Una delle tante iniziative dello Slai cobas sc durante il processo
Il processo Ilva “Ambiente svenduto” è un processo di rilievo nazionale e internazionale. È stato il più grande processo di questo genere con la fabbrica aperta, per di più ora nelle mani di una multinazionale, uno dei primi produttori di acciaio nel mondo, con stabilimenti in 30-40 paesi.
È diventato un processo a un sistema, ed è in questo senso che lo Slai Cobas a Taranto ha costruito sin dall'inizio la sua partecipazione. Bisognava portare dentro l'aula dei Tribunali la lotta dei lavoratori, la resistenza e i danni che i lavoratori, i cittadini avevano subito.
Un processo di classe contro una classe. Il processo, infatti, mette sotto accusa un intero sistema. Non esistono altri processi come questo; che riguardi allo stesso tempo morti sul lavoro e disastro ambientale e in cui come imputati trovi oltre i padroni della fabbrica e i loro "fiduciari", il rappresentante dell’arcivescovo, il Presidente della Regione, della Provincia, il Sindaco di Taranto, gli Enti che dovevano controllare la tutela dell'ambiente, un dirigente della Digos, uno che in tutta la sua vita ha perseguitato i compagni comunisti e dello Slai Cobas, ecc.
Questo tipo di processo avrebbe meritato un'azione di “guerra”, a fronte della guerra che padroni, Stato, Istituzioni locali e nazionali hanno fatto e continuano a fare agli operai, alle masse popolari dei quartieri, sul fronte del lavoro, dello sfruttamento, della salute, della sicurezza, dei diritti.
Questa intera vicenda drammatica per lo scontro di classe nel nostro paese è entrata in questo processo, ma con difficoltà, e sta combattendo la sua battaglia fino alla fine, perché sappiamo che questo è un processo infinito.
Ci sono voluti anni per poterlo portare a conclusione e ancora non è finita; si tratta solo del primo grado di giudizio e possiamo immaginare che seguirà l’appello dei condannati, il ricorso in Cassazione, tentativi sporchi di azzerare i risultati acquisiti, come è avvenuto per il processo Eternit, per il processo Thyssen Krupp, per tutta un'altra serie di importanti processi e più recentemente per il processo per la strage di Viareggio.
In questo quadro il processo non è altro che una delle pagine della lotta di classe, l'interfaccia di quello che materialmente poi sta avvenendo oggi in ArcelorMittal - ora Accieierie d'Italia.
In questo quadro, organizzare come parti civili, in forme auto-organizzate, dei lavoratori è stata anche un problema. All'inizio noi avevamo pensato realmente di organizzare centinaia e centinaia di operai e lavoratori per essere parti civili in questo processo. Questa battaglia l’abbiamo vinta solo parzialmente. Solo un centinaio, si è autorganizzato con noi in questo processo, insieme aD una rappresentanza di settori della città, del quartiere Tamburi, dei familiari. Avremmo voluto fosse molto più largo ma abbiamo trovato opposizione del Comitato Liberi e Pensanti che prima ha rifiutato di costituirsi al processo e quando abbiamo chiesto che i 200-300 lavoratori da loro raccolti si organizzassero per essere parte nel processo non l'hanno fatto, salvo poi, all'ultimo momento, costituirsi come associazione, non certo come lavoratori. Così l'Usb è presente come organizzazione sindacale (nazionale, provinciale, territoriale, ecc.) ma non ha fatto costituire come parte civile neanche mezzo operaio.
Ma non ha senso un processo in cui sono presenti le sigle e non i lavoratori concreti che hanno subito i danni, non i cittadini e così via. Lo stesso hanno fatto tutti gli altri sindacati, la Fiom che dice di aver presentato come parti civili 500 operai, non ne ha mai organizzato uno perché assistesse direttamente alle udienze, se non il primo giorno, quando Landini venne a fare il suo show. Per non parlare anche di Fim, Uilm che sono presenti come parti civili, quando dovevano stare anch'essi sul banco degli imputati.
Poi abbiamo visto una platea di rappresentanti di parti civili che hanno fatto pura demagogia, che hanno trasformato la giustezza delle rivendicazione delle parti civili in una farsa, sparando cifre pensando alle proprie parcelle invece che agli interessi lesi.
Questo processo è stato grande sia nei lati positivi, sia nei lati negativi.
Questo processo si svolge mentre gli operai non stanno guardando al processo, e non perché siano su una posizione di classe che considera la giustizia a favore dei padroni, ma perché sono attanagliati da una guerra più vicina che li riguarda, la guerra che ne vuole mandare a casa almeno 4000, che gli fa rischiare la vita ogni giorno, che li fa vivere in cassintegrazione (compresi i lavoratori in Ilva AS) con quasi la metà dello stipendio.
Una guerra che avviene anche sul fronte mediatico, in cui gli operai vengono bombardati, confusi da chi gli dice, dal sindaco ad alcuni ambientalisti, che la fabbrica si deve solo chiudere e per loro ci sono ammortizzatori sociali, corsi di formazioni, lavori di pubblica utilità in attesa di una "riconversione economica" di Taranto fasulla e grottesca.
Ma la fabbrica senza gli operai diventa il cimitero industriale più grande d'Italia, un deposito di inquinamento e scorie molto ma molto più grande di come lo è da anni Bagnoli - in cui da trent'anni non è stata fatta la benché minima bonifica. Sarebbe la morte civile della città.
Il nostro problema è un altro. Noi vogliamo che gli operai si ribellino, si liberino del sindacalismo aziendalista, mettano a ferro a fuoco la città, la blocchino e impongano soluzioni alternative reali.