Riportiamo il commento breve di Gianluca Vitale su questa grave sentenza della Corte d'appello che ha deciso l'annullamento del lunghissimo processo di 1° grado. Ma è importante, anche alla luce di quanto successo il 13 settembre, risentire e rileggere quello che aveva detto Vitale sia in un'assemblea a Taranto all'inizio del processo d'appello sia in un'assemblea a Torino sulle motivazioni della sentenza di 1° grado
Commento dell'Avv. Gianluca Vitale alla sentenza di annullamento del processo di 1° grado
Intervento all'assemblea del 19 aprile 24 a Taranto, con le parti civili, fatta all'inizio del processo d'appello
Intervento in un'assemblea pubblica a Torino del 11 marzo 2024 in cui Gianluca Vitale si sofferma su alcuni passaggi importanti della sentenza di 1° grado
"in qualche modo riporta il
carattere criminale del sistema di produzione capitalista, del
sistema di gestione della produzione"
E' questo fondamentalmente che ha pesato nella decisione ora della Corte d'appello di annullamento del processo di 1° grado!
"...il processo di primo grado che è stato il più grande
processo per questioni ambientali e lavorative... Ha
condotto a quella che può essere definita una buona
sentenza anche per alcuni passaggi che ci sono. Ma è mancata la
spinta propulsiva dei rapporti di forza. Anche la Giustizia vive di
rapporti di forza e anche il sistema giudiziario ovviamente è
influenzato da quelli che sono i possibili rapporti di forza.
Venendo
a quello che è l'esito di questo processo. Esso ha visto anche nella
sua storia un braccio di ferro tra due organismi, tra due poteri
dello Stato che sono il potere giudiziario e il potere esecutivo.
Perché quando il potere giudiziario tentava di fare o ha fatto
determinate scelte, si è trovato di fronte la strada sbarrata dal
potere esecutivo. Il sistema Ilva ha visto la reiterazione per anni
dello scudo penale, che una aberrazione giuridica. Scudo penale che è
stato salvato ripetutamente.
Nelle
3800 pagine della sentenza, ci sono aspetti fondamentali che vale la
pena di ricordare. Una parteabbastanza ampia della sentenza parla di
“disastro ambientale”, e si parla di quello che è stato o che
dovrebbe essere il bilanciamento. Anche nella Corte costituzionale la
preminenza è data a quell'aspetto, al bilanciamento fra il diritto
all'ambiente, il diritto alla salute e il diritto all'impresa.
Sostanzialmente il diritto all'iniziativa economica. Questo significa
che quello che è stato percepito, anche dall'autorità giudiziaria
che ha affrontato questo processo, è stata questa dicotomia fra
diritto alla salute della popolazione tarantina e diritto alle
iniziativa economica, come iniziativa economica privata del grande
capitalismo privato.
Credo
che questo sia uno snodo fondamentale di questa vicenda, perché non
credo che si possa negare, ma nessuno credo l'abbia mai fatto, gli
effetti devastanti che un certo tipo di impresa ha avuto sulla città
di Taranto, che ha avuto sui lavoratori diretti dell'Ilva, sui
lavoratori degli appalti, e altri lavoratori. Ci siamo trovati a
difendere i lavoratori cimiteriali perché il cimitero del quartiere
“Tamburi” è attaccato all'Ilva e ne ha subito le conseguenze.
Il
secondo aspetto della sentenza, che credo sia ancora più centrale, è
la ricostruzione dell'attività imprenditoriale nella prospettazione
accusatoria, che poi è stata fatta propria anche dalla Corte di
Assisi di Taranto - vedremo la Corte di Assise di appello cosa
deciderà di questo sistema imprenditoriale – Come associazione
criminale, associazione a delinquere. Perché questo è importante?
Perché intanto non credo che sia molto frequente in questo tipo di
processi trovarsi di fronte a una contestazione di questo genere. Ma
perché a me sembra che la sentenza del processo Ilva sostanzialmente
sia una sentenza che restituisce il nocciolo duro del sistema di
produzione capitalista. Andando a vedere le pagine della sentenza che
sono dedicate alla contestazione dell'articolo 416, cioè del reato
associativo - che sono dalla pagina 3200 in poi – in cui viene
riconosciuto che c'era un sistema criminoso che vedeva come vertici
la famiglia Riva, ma anche i dirigenti aziendali. Un sistema
criminoso di cui, come tutti i sistemi criminosi, qualche volta
sembra di leggere passaggi di sentenze per “associazione mafiosa”:
doveva intessere dei rapporti col tessuto non solo locale, ma anche
nazionale.
Si
legge che c'era un vero e proprio metodo Riva che era improntato alla
realizzazione della massima produzione con i massimi risparmi di
spesa per ottenere il massimo profitto. E nei vari passaggi della
sentenza si colgono tutti quegli aspetti che in misura molto minore
in qualche modo conosciamo anche qui a Torino.
Intanto
si parte da una premessa: non è vero che non c'era alternativa. Non
è vero che o così o senza Ilva, perché la stessa Corte di Assise,
che non approfondisce peraltro questo aspetto, perché non è un
aspetto che possa essere affrontato in sede giudiziaria, fa
riferimento alla possibilità di utilizzare le migliori tecnologie
disponibili per arrivare comunque al risultato. Quindi non
necessariamente o si inquina o non si produce, ma si può produrre
senza inquinare. Cioè la stessa Corte di Assise dice che
sostanzialmente i punti sono la massimizzazione del profitto che
presuppone il massimo risparmio di spesa possibile che, ovviamente,
può essere realizzato o sulla tutela dei lavoratori o sulla tutela
dell'ambiente o su entrambi i fronti, come effettivamente è successo
nel sistema Ilva.
Il
focus principale della sentenza è relativo alla tutela del diritto
alla salute, del diritto ambientale. Dentro il processo si sono
affrontati anche alcuni casi di dipendenti morti sul lavoro che nulla
avevano a che fare con l'ambiente. Questo forse è uno degli aspetti
che può essere criticato, per la difficoltà di gestione del
processo che ha portato. Questo sistema, tipicamente capitalistico,
comportava la necessità di poter maggiormente controllare anche i
lavoratori. In che modo? Intanto ce lo dice la sentenza: il
demansionamento come metodo di repressione di ogni contestazione
anche organizzata dai sindacati dei lavoratori. Sulla cogestione di
questo sistema criminale della fabbrica, vi sono alcuni passaggi in
un'intercettazione in cui uno ribatteva che coloro che avevano
scioperato andavano spostati alle pulizie industriali. Quindi
demansionamento, spostamento, mobbizzazione di coloro i quali non
necessariamente scioperavano ma prendevano atto delle modalità
produttive, di quelle che erano la violazione della sicurezza sul
lavoro, di quella che era la violazione della tutela ambientale.
Quindi al maggiore inquinamento si rispondeva con la repressione
interna alla fabbrica. E qui rientra anche la “Palazzina Laf”.
Infatti nella sentenza si richiama anche la sentenza della “Palazzina
Laf”. Per esempio, si dice che si tentava di indurre il lavoratore
a scegliere tra un declassamento o a desistere dal proporre ricorso.
Rientra in questo sistema anche il sistema dei premi di fine anno -
dice la sentenza - cioè a fine anno i premi non vengono attribuiti
in relazione all'impegno, all'assiduità, alle mansioni, quanto
piuttosto alla remissività rispetto alle scelte aziendali. Quindi il
premio non ha a che fare con la produttività o con l'atteggiamento lavorativo del dipendente, ma all'obbedienza al
padrone del lavoratore. Non conosco a sufficienza la vicenda per dire
che era necessariamente così, ma la sentenza parla anche
dell'importanza del ricatto lavorativo soprattutto nei confronti
della comunità. Quindi il. Questa associazione criminale, che è
stata riconosciuta nella famiglia riva, nella dirigenza dell'Ilva,
ricattava la comunità locale proprio sul fronte della esigenza
lavorativa. Ci sono dei passaggi, anche di intercettazioni, in cui
chiaramente ad un certo punto si dice: “Guarda, se le cose stanno
così, non è cassa integrazione, mettiamo in mobilità 5 o 6000
persone, è quello che gli ho detto. Guarda, sono andato giù proprio
piatto, gli ho detto, Guarda, con questa roba qui salta la
Prestigiacomo. O si adegua a quelle che sono le nostre esigenze
lavorative che sono esigenze di profitto, oppure qui salta il banco,
salta tutto, salta la città”. Questo ricatto la sentenza lo
riconosce come ampiamente presente nella gestione di questo sistema
criminale associativo dell'Ilva.
Questo
porta con sé anche i rapporti con le istituzioni locali. Sapete che
è stato condannato anche Nichi Vendola, ci sono vari soggetti che
sono stati coinvolti. Sindaco, la Provincia, la Regione, sono tutti
coinvolti in questo processo, e facevano in qualche modo parte,
dovevano interfacciarsi con questo sistema criminale. E’ in questo
che questa vicenda ricorda sia processi per associazione mafiosa sia
questioni che conosciamo anche a Torino. In questa sede diverse volte
abbiamo parlato del Tav, dei rapporti tra la dirigenza di una
determinata struttura e gli enti locali. Sono rapporti nell'ambito di
un sistema di imprenditoria capitalista e vedono molto spesso la
supremazia dell'imprenditoria nel dettare le regole, le condizioni.
La
sentenza Ilva ci descrive anche di come venissero mistificati i dati
in assenza di controlli e di verifiche, nella carenza degli operatori
degli organi di controllo, nella mancanza di strumenti di controllo
di questi organi. Leggendo vari passaggi della sentenza Ilva e
seguendo il processo, molto spesso mi è venuto in mente ad esempio
“l'Osservatorio”. Cioè tutto ciò che serve per dire: ma noi
controlli li facciamo, noi rispettiamo, noi controlliamo, noi
verifichiamo… Tanto che la stessa sentenza dice: attenzione, c'è
una differenza fra il rispetto della legalità formale - perché
molto spesso l'Ilva rispettava formalmente quelli che erano i
requisiti sull’inquinamento o di altro, pur nella piena
consapevolezza che stava creando un danno, che stava commettendo un
reato - e i rapporti di controllo sostanziale nei confronti della
stampa locale e della stampa nazionale. L'obiettivo, si legge, era
quello di creare un movimento di opinione favorevole allo
stabilimento, esattamente come avveniva attraverso l'organizzazione
di convegni e incontri di studio. Poi c'era un centro studi e una
rivista dedicata alla pubblicità, a dare una differente ampiezza
agli infortuni, all’inquinamento. L’Ilva mi ricorda in parte la
propaganda sulla questione Tav. Si legge che l'Ilva cercava
costantemente di instaurare un contatto dove non poteva esercitare il
controllo anche con realtà sociali che comunque avessero un
qualunque tipo di ingerenza con le proprie attività. E si parla
anche dei sindacati, prevalentemente dei sindacati confederali. Si fa
riferimento, ad esempio, all'esistenza di un archivio dei dipendenti,
un archivio dei dipendenti facinorosi, fastidiosi, dei dipendenti che
in qualche modo bisognava controllare, magari che dovevano finire
nella “Palazzina Laf”. E, attenzione, si dice che c'era un doppio
archivio, c'era un archivio degli stessi dipendenti della Digos. I
rapporti fra l'apparato repressivo privato dell'Ilva e l'apparato
repressivo dello Stato riecheggiano in questa sentenza.
Vi
leggo un passaggio: “attività di controllo e condizionamento a
vari livelli, soggetti istituzionali, organi di stampa,
rappresentanti delle forze dell'ordine, tutti asserviti agli
interessi della grande industria… anche le organizzazioni sindacali
non sono state immuni da tale strumentalizzazione”. È per questo
che a me sembra che al di là della vicenda Taranto, al di là dei
morti di Taranto - nel corso del processo abbiamo sentito dei
testimoni che hanno riferito che sapevano dove tirava il vento dalla
polvere nell'orecchio dei bambini, polvere di metallo che arrivava
dai parchi minerari che si vedeva fisicamente nell'orecchio dei
bambini – questo è secondo me il segno distintivo di questa
sentenza che adesso va di fronte a un giudizio di appello...
Sarà molto importante difenderla in
questa seconda fase, perché come in ogni processo di questa natura
via via che si va verso il secondo e il terzo grado, il pericolo è
quello che la sentenza venga ridimensionata, e c'è sempre
all'orizzonte la possibilità che alcuni espedienti possano spingere
a un ritorno all'indietro, non solo come condanne, ma come iter
processuale...
Per
concludere, questa sentenza mi sembra particolarmente significativa
proprio perché in qualche modo riporta in maniera anche plastica il
carattere criminale del sistema di produzione capitalista, del
sistema di gestione della produzione, che è un sistema di gestione
non solamente, familiarista, della famiglia Riva - perché uno
potrebbe pensare: vabbè, qui c'era una famiglia, c'era il padrone
delle ferriere, se ci fosse stato un altro sistema - No, tutto questo
è insito nel sistema di produzione capitalista, che ha avuto la
forza di imporsi sul substrato sociale, sugli enti locali, sui
sindacati, sui media, su tutti. E questo credo che sia l'aspetto
pericoloso e significativo di questa di questa vicenda..."