mercoledì 5 gennaio 2022

Tessitura di Mottola - Un articolo che riassume, parzialmente, la situazione attuale - Lo Slai cobas sc l'11 gennaio con i lavoratori deciderà le prossime iniziative

Riportiamo questo articolo di Gianmario Leone sul Corriere della sera. 

Su Tavolo con la Task force vi è stata nella stessa mattinata del 20 dicembre l'incontro con lo Slai cobas e l'Rsa. 

Lo Slai cobas ha detto chiaramente:
- che si deve uscire dalle comunicazioni generiche, vogliamo sapere quali aziende effettivamente vogliono acquisire lo stabilimento di Mottola e a quali condizioni e in quali tempi;
- che la soluzione occupazionale deve essere solo collettiva per tutti i 115 lavoratori; 
- che gli operai e operaie non possono vivere con 700 euro al mese (di cig/covid) che è necessaria una integrazione salariale; mentre a ribadito la bocciatura della oscena proposta di incentivo all'esodo, una vera offesa per i lavoratori,

Corriere di Taranto
GIANMARIO LEONE
PUBBLICATO IL 03 GENNAIO 2022

La vertenza dei lavoratori del sito Tessitura Albini di Mottola è ancora ferma al palo. Sono infatti pochissime le novità emerse durante l’ultima riunione riunione dello scorso 20 dicembre, che si è svolta in videoconferenza convocato dal Comitato SEPAC  la task force regionale per l’occupazione, a cui hanno partecipato i rappresentanti del comitato, i tecnici regionali dell’Area di crisi industriale e delle Politiche Attive per il Lavoro, i rappresentanti del gruppo Albini e della società di scouting Vertus, i sindacati generali Cgil, Cisl e Uil e le organizzazioni sindacali di categoria Femca Cisl, Filctem Cgil, Uiltec Uil ed Ugl Chimici con i loro rappresentanti sindacali.

L’unica vera novità emersa dall’ultimo incontro riguarda la decisione del gruppo Albini di rinnovare l’incarico di scouting alla società Vertus, che sarebbe scaduto questo mese, a tutto il 2022. Così come avvenuto nell’ultima riunione della task force regionale ad ottobre, i rappresentanti della Vertus hanno ribadito i ben 500 contatti avviati con altre attività imprenditoriali, di cui nove avrebbero inviato manifestazioni preliminare d’interesse, di queste cinque avrebbero firmato accordi di riservatezza ma soltanto quattro società avrebbero visionato il sito produttivo di Mottola; e in particolar modo ci sarebbe una manifestazione d’interesse, che per motivi di privacy industriale non è ancora possibile conoscere. Resta però al momento per l’eventuale trattativa da avviare concretamente, un ostacolo apparentemente insormontabile, rappresentato dalla volontà del gruppo Albini nel non voler cedere gratis lo stabilimento (cosa che per esempio accadde all’interno della vertenza Miroglio, con il gruppo piemontese che cedette la proprietà dei siti di Ginosa e Castellaneta al prezzo simbolico di 1 euro).

I rappresentanti sindacali hanno a loro volta fatto notare come i tempi legati al sostegno al reddito dei 115 lavoratori siano sempre più stretti. La cassa integrazione straordinaria per cessazione di attività (in vigore dal 28 giugno scorso al 3 luglio, mentre dal 4 luglio tornò la cassa Covid prevista da un decreto del governo)avrà come sempre una durata di 12 mesi (dal 1 novembre al 28 ottobre 2022). Al termine dei quali, se non ci saranno novità, i lavoratori entreranno in NASPI, ovvero la procedura di indennità per la disoccupazione che spetta ai lavoratori che hanno perso il lavoro non per loro responsabilità: procedimento che ha un periodo di copertura massima pari a due anni.

Anche per questo, per velocizzare e favorire una rapida industrializzino del sito di Mottola, i sindacati hanno chiesto alla Regione di avviare al più presto una valutazione su un possibile intervento a sostegno economico che possa finanziare il percorso formativo dei lavoratori una volta individuata la società o il gruppo subentrante, per favorire un’inserimento dei lavoratori immediato e non gravare altresì sulle casse aziendali all’avvio della reindustrializzazione.

Durante la riunione della task force regionale non è stato affrontato lo spinoso tema legato all’incentivo all’esodo. Che ammonterebbe a 14 mila euro lordi a lavoratore. La cifra sarebbe emersa durante un incontro tra l’azienda e i sindacati confederali di categoria dello scorso 6 dicembre. Un tema di per sé sempre delicato, che attiene alle scelte del singolo lavoratore in base anche al suo attuale status familiare e personale. E che per questo rischia sempre di essere profondamente divisivo tra gli stessi lavoratori, specie a fronte di una cifra che onestamente appare sin troppo misera. Specie da parte di un’azienda giunta a Mottola nel 2003 grazie agli incentivi statali per investire al Sud agli inizi degli anni duemila, con i quali venne aperto il polo industriale su una superficie di 30.892 m2, in cui svolgere le fasi di preparazione e tessitura.

Sulla cifra in questione, che però non è stata confermata né smentita da azienda e sindacati, si sono levate le proteste dello Slai cobas per il sindacato di classe. Che ha definito un’eventuale intesa tra sindacati e azienda come “un ricatto, i lavoratori vengono presi per “fame“, visto che questi ultimi due mesi sono stati drammatici non avendo ricevuto neanche la miseria (700 euro) di cig/covid; a fronte, poi, di un futuro incerto e di probabili esuberi; una elemosina di 14mila euro con cui non puoi vivere neanche un anno nè tantomeno avviare progetti di attività alternativi. Una grande multinazionale come la Tessitura Albini, che non è in crisi, ma delocalizza la produzione all’estero solo per fare più profitti, vuole liberarsi degli operai con poche briciole – questo è inaccettabile! (Basti pensare che l’Ilva Spa ha dato all’inizio 100mila euro, la Whirpool 95mila…). Si tratta di una svendita sotto costo dei lavoratori che hanno permesso in 18 anni grossi profitti al gruppo Albini. Solo respingendo l’accordo è possibile anche imporre di alzare l’incentivo per chi volesse andare via; l’accordo prevede inoltre una conciliazione individuale che è “tombale”, per cui il lavoratore non può più richiedere o far ricorso per inadempienze contrattuali, di livello, qualifica, ecc. o per ogni diritto contrattuale non rispettato dall’azienda; l’accordo è di fatto un messaggio negativo a tutti i lavoratori di “liquidazione” della lotta (che comunque finora è stata molto, ma molto debole – lo stesso presidio non è stato mai utilizzato per avviare iniziative di lotta visibili e che potessero pesare nella trattativa). Chi avesse voluto poteva licenziarsi e col sindacato concordare un incentivo; in questa maniera invece, attraverso l’accordo, si indebolisce la forza complessiva dei lavoratori” concludono dallo Slai Cobas.

Diciotto anni dopo la crisi economica morde (ed è indubbio che questa ci sia, ingigantita in ogni settore per la pandemia da Covid-19) ed i conti non tornano più, e quindi si preferisce fare armi e bagagli, salvando soltanto il profitto a scapito dei lavoratori, delle loro famiglie e del territorio. Ma non è certamente in questo modo che si può continuare a fare economia.

Ricordiamo che la vertenza, esplosa lo scorso marzo, riguarda 115 lavoratori che dal prossimo 29 ottobre avranno di fronte a loro soltanto due strade: la continua, disperata ricerca di un nuovo lavoro o la povertà. Il che lascia ben comprendere come sia di vitale importanza fare tutto il necessario affinché il sito trovi un nuovo sbocco industriale, oppure riqualificare i lavoratori attraverso una formazione che possa renderli davvero abili per una nuova professione e appetibili per il mercato del lavoro. Altrimenti, come già accaduto per tantissimi casi, si riveleranno essere soltanto un palliativo, un pannicello caldo che non servirà a costruire un futuro diverso.

Mentre prosegue il presidio dello stabilimento, avviato lo scorso luglio, per far si che ci sia una presenza costante dei lavoratori e per evitare possano essere portati via dallo stabilimento le apparecchiature (timore diffuso soprattutto quest’estate), che non consentirebbero un futuro industriale ed occupazionale del sito. Staremo a vedere.

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