"Quei tre schifosi vanno bloccati o quantomeno sentiti e puniti con il 50% sulle ore, altrimenti il problema resterà". "Intanto puniscili e lunedì prendiamo una decisione". E ancora: "Senti il cliente, il McDonald's di Ostia, si lamenta un sacco, dice che puzzano troppo, che sono impresentabili, descrivono il corriere come un senzatetto maleodorante. Ma ogni volta che si lamenta è una tragedia nazionale quindi dobbiamo offrirgli il miglior servizio possibile". E la risposta: "Sono neri e hanno odori diversi dai nostri".

Era questo il tono della chat "Amici di Uber" in cui si organizzava il lavoro dei rider che consegnavano piatti pronti con gli zaini verdi di Uber Eats. Un lavoro che la multinazionale non trattava direttamente con i fattorini in bicicletta ma attraverso l'intermediazione di una società che - a differenza di altri colossi delle consegne di piatti a domicilio - gli è valsa anche una contestazione per caporalato oggetto di un processo penale a Milano.

Oggi a Torino si è conclusa la causa davanti al tribunale del lavoro di dieci fattorini avviata perché venisse riconosciuta l’intermediazione irregolare, ovvero una forma di caporalato, delle società Flash Road City e Frc, che gestivano i lavoratori per conto di Uber Italy. Il giudice ha riconosciuto che in effetti il datore di lavoro reale era Uber e ha di conseguenza riconosciuto l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, con il risarcimento della differenza di retribuzione tra il basso compenso che prendevano per una corsa - 3 euro - e lo stipendio con contributi e previdenza che avrebbero avuto se fossero stati assunti con un regolare contratto del commercio come previsto dalla normativa.

I rider, assistiti dagli avvocati Giulia Druetta e Sergio Bonetto, avevano anche chiesto un risarcimento per la violazione della privacy determinata dall'uso dell'app per la gestione delle consegne e per la mancanza di misure di sicurezza, ma questo non è stato riconosciuto dal giudice.



Nella discussione del processo civile di Torino sono confluiti numerosi elementi ricavati dall'inchiesta penale di Milano, dove ci sono anche decine di rider torinesi che si sono costituiti parte civile. Al momento il processo in Lombardia ha visto chiudersi una prima fase con tre patteggiamenti e una condanna in abbreviato dei componenti delle società che facevano l'intermediazione in diverse città tra i lavoratori e la multinazionale, mentre la manager di Uber Italy, Gloria Bresciani, che è stata rinviata a giudizio e che ha scelto di affrontare il dibattimento.

Sono proprio i nomi degli imputati quelli che ricorrono nelle conversazioni richiamate oggi nella discussione finale della causa davanti al giudice Lorenzo Audisio. In particolare i messaggi svelano quale fosse la modalità operativa con cui venivano gestiti i lavoratori ai quali, da una parte, doveva essere data la libertà di fare consegne quando e per quanto tempo volevano (come se fossero lavoratori autonomi) mentre nei fatti dovevano essere organizzati secondo le volontà o le necessità dell'azienda.

E fioccavano le lamentele di Uber ai "caporali": "Hai avuto 12 corrieri a pranzo e adesso che il pranzo è finito sono diventati 17. Io non posso stare tutto il pomeriggio a mettere offline i tuoi. Sta a te non pagare quelli che non si devono collegare e io di conseguenza ti pagherò solo quelli che ti richiedo". E ancora: "Corrieri che si connettono quando non servono sono uno spreco di soldi - è il suggerimento di Uber - Secondo me se tu il pomeriggio non li paghi e loro per mangiare devono connettersi la sera, vedrai che si connettono. Ovvio che se tu gli dai la scelta se ne fregano e prendono i soldi quando gli fa più comodo".

Un rider era stato cacciato quando si era perso fuori dalla zona e non aveva fatto una consegna: "Se lo fa apposta lo caccio, se non lo fa apposta è pure peggio". Poi c'era un locale che si lamentava dei rider che in attesa delle consegne si fermavano in maniera "indecorosa" fuori dal portone e per risolvere il problema è stata programmata la app perché espellesse i fattorini fermi nelle vicinanze.

A quelle condizioni, molti rider lasciavano. Di qui la necessità costante di trovare nuova manovalanza. "Stiamo facendo aprire nuove promo, dobbiamo essere certi di avere i corrieri", dice Bresciani. E uno degli intermediari risponde: "Faremo visita ad alcune comunità dove soggiornano questi ragazzi".