gli operai.
Chi, come il presidente della Regione Toti, vuole mettere in contrapposizione Genova e Taranto, è un criminale: così gli operai perdono sia a Genova che a Taranto e si fa solo il gioco di Arcelor/Mittal.
GENOVA - Giornate complicate nello stabilimento ex Ilva di Cornigliano dove l'Rsu ha convocato un'assemblea dei lavoratori per lunedì prossimo, 29 maggio, alle 8, di fronte ai cancelli della fabbrica. Da quello che si apprende l'azienda ha aumentato le ore di cassa integrazione e parallelamente ha sospeso, per il momento, la concessione delle ferie estive.
Dopo un breve sciopero, i lavoratori hanno deciso di incrociare le braccia lunedì, con possibile annessa manifestazione nel ponente della città. L'Rsu denunciano inoltre che gli impianti "continuano a essere fermi in attesa di pezzi di ricambio e di materiale da lavorare", e tutto questo genera ulteriore cassa integrazione.
Sull'argomento è intervenuto anche il presidente di Regione Liguria Giovanni Toti: "Noi abbiamo partecipato all'ultima riunione al ministero dello Sviluppo economico durante la quale Acciaierie d'Italia ha presentato un piano industriale ambizioso che doveva riportare l'acciaio a propulsioni maggiori di queste su Taranto, e di conseguenza anche a un nuovo sviluppo delle attività sullo stabilimento di Genova".
Nel frattempo, hanno spiegato le Rsu, la cassa integrazione è iniziata a crescere anche nei reparti come quello della manutenzione, "indispensabili per gestire l'attività degli impianti in questa cronica carenza di ricambi e manutenzioni". "Gli impianti cadono a pezzi e si fermano gravando sui nostri salari e sulla sicurezza. Così non possiamo più stare"
“In un incontro con la direzione del personale solo pochi giorni fa ci era stata comunicata la ripartenza dell’altoforno a Taranto e che ciò avrebbe previsto, secondo logica, una progressiva ripartenza degli impianti a valle e un miglioramento, già in atto ad aprile, dell’incidenza della cassa integrazione – scrive la Rsu -. Da circa una settimana non è più così. La cassa integrazione è iniziata a lievitare, anche in quei reparti che sono indispensabili per gestire l’attività degli impianti in questa cronica carenza di ricambi e manutenzione. Di fatto, mentre gli impianti cadono a pezzi, la poca manutenzione viene pagata coi soldi risparmiati attraverso le nostre casse integrazioni. Le fermate degli impianti si stanno moltiplicando di giorno in giorno, gravando sui nostri salari e sulla nostra sicurezza“.
Ultima goccia, lo stop alle ferie. “Con le ferie è stato toccato un nervo sensibile – spiega Armando Palombo, coordinatore della Rsu per la Fiom Cgil -. La comunicazione è arrivata in maniera anomala, non c’è nulla di scritto. È sempre stata consuetudine programmarle tra il 15 giugno e il 15 settembre”.
Proprio nei giorni scorsi i responsabili della sicurezza segnalavano in una lettera a Prefettura e Asl che “i mezzi in dotazione al servizio antincendio sono fermi: due camion autopompe, una jeep allestita a schiumogeno, un carrello torre fari per gli interventi notturni o in scarsità di luce. Di conseguenza gli operatori del servizio di vigilanza anti incendio sono costretti a spostarsi con un furgoncino passeggeri sprovvisto di pianale per portare attrezzature al seguito. Di fronte a questa schizofrenica ed incomprensibile gestione della manutenzione e del personale, si sta di fatto perdendo il controllo della sicurezza in stabilimento e questo è intollerabile ed inaccettabile“.
A Genova, secondo le stime dei sindacati, la cassa integrazione salirà dagli attuali 114 lavoratori fino a raddoppiare.
Dal presidio degli operai ex Pasquinelli: la lotta deve continuare
Nessun risultato giovedì scorso nell'incontro con assessori del Comune. Gli operai ex pasquinelli sono di fatto "ostaggio" di una querelle tra Comune e Presidente dell'Amiu.
MA IL LAVORO DEVE RIPRENDERE!
Una intervista fatta dallo Slai cobas a 2 operai
https://drive.google.com/file/d/1tTWBm0gpulK_Hp33ZSawuEF-du-jsfQS/view?usp=sharing
venerdì 26 maggio 2023
Un altro nuovo anno di cassintegrazione ad Acciaierie, con la spada di Damocle degli esuberi: c'è una sola risposta: lo sciopero
Da Corriere di Taranto:
"Acciaierie d’Italia ha inoltrato al ministero del Lavoro e al ministero delle Imprese e del Made in Italy, la richiesta per attivare la cassa integrazione in deroga dal 20 giugno prossimo al 19 giugno del 2024 o in subordine sino a tutto il 31 dicembre prossimo. I dipendenti interessati sono 2.500 come numero massimo: 2.010 operai, 286 tra impiegati e quadri e 204 intermedi.
A fine marzo infatti, Acciaierie d’Italia raggiunse al ministero del Lavoro un accordo con le sigle sindacali Fim Cisl, Fiom Cgil, Ugl e Fismic per il rinnovo della cassa straordinaria sino a marzo 2024 per 3.000 dipendenti del gruppo. Uilm e Usb non firmarono invece l’accordo. L’intesa ha la durata di un anno per tutti i siti dell’ex Ilva, tra cui
Genova Cornigliano, Racconigi e Novi Ligure, escluso però quello di
Taranto, dove l’attuale copertura è assicurata sino al 19 giugno
prossimo. Questo perché il sito pugliese ha già esaurito le
disponibilità dell’ammortizzatore sociale e quindi da metà giugno in poi
servirà trovare una nuova copertura, altrimenti questo potrebbe
comportare il rischio concreto di esuberi strutturali..."
"...Nella documentazione inviata ai ministeri... l’azienda
scrive che “l’oggettiva complessità e rilevanza industriale e
finanziaria degli interventi e degli investimenti avviati e programmati
per il sito di Taranto e i fattori congiunturali sopravvenuti, rendono
necessaria la richiesta di proroga in deroga dell’intervento... Detta proroga, peraltro, quale strumento di sostegno al
complessivo piano in essere, consentirà di evitare l’emergere di esuberi
strutturali in ragione della prospettiva di riallocazione del personale
in organico a valle della riorganizzazione e del conseguente incremento
dei livelli produttivi..."
Corresponsabili sono Fim e Fiom di questa ulteriore cassintegrazione. L'accordo separato su questo non lasciava equivoci.
Cosa faranno ora Uilm e Usb che non hanno firmato l'accordo?
Nel depliand difuso ieri dallo Slai cobas alle portinerie di Acciaierie era scritto: "
"...Ad Acciaierie è stato firmato un accordo separato con padroni e governo da sindacati da sempre collaterali all’azienda come la Fim e dai neo collaborazionisti della Fiom che continuano a spacciare come grande risultato per i lavoratori l’accordo bidone, e sono costretti ogni giorno a giustificarsi dicendo che va tutto meglio in termini di soldi, garanzie, rotazione, quando invece va tutto peggio.
Gli operai sono in cassintegrazione in un numero variabile secondo le esigenze di pura flessibilità e di uso degli operai, dentro i numeri imposti dall’azienda in modo unilaterale. Operai che non prendono un centesimo di integrazione, per una cassintegrazione che contiene già i numeri dei futuri esuberi...
Così, si rimette in movimento l’Altoforno, e sarebbe anche una buona notizia, ma la cosa incide quasi nulla sui numeri della cigs. Anzi, Acciaierie aumenta il ricorso alla cassintegrazione straordinaria.
Giustamente, sottolineano i sindacati non firmatari dell’accordo, e lo aveva scritto più chiaramente lo Slai cobas, non solo era un accordo bidone, ma non è stato neanche rispettato dall’azienda, come sempre fatto...
...In altre fabbriche di fronte ai problemi anche di un singolo reparto, gli altri reparti si fermano, si sciopera - vedi quello che succede a Pomigliano in questi ultimi giorni. A Taranto invece si fanno denunce sui giornali.
Hanno ragione tanti operai che quando diciamo queste cose ci dicono che il “sindacato non c’è”. Ma noi diciamo che invece c’è, eccome, e il voto alle Rsu dimostra che c’è e ottiene consensi non indifferenti. Però non è il sindacato di classe e di massa in mano agli operai, che lotta e porta risultati a casa e che costruisce, attraverso la lotta, le assemblee, lo scontro, condizioni migliori per mettere in discussione tutto il piano di padroni e governo che riguarda il futuro della fabbrica, e nel nostro caso la più grande fabbrica in Italia e una delle grandi fabbriche in Europa, in una città che per il costo che ha pagato avrebbe bisogno non delle carità pietosa e di promesse future che ogni dieci anni ci fanno, salvo poi trovarci al rinnovo di esse alla fine di ogni decennio.
Noi consideriamo la zona industriale di Acciaierie e appalto una prateria che contiene tutte le contraddizioni del sistema capitalista, dello scontro tra padroni e classe operaia, tra classe e Stato del capitale. E pensiamo che questa prateria ha bisogno di una scintilla che l’accenda. E per questo lavoriamo quotidianamente, facciamo parole e scritti fondati sui fatti e i fatti ci danno ragione. Ma sappiamo bene che nella lotta di classe tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Ma il “mare armato” della coscienza di classe e dell’organizzazione di classe è l’arma invincibile dei lavoratori. E questa arma prima o poi deve essere impugnata".
giovedì 25 maggio 2023
martedì 23 maggio 2023
In Puglia il prossimo Vertice G7 del 2024... Li accoglieremo bene...!
Sul vertice in Giappone leggi sul blog proletari comunisti l'intero intervento per "ORE 12":
https://proletaricomunisti.blogspot.com/2023/05/pc-23-maggio-il-g7-in-giappone-unaltra.html
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STRALCIO DALL'INTERVENTO SUL VERTICE G7 FATTO OPER "ORE 12" CONTROINFORMAZIONE ROSSOPERAIA:
"...l'Italia ha portato a casa qualcos'altro: in un quadro generale di dove si tengono i vertici, il vertice prossimo si terrà in Italia. La Meloni e la sua stampa si sono affrettati a dichiarare che il prossimo vertice si terrà in Puglia.
Solidarietà con le popolazioni alluvionate
Lo Slai cobas invita i lavoratori a partecipare e sostenere la raccolta solidale con le popolazioni alluvionate dell’Emilia Romagna promossa dai giovani lavoratori e studenti della Fgc Taranto.
In seguito indicazioni pratiche.
A proposito dello sciopero nazionale del 26 maggio indetto dall'Usb
Salario minimo, aumenti in busta paga e stipendi legati
all'inflazione reale sono alcuni dei punti che condividiamo.
Noi siamo più favorevoli a una iniziativa (anche regionale) a TA in quella giornata,
Sentiamoci. Potremmo anche incontrarci nei prossimi giorni da voi a Talsano.
venerdì 19 maggio 2023
Acciaierie: più cassintegrazione, più produzione meno occupazione
Ma questa, come ha sempre denunciato e sollecitato alla lotta lo Slai cobas, è la politica non nuova di Acciaierie d'Italia, che vuole ridurre i costi e aumentare i profitti; una politica che finora non ha trovato seri ostacoli, se non due scioperi dell'anno scorso a distanza di 6 mesi l'uno dall'altro. Per il resto da parte dei sindacati in fabbrica solo lamentale e peggio accordi, come l'ultimo separato, che hanno dato ampio credito all'azienda, quando era chiaro anche allora che la cassintegrazione sarebbe aumentata e i numeri indicati sono quelli dei futuri esuberi.
Quindi chi dovrebbe guardarsi allo specchio e darsi schiaffi in faccia sono in primis Fim e Fiom (non parliamo degli altri piccoli sindacati firmatari dell'accordo separato che chiamarli "sindacati" è una menzogna, quando sono dei "fiduciari" dell'azienda), che, però, invece di ammettere la "stronzata fatta" dicono:
La Fiom: “Nella giornata di ieri i massimi livelli di Acciaierie d’Italia hanno comunicato un forte aumento del ricorso alla CIGS. Si tratta di una decisione assolutamente in disaccordo con la situazione produttiva di Acciaierie d’Italia e con quanto comunicato negli incontri di monitoraggio appena due giorni fa, quando era stata formalizzata la ripartenza di Afo2 a Taranto ed erano state annunciate ricadute positive sugli impianti e sui lavoratori. Peraltro, a conferma della situazione paradossale, non più tardi dello scorso mese l’azienda aveva annunciato l’arrivo di 60 milioni di nuovi ordini con la conseguente riduzione di 500 unità in CIGS. Assistiamo ancora una volta ad una totale mancanza di coerenza e trasparenza nelle scelte aziendali".
Ancora Brigati/Fiom: “Il metodo Morselli è ormai obsoleto e alla lunga non ha più nemmeno l’effetto sorpresa. Quanto avvenuto con l’aumento indiscriminato della cassa integrazione è il solito metodo utilizzato dall’Amministratore Delegato di ArcelorMittal con cui prova a destabilizzare, ancora una volta, i lavoratori..."
La Fim: “Dopo una fase successiva alla firma dell’accordo sulla Cigs, abbiamo registrato un cambio di passo nelle relazioni industriali che facevano da apripista al dialogo sui temi del lavoro, ma a pochi giorni dalla ripartenza di Afo2, i lavoratori tornano ostaggio di una gestione fuori controllo. Invece di diminuire i numeri dei cassintegrati con la risalita della produzione, li aumenta e questo senza nemmeno avvisare i lavoratori e le organizzazioni sindacali...".
Allora, o questi sindacati sono stupidi o, ed è la realta', sono dei "vendioperai", andati di corsa dietro la politica della Morselli; questi hanno riempito di dichiarazioni positive sull'accordo pagine di giornali, hanno fatto assemblee in fabbrica per giustificare la giustezza e la bellezza di quell'accordo, dando piena fiducia alla Morselli e tenere addormentati i lavoratori, e ora? Si arrampicano sugli specchi, invece di, come minimo, cancellare la firma dell'accordo separato e chiamare i lavoratori alla mobilitazione. Ma questo neanche in questa occasione lo fanno. Il massimo è sempre e solo chiedere l'intervento del Governo (che come tutti sanno è gia' dentro Acciaierie d'Italia ed è parte in causa delle decisioni aziendali)
Ma purtroppo su cosa fare a fronte di questo aumento della cassintegrazione che portera', con l'aumento dell'attivita' produttiva, un incremento del carico di lavoro, dello straordinario per chi resta in fabbrica, mentre migliaia di operai continueranno stare fuori e a prendere 800/900 euro di stipendio, anche da parte della Uilm la risposta è sempre il Tavolo con il governo, cosi' come la annosa e generica richiesta di "piano industriale" che tutto dovrebbe risolvere (quando l'azienda il suo piano industriale lo sta gia' mettendo in atto).
La Uilm: "Le denunce che avevamo manifestato nella mancata sottoscrizione dell’accordo di Cigs dello scorso marzo si stanno trasformando in realtà... Chiediamo al Governo di intervenire tempestivamente e in maniera definitiva per evitare una pericolosa deriva... Solo un piano industriale, con una diversa governance e un impegno concreto del Governo può dare la certezza di un rilancio industriale, ambientale e sociale vero all’ex Ilva.
A questo punto sono gli operai che dovrebbero farsi sentire e fermarsi. Bisogna fare come gli operai della Stellantis di Pomigliano, che da loro hanno deciso di scendere in sciopero, senza aspettare indicazioni dei sindacati confederali.
Solidarieta' alle famiglie. Ritirare la decisione di aumentare le rette degli asili nido!
Le lavoratrici e lavoratori Slai cobas dell'ausiliariato/pulizie degli asili nido che sono in lotta da tempo per le loro condizioni misere di lavoro e salariali, esprimono tutta la loro vicinanza e solidarieta' alle famiglie dei bambini frequentanti gli asili che denunciano gli assurdi aumenti delle rette, fino a 341%!
Nei giorni scorsi appena avuta notizia abbiamo detto, diffondendo anche un nostro comunicato ai genitori nei vari asili, che questa era una grave decisione da parte del Comune.
Le tariffe degli asili attuali sono gia' pesanti per le famiglie (il primo scaglione tariffario è di ben 230 euro mensili). E oggi a fronte di un carovita che pesa sulle famiglie dei bambini, di condizioni di lavoro spesso sempre più in crisi, di cassintegrazione, appare veramente inaccettabile questo aumento.
E la risposta data nei giorni scorsi sulla stampa dal Sindaco Melucci: "grazie ai bonus Inps, gli aventi diritto potranno usufruire di risorse che, nel caso degli Isee più bassi, copriranno per intero i costi del servizio", è altrettanto da respingere. Vale a dire, le famiglie intanto dovrebbero pagano gli aumenti, poi, se e quando avranno diritto (non tutte), potranno avere il bonus dall'Inps, bonus che, quindi, non è più neanche una misera boccata di ossigeno per i redditi delle famiglie, ma sarebbe gia' "mangiato" dalle rette comunali.
Come abbiamo denunciato nella presa di posizione dei giorni scorsi, negli asili gli unici aumenti che non vengono decisi sono quelli delle ore e del salario misero delle lavoratrici e lavoratori dell'ausiliariato e pulizie, che da anni stanno a 3 ore al giorno e con un salario di 400 euro; lavoratrici che garantiscono quotidianamente col loro lavoro la gestione degli asili e soprattutto l'igiene e la salute dei bambini e che senza il loro lavoro gli asili chiuderebbero.
Noi, nelle scorse settimane, in occasione dello stato di agitazione per la nostra condizione di lavoro, abbiamo chiesto ai genitori di appoggiare la nostra lotta, oggi nel dare il nostro sostegno alla protesta delle famiglie, pensiamo che sia quanto mai necessario unire le nostre forze. Per questo proponiamo una iniziativa comune verso l'amministrazione comunale nei prossimi giorni.
QUESTI AUMENTI NON DEVONO PASSARE!
MIGLIORARE LE CONDIZIONI DI LAVORO DELLE LAVORATRICI AUSILIARIE PER MIGLIORARE L'ASSISTENZA DEI BAMBINI!
giovedì 18 maggio 2023
Asili: incontro Azienda/Slai cobas e Usb
Ancora non ci siamo! Le proposte portate
dall'azienda sono insufficienti:
Le ferie monetizzate, come abbiamo scritto, non costituiscono un incremento
salariale.
Il premio legato alle presenze, può essere un'aggiunta, ma non
esaurisce affatto le nostre richieste.
Noi vogliamo un aumento salariale certo e uguale per tutti. Le
affermazioni dell'azienda di non avere soldi, di non trarre utili da
questo appalto non possono essere scaricate sui lavoratori, al di la' del fatto che non sono
verificabili, e che comunque l'azienda in questi anni ha risparmiato, non applicando tutto ciò che lo stesso contratto d'appalto
prevede.
Su questo dobbiamo insistere e avere dei risultati nella riunione del 25. In mancanza, la mobilitazione deve continuare!
VERBALE DELL’INCONTRO SINDACALE TRA SERVIZI INTEGRATI SRL
E SLAI COBAS E USB del 16 maggio 2023
All’incontro sono presenti il rappresentante della Ditta Servizi Integrati srl, Daniele Pranzo, con l’avv. Gigante, e i responsabili sindacali, Francesco Marchese dell’Usb Lavoro privato e Margherita Calderazzi Slai cobas per il sindacato di classe, insieme ad una delegazione di lavoratrici e lavoratori degli asili.
L’incontro ha all’OdG soprattutto la richiesta delle OO.SS. di incrementi salariali, gia’ comunicata alla Ditta.
La Ditta Servizi Integrati ha comunicato le sue proposte:
1) Monetizzazione, attraverso una transazione sindacale, del monte ore di ferie, Rol, ex festivita’ soppresse maturate da ogni lavoratrice e lavoratore dall’inizio dell’appalto a tutto aprile 2023; l’importo che verrebbe corrisposto sarebbe di 7 euro nette all’ora (superiore pertanto a quanto viene normalmente al netto la retribuzione oraria lorda, detratti contributi e Irpef); a tale proposito la Ditta ha redatto un elenco del monte ore di ogni lavoratore, precisando che tale transazione sarebbe volontaria di ogni lavoratore, anche sul numero di ore per ferie, Rol, ex festivita’ da monetizzare;
2) Un premio legato alle presenze, che per Servizi Integrati ha lo scopo principale di ridurre l’assenteismo, che sarebbe del 25%, più alto rispetto ad altre realta’ nazionali.
Entrambe le corresponsioni verrebbero fatte ad agosto, in modo da coprire parzialmente un mese di sospensione estiva.
Oltre tali proposte, Pranzo Daniele ha comunicato che la Ditta non è disponibile a corrispondere altre voci salariali, atteso che la stessa Ditta non ricava alcun utile dall’appalto in corso; ed eventuali estensioni del servizio e dell’orario sono di competenza del Comune, con cui anche da parte di Servizi Integrati sono in corso interlocuzioni in questo senso.
I responsabili dello Slai cobas e Usb, pur prendendo atto delle due proposte della Servizi Integrati srl e per quanto riguarda la prima hanno chiesto di avere i conteggi individuali fatti dalla ditta per ferie, rol, ex festivita’ per dare modo alle lavoratrici e lavoratori di verificarli; evidenziando come in tutti questi anni non si è mai realizzata una contrattazione di secondo livello, nonostante un CCNL fermo dal 2011, hanno detto:
- la prima proposta non è un incremento salariale, ma una monetizzazione di un diritto gia’ dei lavoratori, e pur considerando la differenza tra lordo e netto, col pagamento di 7 euro, questo non costituirebbe, comunque, un minimo aumento retributivo uguale per tutti i lavoratori, tenendo conto tra l’altro, che alcuni hanno poche F/R/exF o avrebbero necessita’ di conservarle per bisogni personali;
- per quanto riguarda il premio legato alle presenze (su questo in particolare le lavoratrici presenti all’incontro, nel ritenere eccessiva la percentuale di assenteismo dichiarata dalla ditta hanno evidenziato la realta’ di una platea di lavoratrici non giovane, che anche per le condizioni di lavoro svolto da 30 anni, hanno nella maggiorparte problemi di salute, anche permanenti, benchè nonostante questo garantiscano la propria presenza sul lavoro), Slai cobas e Usb hanno sottolineato come anche questo strumento non costituisce un incremento retributivo uguale per tutti:
il salario base è rimasto da troppi anni molto basso ed è su questo che si chiede un aumento uguale per tutti.
Pertanto le OO.SS. hanno formulato le seguenti proposte:
1) un aumento della retribuzione oraria;
2) in alternativa una tantum (anche sganciata da contributi e tasse) di 300 euro;
3) l’introduzione di un “buono pasto”.
Inoltre, Slai cobas e Usb, al fine di un parziale recupero di giornate e ore lavorative hanno chiesto che:
- le interruzioni brevi almeno fino a tre giorni di sospensione (ponti festivita’, ecc) siano sempre lavorate;
- l’effettuazione di attivita’ lavorative nei pomeriggi del martedi’ e giovedi’ dove si svolgono attivita’
La ditta, ribadendo la posizione aziendale di mancanza di liquidita’, si è riservata di sentire in merito alle proposte sindacali la Direzione di Servizi Integrati; mentre ha dato una disponibilita’ per l’attivita’ lavorativa nelle interruzioni brevi e nei pomeriggi.
Per quanto sopra le parti si sono date un nuovo appuntamento per il 25 maggio ore 15.
mercoledì 17 maggio 2023
verso la manifestazione del 2 giugno - appuntamento il 22 maggio ore 18 sede slai cobas siete invitati info wa 3519575628
L’Italia partecipa in forme dirette o indirette alla guerra in ucraina come parte dell’alleanza Nato/Usa e con numerose missioni, dall’indo pacifico, ai Balcani, al Mediterraneo, delle forze armate e Marina italiana.
La base principale di tali missioni è Taranto e lo Jonio che si appresta a diventare Comando Nato - insieme ad Amendola, Gioia del colle, Brindisi - con presenza passaggio armi nucleari, f35, ecc - f35 che possono muoversi con l’appoggio delle portaerei Garibaldi/Cavour - la cui base è Taranto.
A Taranto stazionano e stringono legami di affari ed economici Israele e Turchia - massacratori di palestinesi e curdi. La solidarietà a questi popoli non consiste nel parlare ogni tanto di Palestina/Kurdi Rojava e intanto non fare nulla nei confronti di Israele e Turchia le cui forze armate partecipano a Taranto a manovre. A Taranto la Marina occupa territori e spazi e si considera, grazie ad amministrazioni comunali compiacenti, Confindustria e stampa, tv locali, padrona, e ci trasforma in città sempre più militarizzata, cosi' come mette mani all’economia di guerra che ha nella Leonardo di Grottaglie la più grande industria multinazionale della guerra che fa alti profitti. E la lista potrebbe essere lunga...
Ma su tutto questo tranne noi nessuno dice nulla,
Per tutto questo è necessaria una manifestazione il 2 giugno quando anche a Taranto, in nome della festa della Repubblica, autorità civili e militari celebreranno la Repubblica all’insegna di militarismo, imperialismo, nazionalismo, con il peggior governo degli ultimi anni su questo.
martedì 16 maggio 2023
2 giugno - Festa della Repubblica - Quale Repubblica?
No alla Repubblica/Stato/Governo della guerra, della militarizzazione e dell'aumento delle spese militari
del carovita, dei morti sul lavoro e da lavoro, della mancanza di lavoro reddito salute
ci vediamo in via Livio Andronico 47 Taranto - sede Slaicobas sc
ore 18.30 22 maggio
Riunione aperta a tutti info wa 3519575628
lunedì 15 maggio 2023
Decreto lavoro, ennesimo regalo alle imprese. Un contributo
Di Simone Fana
Il 5 maggio è entrato in vigore il decreto lavoro varato dal governo Meloni, che nelle intenzioni dell’esecutivo dovrebbe rappresentare uno spartiacque nella storia recente del paese. Il provvedimento interviene su svariate materie: dai contratti a termine alla riduzione del cuneo contributivo per passare all’estensione dei voucher e alla cancellazione del Reddito di cittadinanza, sostituito da nuovi strumenti di contrasto alla povertà.
La scelta di inaugurare il decreto lavoro proprio il primo maggio testimonia la volontà della premier di polemizzare con i sindacati, usando i nuovi mezzi di comunicazione per contrapporre il produttivismo del governo alla lentezza delle organizzazioni dei lavoratori. In questo scenario, la seduta del Consiglio dei Ministri si è trasformata per l’occorrenza in un reality, aperto dalla campanella suonata da Giorgia Meloni, quasi a testimoniare l’esistenza di due paesi: l’uno dedito a risolvere i problemi dell’Italia, l’altro rivolto a bighellonare in piazza.
Nonostante il forte investimento simbolico, il decreto sembra però un coacervo di misure già viste, i cui effetti sono stati fallimentari per le classi lavoratrici e per l’economia nel suo complesso.
Riduzione del cuneo contributivo e abolizione del Reddito di Cittadinanza
Entrando nel dettaglio non si registra alcuna novità rispetto all’impianto ideologico che ha ispirato le politiche del lavoro nell’ultimo trentennio, a partire dal provvedimento principe: la riduzione del cuneo contributivo. Nelle parole di Giorgia Meloni si tratterebbe di un provvedimento «storico» per proporzioni e per platea di beneficiari. In realtà, la riduzione della pressione fiscale e contributiva si inserisce in una traiettoria di lungo periodo, che ha visto succedersi governi di diversa collocazione politica, dal secondo governo Prodi (anno 2007) al governo Renzi per passare all’ultimo esecutivo guidato da Mario Draghi con effetti nulli sui redditi dei lavoratori e delle lavoratrici. Inoltre, la somma stanziata dal governo Meloni, 4 miliardi circa, è inferiore a quella mobilitata dai suoi predecessori (il costo annuo degli 80 euro di Renzi era di 10 miliardi, mentre il provvedimento del governo Draghi costò tra i 7-8 miliardi) e ha una prospettiva temporale limitata da luglio a dicembre di quest’anno. Basterebbe questo per ridimensionare la portata del provvedimento. Tuttavia, il punto dirimente consiste nella natura di una misura che verrà finanziata, da una parte, attraverso i tagli al welfare (la cancellazione del Reddito di cittadinanza) e dall’altra dalla fiscalità generale, ovvero dalle tasse degli stessi lavoratori e lavoratrici. Infatti, i contributi che non verranno versati dai lavoratori e dalle lavoratrici nelle casse dello Stato non saranno deducibili dal reddito dichiarato, dunque contribuiranno ad aumentare la base imponibile e quindi l’Irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche). Tra le più classiche partite di giro.
La riduzione del cuneo contributivo va letta in relazione all’altro cavallo di battaglia del governo: l’abolizione del Reddito di cittadinanza. Il provvedimento simbolo del Movimento Cinque Stelle – che durante la pandemia, secondo i dati di Istat e Banca d’Italia, ha consentito a un milione di persone di non sprofondare nella povertà assoluta – viene superato da una misura che crea una discriminazione tra i soggetti in condizione di povertà assoluta. Il Reddito di cittadinanza non esisterà più per gli «occupabili», soggetti di età compresa dai 18 ai 59 anni che pur versando in condizione di povertà assoluta non hanno minori, anziani o disabili a carico, e secondo le stime ufficiali rappresentano un quarto dei percettori del Reddito di cittadinanza, circa 615 mila persone. Per loro il governo ha pensato a uno strumento per il lavoro, che consiste in un’indennità di appena 350 euro con una durata massima di 12 mesi e legata all’obbligo di frequenza a percorsi formativi. Per cui, se un beneficiario partecipa a un corso di formazione di due mesi, la durata dell’assegno sarà di soli due mesi. Inoltre, viene confermato l’obbligo di accettare qualsiasi offerta di lavoro su tutto il territorio nazionale. Per i nuclei familiari con minori, anziani o disabili l’assegno ammonta a 500 euro con una durata di 18 mesi e possibilità di proroga di un anno.
In breve, il governo distingue i beneficiari in «meritevoli e non», arrogandosi il diritto di stabilire i confini tra chi è povero per necessità e chi è povero per scelta. Un giudizio ideologico, che esula da qualsiasi valutazione delle traiettorie di vita, dei contesti socio-educativi, della domanda di lavoro pubblica e privata, ma ambisce a identificare la povertà come esito di una responsabilità individuale. Il messaggio, neanche troppo velato, lega la disoccupazione a una scelta personale, negando il condizionamento di fattori di contesto nella determinazione del fenomeno. Ed è questa impostazione ideologica che giustifica lo smantellamento di un sistema di protezione sociale universale, giudicato come un costo che disincentiva la ricerca attiva del lavoro o nella lingua neoliberale l’attivazione (individuale) al lavoro.
Se il welfare viene trasformato da diritto universale a sistema «premiale», categoriale, che garantisce solo i meritevoli, anche il salario smette di essere un diritto da rivendicare, come corrispettivo di una prestazione lavorativa, per diventare una concessione che lo Stato eroga in sostituzione delle imprese. Riduzione del cuneo contributivo e erosione del sistema welfaristico diventano due facce della stessa medaglia e non semplicemente per ragioni contabili (la riduzione del cuneo è finanziato anche dalla cancellazione del Reddito di cittadinanza), ma per precise motivazioni politiche e ideologiche. L’obiettivo del governo consiste nello scardinare i legami di solidarietà che accomunano il destino di chi lavora, spesso con salari da fame, e di chi vive ai margini della società. Viene colpito il Reddito di cittadinanza per la funzione assolta nel mercato del lavoro: garantire un salario di riserva contro fenomeni di iper-sfruttamento che investono larghi settori del mercato del lavoro. In assenza di forme di salario minimo, in grado di tutelare contro gli abusi dei salari da fame, il Reddito ha rappresentato l’ultima risorsa contro l’impoverimento e la precarietà del lavoro. La sua cancellazione scarica il rischio dalle imprese alle classi lavoratrici, che non potranno più contare su un terreno di tutele universali e si troveranno a competere in un contesto segnato da salari da fame e instabilità lavorativa.
Un decreto per le imprese
A giovarsi di queste misure sono le imprese, che non saranno più incentivate ad aumentare i salari e verranno esonerate da qualsiasi impegno nel rinnovo dei contratti collettivi di lavoro. Un ulteriore regalo, in un quadro in cui circa sette milioni di lavoratori e di lavoratrici hanno contratti scaduti e quelli rinnovati scontano una dinamica salariale che non riesce neanche minimamente ad attutire l’impennata dei prezzi. Inoltre, vengono rafforzati i bonus per le aziende che assumono i beneficiari del supporto per il lavoro con esoneri contributivi (sconti sul versamento dei contributi) che passano dal 100% nell’ipotesi di rapporti di lavoro a tempo indeterminato sino al 50% per i contratti a termine. Una vera e propria redistribuzione del reddito dal welfare e dai salari ai profitti e alle rendite.
Che il sistema delle imprese sia il principale destinatario dei provvedimenti del governo trova conferma dalle misure di intervento nel mercato del lavoro, in particolare dalle norme che liberalizzano i contratti a termine e da quelle che intervengono nell’estensione dei voucher. Il primo assegna alla contrattazione collettiva, e in sua assenza al contratto individuale, il compito di indicare le causali per i contratti di lavoro sino a 24 mesi, spostando la responsabilità di regolare la fattispecie contrattuale dalla legge (come nell’abolito decreto Dignità) all’autonomia delle parti sociali. Un modo per consentire alle imprese di far pesare la propria forza sul terreno più congeniale: la singola unità produttiva, limitando il potere contrattuale dei lavoratori e delle lavoratrici, che saranno costretti ad accettare lavori precari. Un tema che colpisce in prevalenza le giovani generazioni che rappresentano la categoria più colpita dalla diffusione dei contratti a termine. Il 34% degli under 35 ha un contratto a tempo determinato e più di due giovani su tre vivono ancora con i genitori a causa dell’instabilità lavorativa e reddituale. Un dato macroscopico che il governo ignora nella sua propaganda quotidiana sul tema della bassa natalità.
Il secondo provvedimento estende l’utilizzo dei voucher, incrementando da 10 mila a 15 mila euro annui i compensi per singolo lavoratore e eliminando i vincoli per le imprese. In particolare, nei settori legati al turismo cade il limite di assumere solo alcune categorie di prestatori: under 25 e pensionati. Da domani potranno essere assunti tutti con i buoni lavoro. Inoltre, potranno ricorrere ai voucher le imprese che occupano fino a 10 dipendenti (precedentemente era 8) e nei settori dei congressi, delle fiere, eventi e stabilimenti termali il limite viene esteso alle imprese con 25 dipendenti. Una vera e propria liberalizzazione della forma più odiosa di mercificazione del lavoro, che non lascia spazio a interpretazioni.
Due misure che assecondano le richieste delle imprese, specie nei settori a più alto tasso di sfruttamento e povertà lavorativa e che finiscono per costruire un sistema di garanzia a tutela del profitto. Ma se le imprese potranno ritenersi soddisfatte, la stessa cosa non può dirsi per le classi lavoratrici e per l’insieme del paese. Infatti, come è ormai noto e riconosciuto da istituzioni internazionali tutt’altro che inclini ad assecondare prospettive socialiste (il caso esemplare del Fmi) la flessibilizzazione dei rapporti di lavoro non ha avuto in passato alcun beneficio sulla produttività, ma ha invece avuto conseguenze negative sui salari. Insomma, l’Italia rischia di peggiorare il triste primato di maglia nera nei paesi Ocse per livello dei salari.
E l’opposizione naviga a vista
Molto dipenderà dalla capacità delle opposizioni di costruire un fronte comune per contrastare le politiche economiche e del lavoro del governo Meloni. Al momento, il quadro è tutt’altro che rassicurante e mai come oggi sembra mancare una capacità di mobilitazione politica all’altezza della sfida. Partiti e sindacati appaiono lontani da una presa di consapevolezza della gravità della fase.
Sul versante parlamentare il Partito democratico e il Movimento Cinque Stelle appaiono più orientati a contendersi la titolarità delle battaglie simbolo come quella sul salario minimo o la difesa del Reddito di cittadinanza, piuttosto che unire le forze per rappresentare i bisogni e le aspirazioni della gran parte del mondo del lavoro. Sembra, inoltre, mancare una lettura approfondita degli effetti dei provvedimenti appena approvati, a partire dal legame strettissimo tra crisi del welfare e povertà lavorativa. Il riferimento è al rapporto tra la riduzione del cuneo contributivo, l’abolizione del Reddito di cittadinanza e la crisi salariale. Sia il Partito democratico che recentemente il Movimento Cinque Stelle hanno insistito sulla necessità di ridurre le tasse e le imposte sul lavoro come elemento di sostegno della dinamica salariale. Una prospettiva che nasce da una cultura politica interclassista, che mira a conciliare interessi opposti in un’idea di società armonica e pacificata. In questa cornice, la riduzione del cuneo contributivo rappresenta il tentativo di tenere insieme crescita dei salari con la garanzia del profitto, neutralizzando il conflitto sociale come strumento di trasformazione dei rapporti di forza tra capitale e lavoro. Un tentativo che non fa i conti con l’esito della riduzione delle tasse e delle imposte sul lavoro, cioè la destrutturazione del welfare state, ossia della principale conquista delle classi lavoratrici.
Un discorso analogo riguarda le organizzazioni sindacali, che scontano negli ultimi decenni un arretramento della propria azione dal terreno salariale e distributivo a quello fiscale e redistributivo. Non è un caso che anche nelle piattaforme sindacali il tema della riduzione delle tasse sul lavoro abbia assunto un peso maggiore rispetto alla centralità della distribuzione primaria del reddito. Solo negli ultimi mesi la questione del salario minimo ha acquistato centralità nel dibattito dentro le organizzazioni sindacali. Tuttavia, le resistenze interne al fronte confederale sono esemplificate dall’assenza di una strategia comune di mobilitazione e da una scarsa chiarezza sugli obiettivi. Un ritardo che rischia di acuire la disillusione e la sfiducia verso la rappresentanza politica e sindacale, offrendo al governo un terreno propizio per consolidare il proprio consenso.