In questi giorni è in corso l'interrogatorio dell'Ing. Capogrosso, direttore dell'Ilva per tutta la gestione Riva, da dicembre 1996 a luglio 2012 - sottoposto per un anno agli arresti, tra carcere e domiciliari.
Con la protervia del massimo capo dell'Ilva, nella prima fase Capogrosso ha spiegato con un atteggiamento di chi fa una lezione di merceologia e deve rivolgersi a bambini ignoranti che discettano su cose che non capiscono e su cui pretendono pure di inquisire, cosa significa agglomerato, cosa è l'acciaio, i tipi di gas presenti in Ilva, e via di questo passo, sottolineando sempre che (signori!) si tratta di un impianto complesso...
Con questo stesso atteggiamento Capogrosso ha anche fatto ammissioni sulla presenza di diossina, Pcb, ecc., ma come frutto oggettivo di una grande fabbrica, che solo chi non conosce può mettere in discussione e mettere sotto processo.
"Certo, ero al corrente - dice Capogrosso - che nelle polveri del camino vi era diossina... Negli anni abbiamo ridotto la diossina che usciva dal camino (rimarcando qui Capogrosso che per questo l'Ilva aveva speso centinaia di migliaia di euro... - ndr), ma restava nelle polveri... meno ne usciva dal camino e più ne rimaneva nelle polveri...".
E di fronte alla domanda del PM sul perchè non avessero adottato prima i sistemi di riduzione della diossina, Capogrosso risponde tranquillamente: "Sì, sapevamo che c'era la diossina ma non la misuravamo... Eravamo consapevoli che il processo di agglomerazione avrebbe prodotto diossina ma non abbiamo mai approfondito tale aspetto, nè tantomeno c'erano prescrizioni sul punto...". E ancora: "Sì si poteva fare di più ma avevamo bisogno di tempo e si doveva intervenire in ossequio a quelle che erano le incombenze della proprietà siderurgica". Tradotto: in ossequio al rapporto costi/benefici, a quanto quei costi incidevano sui profitti dell'azienda.
Nello stesso tempo, Capogrosso parla della diossina come di un normale intervento e non di un inquinante che ha fatto ammalare, morire persone, che entrava nell'aria che respiravano gli abitanti di Taranto, nei campi, nella catena alimentare, nel latte che le madri davano ai bambini.
E l'effetto micidiale della diossina non era presente solo nel processo all'agglomerato.
"...Noi portavamo i rifiuti nella discarica - ha continuato Capogrosso - Ma non facevamo l'analisi per la diossina ma per gli elementi di compatibilità con la discarica...". La diossina veniva classificata come rifiuto non pericoloso. Per cui le micidiali polveri degli elettrofiltri finivano nella discariuca per rifiuti speciali Mater Gratiae non in un impianto per rifiuti pericolosi.
Lo stesso trasporto delle polveri, quindi, era un fattore ad alto rischio: "le polveri venivano raccolte in cassoni e trasportati anche su camion scoperti... In alcuni casi questi cassoni si rompevano..." (l'Ispettore Severini - ha ricordato qui il PM - aveva accertato che in un capannone le polveri contenenti diossina era sparse su tutto il pavimento - Risposta di Capogrosso: ma quello era un ambiente in cui non si doveva accedere...)
Sulle polveri scaricate sui Tamburi, stesso atteggiamento di tranquilla normalità: Sì, eravamo al corrente che nel 2010 vi erano valori più alti dei limiti previsti dall'Arpa - ma non mi leggevo le relazioni dell'Arpa sulle polveri rilevate dalle centraline poste ai Tamburi - della serie: ciò che accadeva fuori dalla fabbrica non era un problema che li riguardava.
In ogni caso Capogrosso ha rivendicato tanti interventi per evitare lo sversamento di polveri, ma aggiungendo che ciò che non è stato fatto o è stato insufficiente non dipendeva dai Riva ma dagli Enti locali, Regione, Provincia, Comune che non hanno fatto quanto di loro competenza, tipo le collinette ecologiche.
Sulla copertura dei parchi minerali, Capogrosso ha dichiarato: "La copertura di nastri, edifici e parchi comporta sempre dei problemi e comunque nessuna Aia ci ha prescritto la copertura dei parchi. Ora la stanno facendo? Vediamo come gestiranno l'aria interna..." - della serie: vedrete che avevamo ragione noi.
Poi, chiaramente, vi è la parte in cui Capogrosso rivendica gli interventi realizzati per rispettare l'Aia, le innovazioni tecnologiche, scaricando i ritardi e gli interventi insufficienti, o sulla precedente gestione dello Stato o sugli Enti locali.
Capogrosso ha in particolare elencato gli interventi fatti dai
Riva, tra il 1997 e il 2000 per l'abbattimento delle emissioni del
camino E312, con "l'istallazione di elettrofiltri di ultima generazione" - ma che ci sia stato effettivamente questo "abbattimento" basta parlare con gli operai e gli abitanti dei Tamburi.
Fanno parte di questi interventi anche quello sugli spogliatoi. Questi - ha spiegato Capogrosso - prima erano sugli impianti e gli operai dovevano cambiarsi vicino ai posti non salubri, poi è stata costruita una Palazzina a sei piani vicino alla portineria, in cui gli operai potevano cambiarsi all'entrata e all'uscita dal lavoro. Capogrosso, chiaramente, non dice l'altra faccia di questo "vantaggio" per gli operai: l'allungamento dell'orario in entrata e uscita, dato che la timbratura dell'orario restava comunque vicino al posto di lavoro e il tempo di cambio tuta, di pulizia non era considerato orario di lavoro.
Anche le prossime udienze vedranno sempre Capogrosso.