martedi 2
luglio , alle ore 9 , presso il Tribunale di Molfetta si terrà l'udienza del
processo Truck Center a carico di Nuova Solmine spa e Meleam Puglia . Il
Comitato sarà presente ed invita tutta la cittadinanza a fare altrettanto per
ribadire che "Verità è
Giustizia" per le vittime della vicenda Truck Center e per tutte le vittime
degli omicidi sul lavoro perchè la tutela della salute e della sicurezza del
lavoro va considerata come l'espressione del grado di progresso e di civiltà di
un popolo.
Il link sottostante contiene una
nostra analisi sul caso Truck Center e sulla sentenza di assoluzione in primo
grado di giudizio per l'Eni .
Il Giudice per
l'Udienza Preliminare del Tribunale di Trani, il 5 dicembre 2011, ha assolto
l'Eni Spa e sette suoi dipendenti dall'accusa di omicidio colposo e lesioni
colpose in relazione alla tragedia della Truck Center di Molfetta del 3 marzo
2008 “perché il fatto non sussiste”, con formula dubitativa, ossia ai sensi del
2° comma dell'art. 530 del Codice di procedura penale.
In altri termini, gli imputati sono stati assolti non perché ne
sia stata ritenuta provata l'innocenza, ma per la mancanza, insufficienza o
contraddittorietà della prova della loro colpevolezza. Il giudice ha, cioè,
ritenuto che sussistesse un dubbio insuperabile sulla prova, tale da imporre di
mandare assolti gli imputati persone fisiche e, conseguentemente, dichiarare
l'insussistenza dell'illecito amministrativo dipendente da reato, addebitato
alla società.
Il dubbio non ha riguardato il fatto che la ferro-cisterna
contenesse acido solfidrico in quantità e concentrazione letali, che tale gas
tossico abbia causato le morti e le lesioni del 3 marzo 2008, che ad immetterlo
nella cisterna sia stata l'Eni, che le vittime fossero del tutto ignare del
pericolo mortale che correvano introducendosi nella cisterna.
Fuori di dubbio è, altresì, che l'Eni fosse perfettamente
consapevole della presenza del gas letale in quantità abnorme, a causa del
malfunzionamento dei propri impianti.
Inoltre, è stato accertato che la stessa società, rilevato il
problema, aveva deliberato di eliminarlo e di effettuare gli investimenti a tal
fine, ma ne avesse rinviato l'esecuzione, evitando di sostenerne i relativi
costi.
Altrettanto certamente consapevole della presenza abnorme di acido
solfidrico nelle ferro-cisterne utilizzate per il trasporto di zolfo fuso era la
Nuova Solmine Spa di Scarlino, destinataria del carico.
È stato pure accertato che, nel rapporto contrattuale di
fornitura, le due società avevano omesso ogni riferimento alla presenza nelle
cisterne di acido solfidrico, quale rifiuto tossico indesiderato derivante dalle
operazioni di produzione e caricamento di zolfo fuso. Non, quindi, per caso o
per errore, ma per preciso accordo tra le due parti contraenti, le
ferro-cisterne non recavano le indicazioni della presenza dell'acido tossico e
del pericolo mortale per inalazione del medesimo.
Pure fuor di dubbio è che l'acido solfidrico, in quanto rifiuto
speciale, doveva essere smaltito in osservanza delle norme vigenti (D. L.vo
3.4.2006, n. 152) e comunque secondo procedure di tutela della vita e
dell'integrità dei lavoratori e dei cittadini e della sicurezza ambientale, con
conseguente sopportazione del relativo onere economico.
A tale proposito, due circostanze rimarcate nelle motivazioni di
entrambe le prime sentenze relative al caso appaiono particolarmente
significative nell'evidenziare la gravità delle responsabilità delle due imprese
e dei loro soggetti agenti.
Da un lato, è emersa, sulla base delle deposizioni dei periti
tecnici incaricati dal Tribunale, l'inesistenza di utili sistemi di captazione e
rimozione dell'acido solfidrico dalle cisterne, per cui inevitabilmente il gas
letale in gran parte restava all'interno delle stesse.
Per altro verso, gli stessi tecnici hanno sottolineato che anche
nei limiti dei valori minimi, l'acido solfidrico che si libera dallo zolfo
liquido quale reagente del medesimo può risultare mortale.
In tutta evidenza, quindi, garantire condizioni di piena sicurezza
nel trasporto dello zolfo fuso associato al rifiuto letale costituito dall'acido
solfidrico avrebbe comportato un notevole maggior carico di costi. La corretta
indicazione del contenuto tossico delle cisterne e del pericolo mortale da esso
rappresentato avrebbe infatti imposto la bonifica accurata delle ferro-cisterne
o la loro sostituzione, in quanto utilizzabili senza rischi per un solo
trasporto, o altra soluzione comunque più onerosa rispetto alla pura e semplice
omissione della segnalazione della presenza dell'acido letale. In sostanza,
l'Eni non ha effettuato gli investimenti necessari per la eliminazione del
pericolo né nelle fasi della produzione e del caricamento, né in quelle del
trasporto, dello scarico e della bonifica o sostituzione delle ferro-cisterne,
in quanto avrebbero comportato un rilevante aumento dei costi ed una conseguente
notevole riduzione dei livelli di profitto.
I fatti accertati sono tali da far ritenere quantomeno non
manifestamente infondato che l'Eni, tramite i suoi soggetti agenti, abbia deciso
consapevolmente, al fine di un maggior profitto, di accettare la concreta
possibilità, intesa in termini di elevata probabilità, che si realizzasse un
evento luttuoso, quale quello che si è effettivamente verificato.
In altri termini, numerosi elementi consistenti e concordanti
portano a ritenere che l'Eni, con le sue omissioni e violazioni di norme di
legge, abbia accettato il rischio del verificarsi dell'evento, non voluto né
desiderato nella rappresentazione psichica delle persone fisiche agenti, ma in
concreto altamente probabile, alla luce delle conoscenze scientifiche e tecniche
in loro possesso.
Dato che i soggetti agenti, pur non avendo avuto di mira quel
determinato accadimento, hanno tuttavia operato anche a costo che si
realizzasse, esso deve considerarsi riferibile alla loro volontà e, come tale,
configurabile come dolo indiretto o eventuale.
Tale fattispecie implica, infatti, che i soggetti agenti siano a
conoscenza dell'esistenza certa del rischio e decidano di correrlo, pur sapendo,
potendo e dovendo eliminarlo.
Com'è ovvio, responsabilità strettamente analoghe sono da
addebitarsi alla Nuova Solmine ed ai suoi dirigenti, perfettamente a conoscenza
del pericolo rappresentato dalla presenza abnorme di acido solfidrico e delle
violazioni ed omissioni finalizzate ad occultarla. Tra le due società sarebbe
pertanto ravvisabile una vera e propria complicità o associazione per
delinquere.
In ogni caso, non si vede il motivo per cui le violazioni ed
omissioni di Nuova Solmine debbano escludere quelle dell'Eni, come ha ritenuto
il Gup, anziché sommarsi ad esse ed anzi aggravarle, in coerenza con gli
elementi probatori emersi processualmente.
La sentenza di assoluzione dell'Eni non ha minimamente considerato
la possibilità del dolo eventuale e quella della complicità tra le due società,
neanche per escluderle, ma si è fondata su un dubbio relativo ad una ipotesi non
verificatasi nella realtà.
Il giudice ha infatti ritenuto che non potesse escludersi la
possibilità, qualora la presenza dell'acido solfidrico fosse stata correttamente
segnalata dall'Eni, che Nuova Solmine potesse comunque rimuovere le segnalazioni
e riprodurre una situazione di pericolo.
In pratica, il rispetto di leggi poste a tutela della vita e della
salute dei lavoratori e dei cittadini viene assunto da un giudice non come un
obbligo ma come una ipotesi, una bazzecola, quasi un optional.
Parrebbe, invece, doversi affermare che le leggi esistono perché
tutti, comprese le grandi imprese multinazionali con profitti miliardari ed a
forte partecipazione statale, vi si debbono conformare.
Trattare il rispetto delle leggi come una ipotesi di lavoro appare
un espediente cavilloso e capzioso, un trucco o acrobazia logica da
azzeccagarbugli, tutt'al più ammissibile per le parti processuali, ma alquanto
incongruo per un giudice giudicante e per un caso di così elevata gravità.
Nel merito, non può esservi alcun dubbio che l'eventuale
eliminazione da parte di Nuova Solmine delle segnalazioni della presenza di
acido solfidrico, effettiva e non virtuale o supposta, avrebbe comportato una
responsabilità incomparabilmente più grave della rimozione dei segnali di
rischio di infiammabilità da una cisterna svuotata del carico
infiammabile.
In pratica, è accaduto che una omissione che ha causato la morte
di cinque persone è stata di fatto posta sullo stesso piano di una violazione
paragonabile per gravità ad una innocua contravvenzione.
Non può esservi dubbio alcuno, invece, che la violazione di gran
lunga più grave commessa da Nuova Solmine sia stata la omessa segnalazione della
presenza dell'acido solfidrico e non la rimozione dei segnali del pericolo di
infiammabilità di un ormai inesistente carico di zolfo fuso.
È stato infatti accertato, e non costituisce materia di dubbio o
di opinione, che Nuova Solmine, era pienamente consapevole della presenza nelle
cisterne di acido solfidrico in quantità abnorme e che avrebbe dovuto
segnalarla. Se non ha potuto né voluto evidenziarla, è stato a causa degli
accordi contrattuali sottoscritti con l'Eni.
Si è soliti affermare che le sentenze vanno rispettate, ossia che
vi si deve ottemperare, ma ciò, tuttavia, non significa che si debbano anche
condividere.
E quella in oggetto appare francamente offensiva, sia della logica
e dell'intelligenza, sia della memoria delle vittime e della dignità dei
cittadini nel cui nome è esercitata la funzione giudiziaria.
Comitato 3 Marzo - Molfetta