4 PARTE
MUCCHETTI: UOMO DEGLI INDUSTRIALI - PARLAMENTARE DEL PD
Non poteva mancare la voce "ultra autorevole" di Massimo Mucchetti, da sempre uomo degli
industriali, con qualche problema con la Fiat di Marchionne, per anni
editorialista di punta del Corriere della Sera e oggi parlamentare PD,
presidente della Commissione industria del Senato.
Mucchetti è pienamente
schierato perchè l'Ilva non si tocchi e utilizza ora anche i rinvii
a giudizio per tornare sulla sua tesi: “Premessa la piena fiducia
nel collegio giudicante, mi chiedo come sia possibile che la qualità
dell'aria di Taranto sia migliorata così poco con l'acciaieria a
scartamento ridotto. Ci sono altre fonti cospicue di inquinamento
atmosferico?”.
Poi si dilunga sulle cifre
necessarie e disponibili, sui risanamenti, mancati investimenti che
hanno tutte lo scopo per dire che l'azione dei giudici è “piena di
errori materiali sul piano contabile”.
Si occupa quindi dei
parchi minerali, anche qui per mettere in dubbio i costi indicati
dall'inchiesta giuridica. Scende in campo sulla tesi del Prof.
Mapelli, perito dell'Ilva sulla questione del sequestro per
avvalorare la tesi che esso porterebbe al fermo dell'intero
sdtabilimento e al disastro dell'impresa, sostenendo che il governo a
questo pone rimedio con il suo decreto. Ma la magistratura non ci
sta.
E qui Muchetti pone la sua
soluzione, una sorta di 'soluzione a monte', diciamo delle vere e
proprie modifiche legislative: primo, che non si possono fare questi
sequestri senza il giudizio preliminare della Cassazione e della
Corte Costituzionale. Anzi pretende che questa strada sia a favore
dei magistrati, “altrimenti si rischia di finire come in Francia”,
dove la Procura risponde al governo – e quindi un caso come quello
di Taranto sarebbe altamente improbabile.
Infine, alla domanda
dell'intervistatore: “Il processo di Taranto si riferisce all'Ilva
quando era gestita dai Riva, ma non sembra che con la gestione
commissariale del governo si verifichino meno incidenti e ci sia più
sicurezza”. E qui Muchetti rivolta la frittata: “Gli incidenti
sul lavoro sono una tragedia vera... Oggi l'Ilva non ha padroni”.
Come dire: non si può fare niente.
GIOVANNI MARIA FLICK - DA QUANDO NON E' PIU' MINISTRO - COMINCIA A RAGIONARE
Hanno cercato di arruolare
in questa contesa, il Corriere della Sera in particolare, l'ex
Ministro della Giustizia, Giovanni Maria Flick, anche lui presidente
emerito della Corte Costituzionale.
Flick anche lui all'inizio
si pone dei dubbi sul sequestro degli impianti, ma, pressato,
risponde un po' diversamente da come l'intervistatrice pretende.
“Quello che posso dire è
che a Taranto si è arrivati troppo in là. E' evidente. Siamo ormai
al corto circuito e lo dimostra il fatto che 8 decreti siano
intervenuti sull'azienda. Non vorrei che si ingenerasse la prassi che
certe imprese siano troppo grandi per rispettare la legge, e nemmeno
si può pensare che ad ogni decisione scomoda del giudice si possa
ricorrere ad un decreto legge”.
Giusto professore, ma si
renda conto che questa prassi è esattamente quella che il governo
sta praticando.
L'intervistatrice incalza
però nel cercare di schierare il professore: “Anche lei crede come
il presidente della Confindustria, Squinzi, che il diritto non possa
essere uno ostacolo all'impresa?”.
“Io credo – risponde
Flick - che non si possa chiedere al magistrato provvedimenti che
tengono conto dell'accettabilità sociale o della sostenibilità
economica. Non è il suo mestiere. Lui deve rispondere alla legge,
non ai requisiti socioeconomici...”.
E qui, purtroppo per
l'intervistatrice, Flick mette un altro carico da 90: “Io mi
preoccupo quando vedo certe cose. Mi riferisco al fatto che mi sembra
preoccupante e mi lascia perplesso l'alleanza innaturale che si è
formata tra politica, sindacato e impresa sull'acciaieria di Taranto.
Ciascuno persegue fini diversi, ma tutti insieme invocano proprio
quei concetti che dicevamo di “accettabilità sociale” o
“compatibilità economica nelle decisioni del giudice”. E
insiste: “Non seguirei fino in fondo il discorso di Squinzi che
scorda una cosa fondamentale... dimentica completamente l'art. 41
della Costituzione: l'iniziativa economica non può svolgersi se reca
danni a libertà, sicurezza e dignità umana. Squinzi non può
denunciare la 'manina' e i pregiudizi del giudice nei confronti
dell'impresa come ha fatto per Ilva e Fincantieri e non riconoscere
contemporaneamente il braccino dell'impresa nella corruzione o il
tentativo dell'impresa di sottrarsi alle regole e di vederle in una
prospettiva solo formale e cosmetica”.
Ben detto, professore.
Evidentemente non essere più ministro e presidente emerito aiuta
nella libertà di pensiero.
SACCONI, UOMO PER ECCELLENZA DEI PADRONI
Non ci stupiamo affatto
che a chiudere ulteriormente il discorso sia poi intervenuto un uomo
per eccellenza dei padroni, l'ex Ministro Sacconi che è tuttora
presidente della Commissione lavoro al Senato nonostante, o potremmo
dire grazie, il parlamento renziano, grillino e quindi non certo
targhettato Forza Italia.
Sacconi senza citare
espressamente il caso in oggetto la butta sul generale e vede la
vicenda frutto della ostilità nei confronti dell'impresa diffusa nel
nostro paese in conseguenza del forte radicamento che, qui più che
altrove, hanno avuto le posizioni ideologiche anticapitalistiche del
'900. “Di conseguenza, risultano incomprensibili tutti quei
provvedimenti cautelari (vedi sequestro Altoforno Ilva, non citato –
ndr) che producono danni certi e immediati ai terzi incolpevoli come
lavoratori, fornitori, clienti, azionisti; o determini il crollo di
un marchio con effetti irreversibili”.
Poi prosegue: non si può
accettare che si penalizzi sempre e soltanto l'impresa, né che
l'informazione e la semplificazione dei social funzionino da
incitamento alla giustizia sommaria...
Insomma, per Sacconi
l'azione dei giudici né ispirata da un'ideologia anticapitalista
novecentesca e tradotta in una giustizia sommaria da “dittatura del
proletariato”.