domenica 15 settembre 2024

Commenti e interventi dell'Avv. Gianluca Vitale di Torino sulle sentenze del processo "Ambiente svenduto" della Corte d'appello e del 1° grado

Riportiamo il commento breve di Gianluca Vitale su questa grave sentenza della Corte d'appello che ha deciso l'annullamento del lunghissimo processo di 1° grado. Ma è importante, anche alla luce di quanto successo il 13 settembre, risentire e rileggere quello che aveva detto Vitale sia in un'assemblea a Taranto all'inizio del processo d'appello sia in un'assemblea a Torino sulle motivazioni della sentenza di 1° grado 

Commento dell'Avv. Gianluca Vitale alla sentenza di annullamento del processo di 1° grado


Intervento all'assemblea del 19 aprile 24 a Taranto, con le parti civili, fatta all'inizio del processo d'appello

 


Intervento in un'assemblea pubblica a Torino del 11 marzo 2024 in cui Gianluca Vitale si sofferma su alcuni passaggi importanti della sentenza di 1° grado

"in qualche modo riporta il carattere criminale del sistema di produzione capitalista, del sistema di gestione della produzione"

E' questo fondamentalmente che ha pesato nella decisione ora della Corte d'appello di annullamento del processo di 1° grado! 

"...il processo di primo grado che è stato il più grande processo per questioni ambientali e lavorative... Ha condotto a quella che può essere definita una buona sentenza anche per alcuni passaggi che ci sono. Ma è mancata la spinta propulsiva dei rapporti di forza. Anche la Giustizia vive di rapporti di forza e anche il sistema giudiziario ovviamente è influenzato da quelli che sono i possibili rapporti di forza.

Venendo a quello che è l'esito di questo processo. Esso ha visto anche nella sua storia un braccio di ferro tra due organismi, tra due poteri dello Stato che sono il potere giudiziario e il potere esecutivo. Perché quando il potere giudiziario tentava di fare o ha fatto determinate scelte, si è trovato di fronte la strada sbarrata dal potere esecutivo. Il sistema Ilva ha visto la reiterazione per anni dello scudo penale, che una aberrazione giuridica. Scudo penale che è stato salvato ripetutamente.

Nelle 3800 pagine della sentenza, ci sono aspetti fondamentali che vale la pena di ricordare. Una parteabbastanza ampia della sentenza parla di “disastro ambientale”, e si parla di quello che è stato o che dovrebbe essere il bilanciamento. Anche nella Corte costituzionale la preminenza è data a quell'aspetto, al bilanciamento fra il diritto all'ambiente, il diritto alla salute e il diritto all'impresa. Sostanzialmente il diritto all'iniziativa economica. Questo significa che quello che è stato percepito, anche dall'autorità giudiziaria che ha affrontato questo processo, è stata questa dicotomia fra diritto alla salute della popolazione tarantina e diritto alle iniziativa economica, come iniziativa economica privata del grande capitalismo privato.

Credo che questo sia uno snodo fondamentale di questa vicenda, perché non credo che si possa negare, ma nessuno credo l'abbia mai fatto, gli effetti devastanti che un certo tipo di impresa ha avuto sulla città di Taranto, che ha avuto sui lavoratori diretti dell'Ilva, sui lavoratori degli appalti, e altri lavoratori. Ci siamo trovati a difendere i lavoratori cimiteriali perché il cimitero del quartiere “Tamburi” è attaccato all'Ilva e ne ha subito le conseguenze.

Il secondo aspetto della sentenza, che credo sia ancora più centrale, è la ricostruzione dell'attività imprenditoriale nella prospettazione accusatoria, che poi è stata fatta propria anche dalla Corte di Assisi di Taranto - vedremo la Corte di Assise di appello cosa deciderà di questo sistema imprenditoriale – Come associazione criminale, associazione a delinquere. Perché questo è importante? Perché intanto non credo che sia molto frequente in questo tipo di processi trovarsi di fronte a una contestazione di questo genere. Ma perché a me sembra che la sentenza del processo Ilva sostanzialmente sia una sentenza che restituisce il nocciolo duro del sistema di produzione capitalista. Andando a vedere le pagine della sentenza che sono dedicate alla contestazione dell'articolo 416, cioè del reato associativo - che sono dalla pagina 3200 in poi – in cui viene riconosciuto che c'era un sistema criminoso che vedeva come vertici la famiglia Riva, ma anche i dirigenti aziendali. Un sistema criminoso di cui, come tutti i sistemi criminosi, qualche volta sembra di leggere passaggi di sentenze per “associazione mafiosa”: doveva intessere dei rapporti col tessuto non solo locale, ma anche nazionale.

Si legge che c'era un vero e proprio metodo Riva che era improntato alla realizzazione della massima produzione con i massimi risparmi di spesa per ottenere il massimo profitto. E nei vari passaggi della sentenza si colgono tutti quegli aspetti che in misura molto minore in qualche modo conosciamo anche qui a Torino.

Intanto si parte da una premessa: non è vero che non c'era alternativa. Non è vero che o così o senza Ilva, perché la stessa Corte di Assise, che non approfondisce peraltro questo aspetto, perché non è un aspetto che possa essere affrontato in sede giudiziaria, fa riferimento alla possibilità di utilizzare le migliori tecnologie disponibili per arrivare comunque al risultato. Quindi non necessariamente o si inquina o non si produce, ma si può produrre senza inquinare. Cioè la stessa Corte di Assise dice che sostanzialmente i punti sono la massimizzazione del profitto che presuppone il massimo risparmio di spesa possibile che, ovviamente, può essere realizzato o sulla tutela dei lavoratori o sulla tutela dell'ambiente o su entrambi i fronti, come effettivamente è successo nel sistema Ilva.

Il focus principale della sentenza è relativo alla tutela del diritto alla salute, del diritto ambientale. Dentro il processo si sono affrontati anche alcuni casi di dipendenti morti sul lavoro che nulla avevano a che fare con l'ambiente. Questo forse è uno degli aspetti che può essere criticato, per la difficoltà di gestione del processo che ha portato. Questo sistema, tipicamente capitalistico, comportava la necessità di poter maggiormente controllare anche i lavoratori. In che modo? Intanto ce lo dice la sentenza: il demansionamento come metodo di repressione di ogni contestazione anche organizzata dai sindacati dei lavoratori. Sulla cogestione di questo sistema criminale della fabbrica, vi sono alcuni passaggi in un'intercettazione in cui uno ribatteva che coloro che avevano scioperato andavano spostati alle pulizie industriali. Quindi demansionamento, spostamento, mobbizzazione di coloro i quali non necessariamente scioperavano ma prendevano atto delle modalità produttive, di quelle che erano la violazione della sicurezza sul lavoro, di quella che era la violazione della tutela ambientale. Quindi al maggiore inquinamento si rispondeva con la repressione interna alla fabbrica. E qui rientra anche la “Palazzina Laf”. Infatti nella sentenza si richiama anche la sentenza della “Palazzina Laf”. Per esempio, si dice che si tentava di indurre il lavoratore a scegliere tra un declassamento o a desistere dal proporre ricorso. Rientra in questo sistema anche il sistema dei premi di fine anno - dice la sentenza - cioè a fine anno i premi non vengono attribuiti in relazione all'impegno, all'assiduità, alle mansioni, quanto piuttosto alla remissività rispetto alle scelte aziendali. Quindi il premio non ha a che fare con la produttività o con l'atteggiamento lavorativo del dipendente, ma all'obbedienza al padrone del lavoratore. Non conosco a sufficienza la vicenda per dire che era necessariamente così, ma la sentenza parla anche dell'importanza del ricatto lavorativo soprattutto nei confronti della comunità. Quindi il. Questa associazione criminale, che è stata riconosciuta nella famiglia riva, nella dirigenza dell'Ilva, ricattava la comunità locale proprio sul fronte della esigenza lavorativa. Ci sono dei passaggi, anche di intercettazioni, in cui chiaramente ad un certo punto si dice: “Guarda, se le cose stanno così, non è cassa integrazione, mettiamo in mobilità 5 o 6000 persone, è quello che gli ho detto. Guarda, sono andato giù proprio piatto, gli ho detto, Guarda, con questa roba qui salta la Prestigiacomo. O si adegua a quelle che sono le nostre esigenze lavorative che sono esigenze di profitto, oppure qui salta il banco, salta tutto, salta la città”. Questo ricatto la sentenza lo riconosce come ampiamente presente nella gestione di questo sistema criminale associativo dell'Ilva.

Questo porta con sé anche i rapporti con le istituzioni locali. Sapete che è stato condannato anche Nichi Vendola, ci sono vari soggetti che sono stati coinvolti. Sindaco, la Provincia, la Regione, sono tutti coinvolti in questo processo, e facevano in qualche modo parte, dovevano interfacciarsi con questo sistema criminale. E’ in questo che questa vicenda ricorda sia processi per associazione mafiosa sia questioni che conosciamo anche a Torino. In questa sede diverse volte abbiamo parlato del Tav, dei rapporti tra la dirigenza di una determinata struttura e gli enti locali. Sono rapporti nell'ambito di un sistema di imprenditoria capitalista e vedono molto spesso la supremazia dell'imprenditoria nel dettare le regole, le condizioni.

La sentenza Ilva ci descrive anche di come venissero mistificati i dati in assenza di controlli e di verifiche, nella carenza degli operatori degli organi di controllo, nella mancanza di strumenti di controllo di questi organi. Leggendo vari passaggi della sentenza Ilva e seguendo il processo, molto spesso mi è venuto in mente ad esempio “l'Osservatorio”. Cioè tutto ciò che serve per dire: ma noi controlli li facciamo, noi rispettiamo, noi controlliamo, noi verifichiamo… Tanto che la stessa sentenza dice: attenzione, c'è una differenza fra il rispetto della legalità formale - perché molto spesso l'Ilva rispettava formalmente quelli che erano i requisiti sull’inquinamento o di altro, pur nella piena consapevolezza che stava creando un danno, che stava commettendo un reato - e i rapporti di controllo sostanziale nei confronti della stampa locale e della stampa nazionale. L'obiettivo, si legge, era quello di creare un movimento di opinione favorevole allo stabilimento, esattamente come avveniva attraverso l'organizzazione di convegni e incontri di studio. Poi c'era un centro studi e una rivista dedicata alla pubblicità, a dare una differente ampiezza agli infortuni, all’inquinamento. L’Ilva mi ricorda in parte la propaganda sulla questione Tav. Si legge che l'Ilva cercava costantemente di instaurare un contatto dove non poteva esercitare il controllo anche con realtà sociali che comunque avessero un qualunque tipo di ingerenza con le proprie attività. E si parla anche dei sindacati, prevalentemente dei sindacati confederali. Si fa riferimento, ad esempio, all'esistenza di un archivio dei dipendenti, un archivio dei dipendenti facinorosi, fastidiosi, dei dipendenti che in qualche modo bisognava controllare, magari che dovevano finire nella “Palazzina Laf”. E, attenzione, si dice che c'era un doppio archivio, c'era un archivio degli stessi dipendenti della Digos. I rapporti fra l'apparato repressivo privato dell'Ilva e l'apparato repressivo dello Stato riecheggiano in questa sentenza.

Vi leggo un passaggio: “attività di controllo e condizionamento a vari livelli, soggetti istituzionali, organi di stampa, rappresentanti delle forze dell'ordine, tutti asserviti agli interessi della grande industria… anche le organizzazioni sindacali non sono state immuni da tale strumentalizzazione”. È per questo che a me sembra che al di là della vicenda Taranto, al di là dei morti di Taranto - nel corso del processo abbiamo sentito dei testimoni che hanno riferito che sapevano dove tirava il vento dalla polvere nell'orecchio dei bambini, polvere di metallo che arrivava dai parchi minerari che si vedeva fisicamente nell'orecchio dei bambini – questo è secondo me il segno distintivo di questa sentenza che adesso va di fronte a un giudizio di appello...

Sarà molto importante difenderla in questa seconda fase, perché come in ogni processo di questa natura via via che si va verso il secondo e il terzo grado, il pericolo è quello che la sentenza venga ridimensionata, e c'è sempre all'orizzonte la possibilità che alcuni espedienti possano spingere a un ritorno all'indietro, non solo come condanne, ma come iter processuale...

Per concludere, questa sentenza mi sembra particolarmente significativa proprio perché in qualche modo riporta in maniera anche plastica il carattere criminale del sistema di produzione capitalista, del sistema di gestione della produzione, che è un sistema di gestione non solamente, familiarista, della famiglia Riva - perché uno potrebbe pensare: vabbè, qui c'era una famiglia, c'era il padrone delle ferriere, se ci fosse stato un altro sistema - No, tutto questo è insito nel sistema di produzione capitalista, che ha avuto la forza di imporsi sul substrato sociale, sugli enti locali, sui sindacati, sui media, su tutti. E questo credo che sia l'aspetto pericoloso e significativo di questa di questa vicenda..."

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